22 – Maggio ‘86

maggio , 1986

«Era un romanzetto fastidioso, autobiografico e vanesio…»; così Francesco Petrarca, alias Gaspare Barbiellini Amidei, protagonista della Storia di lei definisce il manoscritto di uno scrittorello, nella vicenda, suo probabile rivale in amore. In realtà, questa frase si attaglia alla perfezione al romanzo dello stesso Barbiellini, che Rizzoli pubblica con bella veste. Fastidioso perché noiosissimo, pieno di situazioni trite e ritrite, con una tramuccia insulsa, stipata di personaggi tutti improbabili e con la caratteristica comune di essere assolutamente antipatici. Autobiografico: infatti assilla il lettore con brandelli, peraltro insinceri, di vita dell’autore, di cui non può importare molto al lettore, e il disinteresse è, secondo noi, la condanna più grave e il sentimento peggiore verso un’opera letteraria. Vanesio per due ragioni: prima di tutto perché l’autore ha una ecessiva voglia che tutti operino l’identificazione: autore-protagonista. Usando i paraventi di un giornale illustre, di una stantia autoironia e di una tartufesca finta modestia, G.B.A. popola la vita di F.P. dei nomi più orecchiati e impegnati della vita mondana, culturale e politica degli ultimi decenni, tanto che giunge persino a scomodare nientemeno che il Presidente della Repubblica, cui nega una conversazione al telefono, perché già impegnato sull’altra linea col grande amore. Ancor più vanesio per l’eccesso di citazioni buttate qua e là, dissennatamente, in più lingue, mischiando crusca e farina e facendo un pastone. Vera ciliegina sulla torta così cucinata è stata per noi l’invocazione di quella bibbia italiana della stupidità che è l’opera su amore e amicizia di quel sociologo da rotocalco che con il personaggio protagonista ha in comune anche il nome. Non sono molte 16.500 lire per un libro, ma queste sono del tutto sprecate.

Marianna la pazza (Aelia Laelia edizioni, pagg. 118, Lit. 12.000) è un breve romanzo di Roberto Parpaglioni, giovane scrittore e autore di teatro, che ha il carattere di un apologo, cioè di narrazione con finalità morali – ma, sia ben chiaro, non moralistiche -. Parpaglioni disegna con tratti intensi alcuni personaggi e articola la storia in tre sezioni.
Nella prima parte, quella più consistente e conchiusa in se stessa, Il racconto di Vittorio, dalla voce del ragazzo innamorato di lei, si apprende come Marianna sia fuggita di casa e attraverso quali vicende sia giunta alla decisione di uccidere il padre, per salvarlo dalla disumanizzazione procurata dalla lotta per il denaro. La seconda testimonianza è quella che ci viene dalla lettura de Il diario del padre, il quale, uomo abbastanza qualunque, teso solo a fare soldi, pure rivela profondità inattese nel suo amore per la figlia e in una sorta di religiosità, spaventato di fronte alla malattia, commosso davanti al mare; un uomo come tanti, irripetibile come tutti. Conclude il libro L’intervista con Marianna, resa nota dopo che la ragazza è stata trovata morta in cella. Nell’intervista Marianna riesce a dire il suo perché di un comportamento che sotto la dichiarata rigida coerenza è poi tanto incoerente da arrivare al suicido, quando, per lei, coerenza forse, sarebbe stato continuare ad uccidere per assolvere la missione, cui si sentiva chiamata, di salvare il mondo. Ma, uccidendo o uccidendosi, non si salva nulla e nessuno. La sua comunque non è una risposta, ma è la possibilità di una risposta. Abbiamo detto che lo scritto è un apologo, ora aggiungiamo che è anche una fiaba: una ragazza, magica nella sua follia e nei suoi stracci, sensuale e misteriosa come una fata, vera e irreale allo stesso tempo, lascia un segno lacerante del suo passaggio. C’è in queste pagine una soffusa aura di mistero quasi sacrale, che coesiste col crudo realismo di certi momenti in cui l’autore affronta temi come la violenza e la sessualità, senza mai essere compiaciuto né volgare. Come per una favola, si corre lungo la storia, col fiato sospeso, senza che l’interesse si allenti e la fine giunge inattesa.