22 – Maggio ‘86

maggio , 1986

L’oro

Giunti al termine del ciclo di seminari su «L’oro della psicoanalisi» i più sono rimasti interdetti: quale è stato il significato scientifico del lavoro di tanti mesi? Non è forse successo che Sandro Gindro abbia tradito la sua missione di scienziato, per compiacere il trascinatore di folle, il demagogo che cova in lui? Cosa aveva a che fare tanto spreco emozionale con un discorso – scientifico, vivaddio – sulla psicoanalisi? Può un teorico continuare a parlare sempre di ciò che è giusto o ingiusto?
Con quale diritto di commuoversi o di indignarsi sulle cose dei mondo, come farebbe un bambino o un poeta?
Riso, scandalo, commozione non sono linguaggi praticabili per la scienza, si sente ancora dire in giro. Una tecnica terapeutica deve reggersi indipendentemente da chi la esercita e il linguaggio che la descrive deve essere oggettivo.
Come dire che lo psicoanalista è un essere al di sopra di piccoli accidenti come il bombardamento su Tripoli o il disastro di Chernobyl. Che influenza possono infatti avere questi piccoli aneddoti di case rase al suolo o di raccolti perduti perché contaminati, sulla sua missione di guaritore delle nevrosi?
Tutti erano preparati a un discorso che avrebbe trasformato tutto l’oro della psicoanalisi del passato in cacca e che avrebbe additato nella nuova psicoanalisi gindriana l’oro destinato a risplendere nel futuro. Invece è successo che il conferenziere ha espresso le sue paure e le sue speranze, si è indignato per le offese all’umanità che si compiono giorno per giorno, ha rivelato le proprie debolezze ed ha additato le meschinità che rendono l’esistenza degli uomini insopportabile ad altri uomini e poi ha soggiunto: «Io ho la mia cura».
Deludendo gli amanti della scienza, in attesa dei documenti di garanzia che, quella fosse finalmente la TERAPIA; deludendo anche i mistici, convinti che avrebbero trovato la SALVEZZA.
Che significato può avere nei confronti della SCIENZA il discorso un po’ svagato e magari poetico, di un uomo, più svagato e più poeta di altri, che crede che la cultura e lo studio debbano dare metodi di intervento utili in realtà così incerte; un uomo che crede che, alle spalle, ci sia tutto quello che ci ha costruito e, davanti, un disperato bisogno di essere felici?
Non c’è teorema per chi sia convinto di ciò, come non c’è illusione: solo la possibilità di piccoli patti, tra gli uomini, tra essi e il dolore, tra questo e il piacere. La scienza preferisce forse altri linguaggi, scevri di inutile emotività, immuni persino da eccessi di umanità. Toccherà forse a un codice che ancora non conosciamo il grato compito di trascrivere su di un video-terminale, senza coinvolgimento emotivo, la parola FINE.