21 – Aprile ‘86

aprile , 1986

Il signor Gilbert Rouget, docente all’Università di Parigi X, autore di Musica e Trance (ed.Einaudi, pagg. 485, Lit.38.000), è onesto e consapevole dei propri limiti; infatti dichiara esplicitamente che le sue conclusioni teoriche sull’argomento sono approssimative e provvisorie e che le sue idee non sono molto chiare.
Noi stessi ci siamo chiesti cosa lo abbia spinto a scrivere questo libro. Riconosciamo però che vi sono molti spunti interessanti, buttati qua e là, senza ordine preciso, sebbene l’intento dell’autore sia quanto mai classificatorio.

Rouget parte col tentativo di definire il concetto di trance, distinguendolo sia dalla crisi, sia dalla isteria: infatti sa bene che coloro che assimilano la trance ad un fenomeno isterico, autori francesi soprattutto, sono ritenuti superati dagli studi degli specialisti americani, poiché negli Stati Uniti l’isteria non è più considerata un elemento nosografico autonomo. Il suo interesse è incentrato per buona parte sui fenomeni musicali che ha rilevato sul campo, soprattutto nell’area africana del Benin, ma che sono comuni a fenomeni analoghi riscontrabili dalla Siberia all’America degli indiani.

Lo stesso concetto di trance è impreciso ed egli si avventura in distinzioni ulteriori, non sempre chiare. Che importanza ha la musica in queste particolarissime situazioni psico-religiose? La risposta fa un po’ sorridere: «…Non disponiamo quindi di alcun dato sperimentale che ci permetta di formulare delle ipotesi sul ruolo psico fisiologico della musica nella trance…»; e poi ancora: «..la musica appare … ora come il mezzo quasi meccanico che provoca la trance…, ora priva di qualsiasi ruolo…».

Una serie di affermazioni oscillanti danno e tolgono importanza alla musica e alla danza, senza spiegazioni sufficienti e restano lì come pure constatazioni. Se, da un punto di vista antropologico, neurologico e fisiologico, resta ambiguo definire cosa sia la trance e quale sia il suo rapporto con la musica, che cosa è per il nostro autore la musica stessa? Questa è la sua risposta: «Nel contesto della trance, chiameremo musica ogni fenomeno sonoro ad essa associato non riducibile al linguaggio (si tratterebbe in tal caso di parole e non di musica) e che presenti un certo livello di organizzazione ritmica o melodica». Definizione innocua, che però non gli serve operativamente.

Dove sta il difetto scientifico di questo lavoro, per tanti versi così accurato? Nel fatto che la musica viene definita tout court, solo con una parola, salvo qualche superficiale accenno a ritmi, misure, cellule melodiche, crescendo e diminuendo, eccetera. Ma noi siamo certi che in ognuna delle aree culturali prese in esame il linguaggio musicale sia quanto mai preciso, con i suoi stilemi, teorie compositive ed interpretative; e che, per di più, la musica usata, nei riti abbia una sua grammatica e sintassi che è importante saper decifrare. Soltanto dopo un’analisi attenta del linguaggio musicale in tutti i suoi aspetti: sonori, strutturali e addirittura archetipali, del suo uso e delle possibili variazioni di questo uso, si può cercare di capire se e quanta importanza abbia la musica nel determinare, accompagnare o dissolvere lo stato di trance. Certo, le relazioni tra reazioni fisiologiche dell’organismo umano, musica e danza non sono per niente chiare; bisogna però avere il coraggio di buttarsi a formulare ipotesi e non basta limitarsi a darne lievi e approssimative descrizioni. Tutta la grossa parte dedicata alla Grecia, con citazioni da Pitagora, Platone e Aristotele, ripete cose risapute, e così pure la riesumazione dei rapporti tra musica e incantamento quali erano considerati nel Rinascimento europeo. Si fa di ogni erba un fascio e si conclude citando una lunghissima lettera di un giovane etno-musicologo originario del Benin e residente a Parigi a un suo amico e condiscepolo rimasto nel paese natìo, la quale, autentica o inventata che sia, è una caduta nel cattivo gusto: «Mio caro Asogba. Ieri sono stato all’Opéra. Ho creduto di impazzire! Dal momento che nessuno me ne aveva parlato, non me l’aspettavo; non ti dico la mia sorpresa nel trovarmi in piena cerimonia di possessione! Avresti creduto di essere a Porto Novo, in Piazza Dégué… ».

I pregi maggiori del libro sono comunque la gran quantità di informazioni e l’ampia bibliografia che, insieme con la rinuncia dell’autore a prospettare decisamente una sua ipotesi, stimolano il lettore a formulare le proprie.