20 – Marzo ‘86

marzo , 1986

Chi ha ordinato alla signora Lina Wertmuller di fare la regista cinematografica? Una oscura divinità o il suo psicoanalista? Chiunque sia le ha dato un pessimo consiglio: può darsi infatti che la Wertmúller suoni bene il mandolino, faccia ottime frittate o sia un’imbattibile Karateka; però il cinema non lo sa proprio fare. Ce ne eravamo già accorti, ma con Un complicato intrigo di donne vicoli e delitti, ne abbiamo avuto la prova: poiché non basta servirsi di una troupe di tecnici della fotografia e di operatori capaci di rendere in immagini la bellezza incredibile di una città come Napoli e dell’abilità di scenografo di Enrico Job per fare dei buon cinema. Le scene sono tra loro sconnesse, i dialoghi sono ridicolmente inesperti e la storia è cretina, sviluppata attraverso aneddoti idioti.

Babà Rocco, camorrista figlio di camorrista, viene ucciso mentre tenta di stuprare Nunziata, che non ha i soldi sufficienti a pagare una tangente sulla sua attività di tenutaria di pensione. Gli inquirenti trovano il cadavere con una siringa piantata nei coglioni. Questa simbolica ed eloquente siringa è l’elemento costante che caratterizza una serie di delitti nel mondo della malavita napoletana. Il padre di Babà, il commissario e Nunziata, cercano, per separate vie, di sbrogliare la matassa e su ciò si basa il «giallo». Ma il giallo non basta alla regista, che punta all’epopea. Attraverso il sentimento materno, avviene la svolta decisiva: sono le madri di Napoli, unite contro la droga, che hanno commesso quei delitti, per salvare o vendicare i loro bambini, insidiati o ammazzati dall’eroina e dai trafficanti. La regista qui perde ogni pudore e non esita a mancare di rispetto a Napoli, al sentimento materno e alla dignità femminile. Un tema che dovrebbe essere sacro e tragico diviene grottesco; le vendicatrici nere che scendono i vicoli dei quartieri popolari sono un’immagine retorica senza capacità di coinvolgimento emotivo e il finale con gli sguardi incrociati nell’aula del tribunale tra le assassine in gabbia e i fanciulli fuori, sotto l’allegoria della Giustizia, sono di una ridondanza insopportabile.

I napoletani e soprattutto le madri napoletane, non sono così sciocchi, squallidi e volgari. Napoli è una città martoriata anche dai delitti e dalla droga, ma il suo dramma esige rispetto e non esibizionismo viscerale di scopate e coltellate, lacrime e pancioni, alcove e bordelli.
Pur non essendo napoletani, ci siamo sentiti offesi da questo film che consideriamo un vero oltraggio al (non-comune) senso del pudore.

Gli attori, come spesso purtroppo avviene, sono vittime innocenti della regista: Angela Molina, Harvey Keitel, Isa Danteli, Paolo Bonacelli e Francisco Rabal si dannano per apparire credibili, come cattivi, come vecchi, come poliziotti e come donne; Daniel Ezrolow anche come bravo danzatore.
Le musiche, di Tony Esposito che vorrebbero essere uno degli elementi chiave del film, ne rispecchiano il cattivo gusto.