21 – Aprile ‘86

aprile , 1986

Alla galleria Pieroni in via Panisperna 203 sono esposte quattro «opere» di Michelangelo Pistoletto, artista piemontese, sulla breccia ormai da trent’anni (lui ne ha cinquantatrè), militante, si può dire, di tutte le avanguardie. Dopo un inizio quasi espressionista, di derivazione «baconiana»è passato alla pop-art, all’arte povera e concettuale, approdando a quella che egli stesso definisce «arte dello squallore». In un suo scritto titolato Poetica dura, dell’ottantacinque, pubblicato dal gallerista torinese Persano, Pistoletto si compiace di definire la materia della sua opera «massa vile tinta di colore vile»: noi concordiamo con l’uso di tale aggettivo, se sta a significare non tanto qualcosa di ultrapovero, ma piuttosto se si riferisce alla vigliaccheria e alla viltà di chi ha scelto di proporre «un’arte repulsiva che non rappresenta niente» e che, aggiungiamo noi, assolve solo la funzione di essere arte di regime. Con l’aggravante che si può attagliare a tutti i regimi e meglio funziona, quest’arte, se il regime è fascista e teme che il popolo sia indotto a pensare. Un’arte che esaurisce se stessa nello sproloquio imbecille e gratuito dei critici e degli stessi artisti. A questo punto, è quasi inutile dire dei quattro oggetti esposti: il materiale non è né vile né meno vile di altri: sono quattro monoliti un po’ tronfi che cercano di accattivarsi l’osservatore, ma risultano solamente masse frigide e mortifere per il dominante colore scuro. Un discorso poi sarebbe da fare sulla malafede (e non ci riferiamo all’artista) di chi sostiene con giri di capitalistici milioni la viltà e il disimpegno: a Houston come a Firenze, a Torino come a San Francisco. Per chi volesse sentire l’altra campana, citiamo Rudi Fuchs, dallo stesso libretto di cui sopra: «L’arte di Pistoletto, di nuovo molto forte nei lavori recenti, in cui evita anche ogni diretta identificazione con le figure, è sempre stata dialettica nella sua strategia e sempre mobile. Deve essere considerata uno dei grandi inevitabili argomenti nel contesto dell’Arte Contemporanea». A ciascuno il suo!

Lucio Del Pezzo espone contemporaneamente in due gallerie: Il Segno di via Capo le Case e Mara Coccia in via del Corso 530, nella prima sono esposte le Opere su carta e nell’altra, acriliche, montage, oggetti e multipli. Di lui, napoletano verace trapiantato a Milano, si può dire che è «intrigante», nel senso che le sue opere incuriosiscono, mettono in moto la fantasia, divertono, pur lasciando spazio a una certa perplessità. Dal suo lavoro scaturisce un’arte in cui è piacevole avventurarsi anche per il baluginio metafisico che si sovrappone ad una semplicità decorativa da carrettino dei gelati. Collage o montage, gioco sereno o mistero esoterico, sono forme e colori su cui l’occhio si posa con piacere.
Dei lavori su carta abbiamo apprezzato la ferie dell’Hypnerotomachia Poliphili, 12 preziose cartelle dal segno colto e sensuale che hanno come pretesto l’illustrazione di un componimento poetico che Edoardo Sanguineti ha costruito con parole tratte da un romanzo allegorico, attribuito a Francesco Colonna, della fine del Quattrocento. Delle opere a grandi dimensioni della Galleria Coccia ci ha affascinato Figura, una pittura acrilica con collage e montage su legno del 1982, forse perché ci ha suggerito un’ingenua misteriosità rievocante l’atmosfera del tempio del mozartiano Sarastro; la sola atmosfera che potesse essere rievocata senza sfigurare in quelle belle sale che inducono a pensosi confronti tra presente e passato.