22 – Maggio ‘86

maggio , 1986

Il concerto numero 24 della stagione sinfonica dell’Accademia di S. Cecilia si è aperto con una vera e propria leccornia, uno spettacolino quanto mai gradevole. Karl Heinz Stockhausen ha un bellissimo figlio: il ventinovenne Markus, il quale, oltre che saper suonare ottimamente la tromba, sa stare bene sulla scena; il che non è male per un musicista: noi, infatti, pensiamo che si suoni con tutto il corpo e non solo con le parti strettamente impegnate dallo strumento. Il padre di Markus ha costruito per il figlio, traendolo dal suo «Samstag aus Licht» un breve divertimento per tromba, trombone, quattro corni e percussioni. Una volta tanto, non si è lanciato in tronfie sgradevolezze, limitandosi a comporre undici minuti di musica piacevole, spigliata e assolutamente salottiera.

Markus Stockhausen, in maglione bianco e calzoni di velluto, è entrato sul palcoscenico seguito da un occhio di bue, come chi si appronta a uno spogliarello, e dobbiamo sinceramente riconoscere che proprio questo effetto è riuscito ad ottenere. L’esecuzione è stata, dal punto di vista strettamente musicale, quanto mai corretta: il suono della sua tromba era fluido, caldo ed espressivo, dal bel fraseggio, con smorzature ammiccanti e pause dosate con astuzia teatrale, per tenere gli «spettatori» col fiato sospeso. Sopportabili anche certe ingenuità, come quella di imitare la partenza di un treno con il soffio articolato della tromba. Ha iniziato l’esecuzione stando in piedi, poi si è accosciato sui talloni, fino a distendersi al suolo, tenendo però la tromba ben «eretta» verso il cielo; è balzato poi di nuovo in piedi e sempre suonando, da solo, è uscito di scena seguito dalla luce del riflettore, provocatorio e sensuale. Basilio Sanfilippo al trombone, Salvatore Accardi, Agostino Vacchiano, Biagio Frascella e Giulio Gianelli ai corni, Franco Bugarini e Fabio Marconcini alle percussioni sono stati ottimi e adeguati alla strana situazione.

Dopo è salito sul podio Luciano Berio, per dirigere la Sinfonia n. 1 in re maggiore di F.J. Haydn. L’esecuzione è risultata un po’ pesante e forse non troppo attenta; giusta la dinamica e anche il fraseggio, ma c’era qualcosa che non convinceva nell’interpretazione.
Il concerto per tromba e orchestra in mi bemolle maggiore. che concludeva la prima molle maggiore, che concludeva la prima parte del programma, ha visto ancora Markus Stockhausen come solista, alle prese con Haydn, vestito questa volta dei sacri parametri del rito. La direzione di Berio qui si è illuminata: più vivace, attenta e ricca di sfumature. Bravo davvero il giovane solista: nell’allegro la sua tromba aveva un bel suono, ritmicamente impeccabile, accattivante, con appena alcuni indugi esibizionistici nella cadenza. L’andante risultava morbido, ma non sdolcinato, con una piccola incertezza della tromba nell’attacco dell’ultima frase. Nell’allegro conclusivo il dialogare tra lo strumento e l’orchestra risultava piacevole e fluido, appena increspato da alcuni ammiccamenti ostentati e dall’intonazione che, almeno in due punti, non era sicura.

Per la seconda parte del concerto, Berio ha diretto in «versione concertante» e (in questa veste) in prima esecuzione assoluta, la sua opera «Un re in ascolto». Bisogna premettere che il libretto di Italo Calvino non ha praticamente senso: un tale vuole mettere in scena «La tempesta» di W. Shakespeare, il suo regista è troppo esigente e ambizioso, per cui il progetto stenta a realizzarsi, nel frattempo si va avanti con le audizioni per alcuni possibili interpreti. Ad un certo punto arriva una tipa che sgrida moltissimo e il tale muore, forse per lo spavento. La musica è di una noia indescrivibile: note lunghe, esasperanti, accordi sgraziati che pretendono però di essere fini. Davvero, la nostra pazienza di spettatori è stata messa a dura prova; tanto che durante la lunga predica della protagonista, che fa’ il rimbrotto, abbiamo sentito l’impulso di strozzare il soprano perché tacesse. Gli esecutori probabilmente cantavano e suonavano le note che dovevano, l’orchestra, in particolare, pareva addormentata e straccamente si trascinava. I soprani erano Mariana Nicolesco e Rebecca Littig, il mezzosoprano Rohangiz Yachmi, il tenore Peter Haage, il basso baritono Heinz Jùrge Demitz la voce recitante era di Sergio Tedesco, il pianista Stevhen