20 – Marzo ‘86

marzo , 1986

Giulio Turcato è nato nel 1912, ha operato scelte estetiche difficili quando queste scelte significavano contraddire il fascismo e il realismo naturalista caro a Togliatti. Una militanza artistica che ha la prerogativa della coerenza, come si può anche ben vedere in questa grande mostra antologica e retrospettiva alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Valle Giulia, curata da Augusta Monferrini, con la collaborazione di Vana Caruso e Gianfranco Proietti. L’astrattismo per Turcato si esprime soprattutto con il colore e i suoi colori mettono addosso un’allegria un po’ superficiale. Nelle sale, grandissime e meno grandi, i colori fanno bella mostra di sé. La pittura di Turcato ci sembra soprattutto buffa: graziosa, seduttoria, decorativa, non ha la pretesa di grandi o piccoli messaggi e, col tempo, ha perso l’energia polemica che l’animava, per esibirsi, ironica ed autoironica, straripando anche spazialmente, con l’enormità delle ultime tele. Tralasciando riflessioni possibili su quadri assai remoti come il Ritratto di Gloria Chilanti del 1944 pienamente figurativo, con reminiscenze di Matisse; l’interesse nostro è stato attirato dalla rapida evoluzione verso l’astrattismo che ci pare di poter cogliere tutta nelle due edizioni di Comizio. Il quadro del 1948 e quello del 1950 sembrano a prima vista uguali, col dominante rosso delle bandiere; ma nella stesura del 1950 i rettangoli rossi sono diventati triangoli e un facilmente leggibile paesaggio è diventato reticolo di segni bianco-marroni. Dopo di che: il pittore si lascia andare ai suoi Reticoli grigi e neri; alle sue Composizioni di segni su fondo rosso, ai suoi ricordi di New York, con pezzi di carta carbone incollati sulla tela, visioni di Superfici lunari nerissime con piccoli bubboni che preparano lo sganciamento da ogni realtà e che portano al colore puro e irridente dell’Apparizione, del 1985, gioco gestaltista azzurro e arancione di cui non viene detto quale dei due è sfondo per l’altro, proprio perché nessuno dei due è figura.

Oltre che i colori dei quadri, aumentano l’atmosfera da fiera i numerosi «oggetti» di Turcato, dai colori e dalle forme che vorrebbero essere inventati, sculture mobili appese a fili, come le Oceaniche o il triplice Sarcofago del 1974; qualche volta con improbabile ispirazione mistica come La ruota di S. Caterina del 1968 o La spina di Cristo e della Maddalena, del 1972; opere che forniscono come dato la pochezza dei materiali, stridenti con la ricchezza cromatica di cui si vestono. Gran spreco di spazio per, tutto sommato, poca cosa, che però ha fornito il pretesto mondano per una vernice frivola e affollata di personaggi che col loro garrulo cicaleccio accentuavano l’impressione di vanità di quei colori e di quelle forme degne di un carosello per la Coca Cola; non sempre si può bere Chateu d’Ygem!

Nino Cordio, un siciliano di quasi cinquant’anni, è un uomo maturo e un artista schietto e molto della sua personalità umana ed artistica si può capire attraverso l’esame del suo lavoro nel corso degli anni. Le sue opere sono piacevoli da guardare, accattivanti, talvolta un po’ ingenue e rivelano una grande capacità tecnica e uno spirito attento ed autonomo: suggestioni dei presente e del passato occhieggiano, inserite però sempre in una sintesi personale. Nature morte e paesaggio sono i soggetti preferiti, scelti però non a caso e raccontati con cura, a costruire una storia, fatta di colori e di luci, di amore e di ricordi. In questa mostra alla galleria d’arte Il Gabbiano, di via della Frezza 15 sono presentati tra l’altro recenti dodici affreschi, particolarmente interessanti e affascinanti per quel che di arcaico sanno suscitare nell’osservatore. Viene voglia di toccare e non solo di guardare quelle tavole massicce, incorniciate di legno grezzo, per meglio rendersi conto della concretezza di quei materiali che parevano dimenticati e si rivelano capaci di amichevole ed immediata poesia. Anche i soggetti di queste opere sono semplici cose, diversamente accostate: cipolle e melagrane, pane e granturco, arance e mele o sommessi paesaggi di felceti. Sicilia e Umbria sono i luoghi anche della mente oltre che della vita del pittore. Un tentativo che non ci ha del tutto convinti è quello delle sculture di legno nelle quali non ci pare ancora ben riuscito l’incontro tra l’artista, il materiale i soggetti prescelti; sono però qui presentate solo tre opere non recentissime, come se il discorso fosse stato lasciato in sospeso qualche tempo fa.