20 – Marzo ‘86

marzo , 1986

Il consenso

L’interesse per la psicoanalisi pare esprimersi soprattutto sotto la forma di una eccessiva curiosità per gli psicoanalisti. Mentre è indispensabile che un fisico diventi almeno un premio Nobel perché la gente si interessi a lui e un chirurgo che si occupa di trapianti cardiaci non fa breccia col suo nome nella memoria collettiva rimasta ferma al magico nome di Barnard, gli psicoanalisti vengono tirati in ballo con una certa frequenza nelle discussioni di salotto e d’ufficio. Al di là però dell’accanimento con cui viene sostenuta la posizione dell’uno o dell’altro, c’è l’impressione che non tanto di teorie scientifiche o di tecniche terapeutiche si stia trattando, quanto dell’accettabilità di questa o quella figura di imbroglione. Capita, infatti, che un insuccesso clinico o un’avventura personale spingano subito l’opinione comune a identificare la teoria con il teorizzatore, trascurando l’una e vivisezionando l’altro, più ancora: negando che la psicoanalisi sia qualcosa di autonomo dal singolo psicoanalista. Cosa per lo meno strana, se si consideri che nessun crollo o disastro, avvenuto per una cattiva applicazione dei calcoli di ingegneria, ha messo in discussione la legittimità della matematica. Mago, strizzacervelli, guru, persuasore occulto, sono termini ed espressioni che alludono alla poca limpidezza dell’atmosfera che si costituisce intorno a chi si occupa di psicoanalisi, cercando, magari, di svolgere con la maggior discrezione e correttezza possibile la professione che si è scelto. Se poi costui ha la presunzione di elaborare una teoria, di operare in base ad essa e di formare altri alla sua scuola, proponendosi come Maestro, allora è subito guerra santa! Da una parte, il drappello dei seguaci: allievi e discepoli o semplicemente simpatizzanti, che imbarazzano per l’entusiasmo acritico di cui si rivelano, fuori luogo, capaci; dall’altra parte, l’esercito dei denigratori, troppo preoccupati difensori della libertà da ogni impegno, per sembrare genuini e sfuggire al sospetto dell’intolleranza o dell’invidia. La ricerca del consenso è il comune denominatore di ogni attività umana ed è tanto più intensa quanto meno è esplicita, tanto più negata quanto più totale: tanto meno criticata quanto più frivola. Ma se questa ricerca di consenso diventa esplicita, non banalizzante e pretende di porre le condizioni per una reciproca e consapevole accettazione allora è lo scandalo. Come si può avere l’improntitudine di porre le condizioni di un contratto e di pretenderne l’applicazione, senza che le norme siano quelle totalizzanti del potere che non ha limiti e dell’obbedienza che non ha coscienza? Ecco che lo psicoanalista non ha più il diritto di sentirsi legittimato a costruire il suo edificio, scegliendo i materiali, il disegno e i collaboratori che trova più congeniali al progetto; se osa farlo dovrà accettare che si tenti di abbattere la sua costruzione insieme con lui. A meno che non sia tanto furbo da ottenere più consenso di quanto gliene serva, senza però chiederlo, solo concedendo un poco alla stupidità che si finge democrazia.