22 – Maggio ‘86

maggio , 1986

Di stupidaggini intorno al McDonald’s di piazza di Spagna ne sono state dette tante, anche troppe, e a ciò non deve essere stata estranea una astuta campagna promozionale della stessa gestione del locale. Tra le stupidaggini più clamorose vi sono le affermazioni per cui alcuni trovano che deturpi il centro storico, degradi l’ambiente e insulti la tradizione nazionale. In questo stesso posto, fino a non molto tempo fa, c’era un drugstore, drogheria e tavola calda altrettanto poco romanesco, eccetto che per il nome, uguale per altro a tutti gli altri negozi più o meno lussuosi che proliferano nella zona, con vetrine, banconi, insegne luminose che sfregiano e deturpano, con tralicci ingombranti e orripilanti colori, la sacralità di meravigliose facciate di storici palazzi, già avvilite dalla ressa di automobili tutt’intorno e dallo smog. L’aspetto un po’ ridicolo di questo spaccio di panini ultramoderno non può quindi peggiorare di tanto la situazione. Volerlo far chiudere in nome di un troppo corporativistico appello alla tradizione ci pare poi segno di grande ottusità: cosa ne direbbero certi televisivi paladini di casa nostra se a Parigi, Londra o Berlino si reclamasse a gran voce la chiusura di pizzerie e gelaterie italiane imperversanti? Non è neppure detto che la tradizione ristoratrice romana sia poi così nobile; noi saremmo contenti se certi romanissimi postacci, in cui vengono servite a caro prezzo cose immangiabili, a turisti e indigeni, fossero davvero costretti a chiudere. Una matriciana o una pizza in certi posti non hanno neppure bisogno di essere annaffiate dal metanolo per risultare tossiche! Certo, al Mc Donald’s non si mangia meglio e nell’ora di punta l’affollamento è indescrivibile, ma almeno c’è il cartello «vietato fumare»!
Una sola è quindi la colpa di questo hangar gastronomico: che si mangi così male! Si tratti del famossissimo Big Mac a tre stati, o del Cheesburger al formaggio, o del Filet O Fish di pesce o del più semplice Hamburger di manzo, o siano invece le coppe dolci dei Sundaes oppure una delle composizioni del Salad Bar; sempre si ha l’impressione che siano puri nomi di fantasia, dietro ai quali si nasconde un disgustoso nulla composto d’aria gommosa da cui colano certe bave bianco-giallastre che gonfia e riempie come le gasatissime bevande. Anche la birra non si sottrae a questa condanna gasata e sintetica. Tra colorati pennacchi, dietro i banconi e tra i tavolini, si muovono giovanotti e ragazze gentili, che sono la sola consolazione dell’avventore non ancora del tutto rassegnato al disumano andazzo.

Che si possa mangiare però malissimo, pur restando nel segno della più schietta tradizione e avendo a favore anche il fascino di un ambiente suggestivo ce lo ha provato l’Osteria Margutta, nell’omonima via, la quale può essere considera un monumento all’occasione perduta. Tutto nel locale parla di Roma e dell’arte, e nell’aria sembra di percepire segrete vibrazioni che neppure la banalità di certe dame gracchianti e commendatori col sigaro riescono a soffocare. Però, fin da subito, c’è qualcosa che gela, nell’accoglienza sbadata, nel servizio frettoloso e sommario, nell’esposizione disadorna dei vassoi d’antipasti.
Stando poi seduti a tavola ci si rende conto che la cucina è un vero disastro. Da un’osteria che pretende di essere nella tradizione più ruspante non ci si aspetta certo l’estenuato estetismo della «nouvelle cuisine», né la sontuosità di barocche e ricciolute preparazioni, ma almeno la consolazione colorita della cucina già invitante allo sguardo. Invece gli antipasti sono miseri e scialbi, le trenette scotte immerse in un pomodoro pallido e dolciastro, la pasta e ceci ha il colore ed il sapore che ricordano la sciacquatura di piatti, i rigatoni con panna, vodka e speck sono un pasticciaccio insulso. La trippa alla romana ha cattivo odore, il goulash è una poltiglia color mattone appena piccante, l’arrosto triste come il lesso di una mensa aziendale e il sugo alla vaccinara dello spezzatino è solo brodo di verdura I vini proposti sono pochi, banali e mal tenuti; abbiamo evitato i dessert e ci siamo precipitati, dopo aver pagato il conto non alto, a consolarci con la vista della vicina scalinata di Trinità dei Monti