23 – Giugno ‘86

giugno , 1986

Via della Cisterna è un punto bellissimo, immerso nel cuore di Trastevere, e lungo i muri di una vecchia casa, all’altezza del numero 13 si distendono sotto il glicine, i tavolini del ristorante La Cisterna, attrazione irresistibile per chi passa, in queste sere in cui è bello mangiare fuori. Tanti turisti, ovviamente, cui badano gentili e aitanti camerieri, con gilet verde-azzurri e fazzoletto al collo. Le sale interne in questa stagione sono vuote e risalta ancora di piu la ridicolaggine degli affreschi pretenziosi e bruttini. Anche noi ci sedemmo con gioiosa aspettativa, rallegrata da un vinello bianco della casa giusto per preparare il palato e lo spirito al pasto imminente. A questo punto il disastro: secondo noi è incivile beffare così i turisti e i pochi malcapitati romani, che seppur non portano valuta pregiata pagano pur sempre con soldi «buoni».

Le fettuccine alla romana sono orribili, insipide, in un sughetto soltanto amaro; gli agnolotti alla trasteverina, sono fagottini di pasta che avvolgono il nulla e il sugo è salato in modo intollerabile. Gli scampi fritti hanno incontrato l’olio bollente la prima volta ai tempi della breccia di Porta Pia, dopo di che hanno conosciuto innumerevoli e miserevoli «riscaldature»; lo stesso è accaduto alla frittura di cervella, stantia e maleodorante; il pollo alla «Cesaretto» aveva le carni sfatte e immerse in un dolciastro intruglio; e i bocconcini di vitella con funghi parevano reperti da sala settoria, circondati da indecifrabili verdure. Le cose non sono andate meglio con i dolci: un tiramisù e una torta mimosa nella tradizione peggiore. Inspiegabilmente buono anche il vino rosso, dalla gustosa vinosità con profumo di sottobosco, giovane e giustamente tannico. Il conto era facile prevedere che sarebbe stato alto e non si sono smentiti.

Dopo tante disastrose esperienze, vissute nei piu begli angoli di Roma, ci siamo seduti, in una calda notte di maggio, un po’ tremebondi a un tavolinetto della Taverna Trilussa, apparecchiato sotto le stelle in un slargo di via del Politeama, tra il lungotevere e via Del Moro. C’eravamo portati appresso due amici che erano, quella sera, eroicamente disposti anche al sacrificio per amor dei Farfalloni. Tutt’intorno alitava un delizioso ponentino, volteggiante tra il fiume ed i vicoli. Ci togliemmo la prima sete con un bicchiere di Verbesco dei Marchesi di Barolo, giovane, leggero, appena frizzante, dal gradevole profumo erboso. Dissetati ma non ancora rassicurati abbiamo avuto la bella sorpresa di un’insalata di mare fresca e profumata, senza punte acide di li-mone o di aceto, e una buona varietà di verdure dai sapori vivaci e dalla gratinatura croccante. Buoni anche i primi: penne all’arrabbiata eccellenti, rigatoni alla norcina, fragranti di buon pecorino, piatti semplici ma dal sapore «alto», che non conoscevano l’insulto della panna. L’ab-bacchio scottadito era croccante e tenero, sapidissimo, nel rispetto della migliore tradizione, come la coda alla vaccinara, carnosa e ricca di gusti; piu ordinaria la lombata e un po’ sdolcinate, forse, le scaloppine alla zingara, con gli inevitabili, insapori, funghi coltivati. Ci hanno assicurato che il tiramisù era «produzione propria», e bisogna dire che era eccezionale, buona anche la torta di mandorle. Qualche cosa da ridire l’abbiamo trovato sul bianco della casa: un vinello difficile da riconoscere, perché mal tenuto e con sgradevoli tracce odorose, come di polvere e muffe. Buono invece il rosso: un vino di Cerveteri, asciutto e franco. Il servizio è stato simpatico e cordiale, malgrado l’ora tarda, e il conto si è tenuto su livelli medio-bassi, in rapporto alla zona.