21 – Aprile ‘86

aprile , 1986

Neppure l’aria dell’aprile romano riesce a fugare l’impressione triste e un po’ tetra del palazzone che, nella città degli studi ospita l’aula magna nella quale si tengono alcuni dei concerti della Istituzione Universitaria. Per fortuna, è bastato il primo accordo della musica di Mozart eseguita dal Klavierquartett Artis (violinista Giuliano Carmignola, violista Guido Mozzato, violoncellista Franco Rossi, pianista PierNarciso Masi) perché l’atmosfera diventasse calda e splendente. È inutile soffermarci sulla bellezza assoluta dei quattro quartetti in programma: da soli basterebbero a rendere immortale qualunque compositore; molto più di certe monumentali sinfonie e di chilometrici melodrammi.

Nonostante il nostro atteggiamento ipercritico quando ascoltiamo esecuzioni mozartiane, siamo rimasti abbastanza soddisfatti della lettura che ne è stata fatta e dell’esecuzione complessiva. Masi era adeguato e lucido, Carmignola preciso e fluido, la viola di Mozzato aveva un bel suono accattivante e Rossi col suo violoncello amalgamava tutti con bella sonorità. Nei due brani centrali della serata, Mario Ancillotti ha dato col suo flauto una dimostrazione di bravura espressiva e virtuosistica. Nella musica d’insieme è fondamentale la capacità di non sopraffare gli altri per tendere piuttosto alla correttezza dell’esecuzione nel suo complesso e questo hanno saputo fare tutti gli esecutori.

Nel Quartetto in Mi bemolle K 493, per pianoforte ed archi, l’attacco iniziale è stato preciso e l’allegro è stato eseguito correttamente con una lentezza più accentuata di quanto ci si possa attendere, che secondo noi qui è d’obbligo: siamo d’accordo con chi rifiuta un concetto di Mozart edonistico, solo ci è parso che in questo primo movimento l’attacco dei singoli strumenti risultasse un po’ duro; nel secondo movimento è stato messo in risalto l’aspetto accorato del larghetto: il pianoforte porgeva l’inizio del discorso, sempre poi riproponendolo e ben amalgamandosi con gli altri strumenti. Nell’allegretto finale la dinamica era corretta e ci è parsa ben risolta la contrapposizione tra il pianoforte e gli archi, anche se avremmo gradito un po’ più di chiaroscuro.

Il Quartetto in Sol maggiore era una versione per flauto ed archi curata da F.A. Hoffmeister dell’originario quartetto K 370 per oboe ed archi: nelle prime battute dell’allegro il flauto aveva sonorità un po’ sforzate, poi, nell’adagio si è sciolto e il rondò finale è venuto fluido e aperto.
Il Quartetto in Re maggiore K 285 è di una semplicità perfetta e basta un niente per spezzarne l’incanto; i quattro hanno retto abbastanza bene riuscendo a far brillare la tenerezza armonica e melodica del primo tempo, con le sue disarmanti modulazioni; l’adagio è una serenata che ha permesso al flauto di esibirsi in un melodiare sinuoso ed equilibrato, mentre ci è parso troppo secco il pizzicato degli archi; nel rondò è stato ben sottolineato l’aspetto giocoso.

Ultimo brano in programma il Quartetto in Sol minore K 478: l’allegro iniziale così perentorio è stato proposto con equilibrio, giustamente sottolineando la tensione drammatica che percorre tutto il movimento, mettendo però nel dovuto risalto ritornanti momenti di struggente malinconia; non ci è piaciuto l’inizio dell’andante: dopo il pianoforte gli archi sono entrati, se non fuori tempo, quasi, con una certa confusione che è rimasta fino al rondò finale, che ci ha invece convinto pienamente, col suo caleidoscopio di emozioni, ben inserite in una lucida consequenzialità logica.