20 – Marzo ‘86

marzo , 1986

A Roma non ci sono soltanto i ristoranti, le trattorie ed osterie affollati di turisti, in prossimità dei monumenti o nei luoghi famosi, ricchi di storia. Ci sono anche locali situati in quartieri non toccati dal turismo, frequentati da romani che hanno deciso di andare fuori a cena. Si trovano spesso in vie un po’ anonime, strade più o meno tranquille, ricche soltanto della luce particolare che pervade tutta la città. A noi piace frequentare anche questi posti, perché si può sperare che, lontani dalla confusione del turismo di massa possano permettersi di curare meglio una cucina dedicata per lo più a clienti abituali e quindi più attenti alla qualità. Purtroppo raramente è così e la cosa ci lascia stupiti e ci spinge a chiederci cosa induce quegli avventori a ritornare in certi ristoranti o ad accettare prodotti di cucine così indecenti e vini così ignobili. Oltretutto non hanno neppure il dovere professionale di parlarne! Misteri dell’anima e del palato umani!
Vogliamo qui raccontare l’ennesima disavventura capitataci in uno dei nostri giri nella Roma di tutti i giorni. Mentre la città era sotto la neve, capitammo davanti alle luci di Nello l’Abruzzese, al numero 19 di via Montesanto, che ci parvero di conforto nella notte. Speranzosi e affamati varcammo la stretta soglia e ci ritrovammo in una vezzosa stamberga, con caminetto acceso, spiovente di finte tegole con edera sulla parete di fondo, debitamente affrescato in rustico stile. Noi due siamo spesso accompagnati da lieta brigata per cui non perdemmo subito il buonumore: non è infatti detto che la buona cucina sia inseparabile dal bell’arredo. Ordinammo un’ampia scelta di piatti e provammo alcuni vini; eravamo in molti, l’appetito era robusto, il buon umore non mancava; ma il più restò nei piatti e nelle bottiglie.
Gli antipasti di verdure erano banali e troppo unti e quella che avrebbe dovuto essere la crosticina di un gratin era molle poltiglia. I tonnarelli abruzzesi erano duri e con un sugo indecifrabile e disarmonico; mentre le fettuccine alle melanzane lasciavano solo una sensazione ingiustificata di piccante sulle labbra; le penne al gorgonzola erano senza sapore e le orecchiette «a piacere» suonavano un insulto alla commestibilità. La pizza abruzzese pareva uno scherzo dell’ultimo giorno di carnevale, con la pasta vitrea e il prosciutto di cartone.
Con i secondi, la situazione non migliorò; ci pare crudele insistere nella descrizione, ma è doveroso: il portafoglio abruzzese era un pezzo di carne massiccio imbottito malamente; gli straccetti di manzo alla rughetta erano veri brandelli di carne resa aspra dal troppo limone e dal sale non ben disciolto; le sogliole alla mugnaia parevano cotte solo in acqua; le mazzancolle stoppose ed amare; forse peggio di tutto la vitella all’uccelletto, vera fetta di polistirolo non espanso. Le facce, ora meno allegre dei nostri amici, non si poterono rallegrare nemmeno con dolci: gelati, tartufi, crème caramel e frappe di grande tristezza. Tra i vini, dopo aver assaggiato un putrescente bianco della casa e un maderizzatissimo Montepulciano d’Abruzzo, abbiamo preferito ripiegare sugli standardizzati, ma affidabili Fontanacandida e S. Giocondo. Il conto non fu né alto né basso, come conviene che sia, quando si deve contare su clienti abituali e di quartiere.

Tra le luci e i lumini di Trastevere di notte, siamo stati attratti dal chiarore discreto e un po’ intimo di Marcel, inaspettato ristorante franco-tunisino di via della Scala 8. L’arredo ingenuo e pasticciato va dal rustico medioevale, al «Napoleone Ventiquattresimo», con passaggi attraverso il déco e l’esotico. Il rosso delle tovaglie, la penombra e il brusio sommesso, l’apertura fino a notte inoltrata, ne fanno anche un posto da coppiette. Tutte caratteristiche che ispirerebbero diffidenza e invece dobbiamo dire che Marcel lavora con onestà e correttezza: non abbiamo assaggiato moltissimi piatti e quindi non vorremmo illudere e deluderci, però ci sembra che la cucina riveli buone capacità. Veramente gustoso abbiamo trovato il cous-cous, semola fresca e leggera, ricche e saporite guarnizioni di verdure e merguez, con due buone salse di accompagnamento, ben differenziate tra loro: l’una piccante e l’altra aromatica. Un piatto insolito e piacevole è il polpo in umido, assai morbido, con un sugo non acquoso, profumato di erbe e spezie. Meno convincente forse l’aspetto francese: il boeuf Strogonoff era appena corretto, un po’ svilito dagli champignons; ma ottima abbiano trovato la mousse di cioccolata, dalla giusta consistenza e morbidezza. Anche la carta dei vini non fa onore all’ispirazione francese: tra i pochi e consueti, abbiamo gradito un prosecco dei colli trevigiani, fresco e piacevole, senza infamia e senza lode.
Il conto ci è parso onesto, considerando anche l’ora, e il servizio è correttamente svolto dalla Signora Renate (?), assai compresa nella parte.