20 – Marzo ‘86

marzo , 1986

Al Teatro Manzoni di Roma, in Via Monte Zebio, di recentissima inaugurazione, va anche
un po’ di merito per aver contribuito, con l’Associazione Giovani Musicisti e l’Assessorato alla cultura della Regione Lazio, ad organizzare le due serate di Giovani per la Musica il 24 febbraio e il sei marzo. Iniziativa che ci trova almeno entusiasti: sosteniamo da sempre, infatti, che la musica contemporanea deve essere il più possibile ascoltata da tutti, eseguita dai giovani, e non imbalsamata nel giro mortifero degli addetti ai lavori.

In una sala affollata – per lo più da amici e parenti dei giovani musicisti – si sono eseguite musiche di autori collaudati come Berkeley, Petrassi, Ghedini e Milhaud insieme con brani di giovani compositori come Dimitri Nicolau, Claudio Anguillara, Fabrizio Cardosa e Corrado Oddi. Composizioni quanto mai varie, sempre per pochi esecutori. Noi abbiamo assistito alla serata del 24 e siamo rimasti pienamente soddisfatti per la correttezza di tutti e per la bravura di alcuni. Ci ha rallegrato anche cogliere qualche brandello di infervorata discussione sul significato e valore dei brani e delle interpretazioni, tra il pubblico. La musica di oggi è sempre più viva: non si ha più tanto l’assurdo e ingenuo timore del passato e coraggiosamente si fa musica; bella, brutta, bene, male. Il 1985 è stato dichiarato Anno Europeo per la Musica; ma non si è fatto un gran che, per cui è importante che ci si rimbocchi le maniche e chi desidera ascoltare e fare musica non perda occasioni come queste e abbia voglia di lavorare senza aspettare interventi troppo paludati e troppo dall’alto. La serata è iniziata con un bel brano di Lennox Berkeley, Concertino. L’autore è nato in Inghilterra nel 1903 e la sua è una musica non troppo difficile, gradevole e accattivante. Così era anche questo brano per quattro strumenti eseguito dal Systema Ensemble: Alberto Galletti al pianoforte, Donatella Casa al flauto, Beatrice Gargano al violino e Albert Booz al violoncello. Un inizio brillante, ricco di imitazioni, poi una sezione centrale con un bel dialogo melodico fra flauto e violoncello; un ammirevole, anche per le armonie, discorso tra violino e pianoforte, concludeva un finale disinvolto e serrato con chiari grumi tonali che si stemperavano l’uno nell’altro. Ottima l’esecuzione dei quattro, espressivamente precisi.

Seguivano nel programma Tre giochi per flauto e chitarra op. 58 del compositore greco, da qualche tempo cittadino italiano, Dimitri Nicolau, in prima esecuzione assoluta. L’autore mira al preziosismo e spesso ci riesce: le sonorità scarne, ma sensuali si susseguono con cura meticolosa e gusto di stampo «ellenistico». I tre giochi rivelano nel complesso una buona capacità di comunicare attraverso la musica, malgrado qualche scollamento nel dialogo tra i due strumenti e alcune ingenuità degne di commentare un cortometraggio sulla savana. Non ci sono dispiaciute certe reminiscenze spagnolesche e abbiamo apprezzato il fluire continuo del la musica anche se non sempre consequenziale. Avremmo preferito poi un maggior rispetto per l’anatomia e la fisiologia degli strumenti; questo è però un discorso che vorremmo rivolgere a tutti i compositori: ogni strumento si è venuto formando nei secoli, secondo un processo di vera e propria evoluzione «genetica» e il «fenotipo» ha quindi caratteristiche proprie che devono assolutamente essere rispettate, anche se portate alle possibilità estreme; è inutile far spernacchiare una tromba o usare un violoncello come un tam tam, non bisogna mancare di rispetto allo strumento e allo strumentista. Bravi anche nei momenti più difficili Lisa Beth va Friend ai flauti e Claudio Scozzafava alla chitarra.
Cinque lieder hanno costituito il momento vocale della serata: il baritono Furio Zanasi ha cantato un sonetto del Petrarca musicato da Anguillara, Pace non trovo, dalla bella melodia arcaicizzante, con interessanti armonie; poi Verborgenheit di Morike, musicato da H. Wolf e Morgen di Mackay su musica di R. Strauss, pezzi di sapiente fattura. Il cantante ci è parso un po’ troppo rigido, con i muscoli della gola e del collo tesi in modo inverosimile, tanto da compromettere il timbro. Emozionato?

Il soprano Elízabeth Norberg Schulz ha eseguito: Canta un augello di Boiardo, messo in musica da G.F. Ghedini e il Lamento di Arianna, versi di De Libero musicati da G. Petrassi. Corretta ma insicura all’inizio di alcune frasi melodiche del primo brano, la giovane cantante ha dato un’interpretazione buonissima dello stupendo pezzo petrassiano, con voce precisa, calda, appassionata e drammatica.

Al buio, dal buio, per nastro magnetico, di F. Cardosa, con cui si è aperta la seconda parte della serata, era solo un frivolo e ormai datato giochetto sonoro; mentre la successiva Ignota Elegia, per pianoforte amplificato, del medesimo autore, benché eseguita con bravura da Alberto Galletti, ci è parsa una successione di accordi volgari, inframezzati da sgradevoli note isolate, senza logica a dispetto dei vaneggiamenti della presentazione.
Ancora di Nicolau abbiamo ascoltato: Nel sogno una cosa, op. 57, per sax contralto, sax baritono e pianoforte. Un bel brano che apre con un lungo dialogo amoroso tra i due sax, sensuale e piacevole, ma che esclude troppo il pianoforte, costretto ad adattarsi a fare da eco e da accompagnamento, ben trovando la sua collocazione solo nel finale, quando riesce ad amalgamarsi coi due. L’esecuzione di Federico Mondelci al sax contralto, Massimo Mazzoni al baritono e Giovanna Giuliodori al pianoforte è stata impeccabile. Scaramouche di D. Milhaud è un brano arguto e ironico, arricchito da un samba bellissimo. Mondelci e la Giuliodori lo hanno eseguito con sapiente ingenuità attenti al ritmo e al fraseggio.

Il Gruppo Jazz ha eseguito Rhombe. 3/4 Piece di Corrado Oddi, un brano complessivamente molto ben costruito, dal bell’inizio barocco e dissonante, che si stempera un poco in una parte centrale di routine, ovvia, ma che sa però riprendere quota e mordente nel finale. Corrado Oddi alla chitarra, Massimo Nunzi alla tromba, Mauro Guidi al sax alto, Maurizio Urbani al sax tenore, Gianfranco Tedeschi al contrabbasso, Sandro Tomassetti al vibrafono e alle percussioni e Fulvio Maras alla batteria erano ben amalgamati, magari un po’ compiaciuti di qualche effetto da antica band. Perplessi ci hanno lasciato le amplificazioni; ma è un guaio ricorrente di cui non ci si sente di incolpare i suonatori.