Psicoanalisi contro n. 18 – Pasolini e la psicoanalisi

dicembre , 1985

Dopo l’uccisione di Pier Paolo Pasolini, i ben pensanti, gli amici, i nemici, dissero tante cose. Era giusto così. Quell’uomo era diventato famoso proprio per mezzo, in virtù e attraverso quei canali della comunicazione di massa, borghese, che tanto disprezzava; ma che non riuscirono mai a trasformarlo in uno stupido.

Frasi stupide su di lui se ne dissero e scrissero tante, invece. Ricordo un’affermazione particolarmente volgare: un tale, molto vicino alla psicoanalisi, disse che, se Pier Paolo Pasolini si fosse fatto curare psicoanaliticamente, non sarebbe morto in quel modo. Io dico che chi ha detto questo o non ha mai fatto psicoanalisi, oppure, se si è sottoposto a un trattamento psicoanalitico, certo, non è mai guarito. Se guarire attraverso la psicoanalisi significasse diventare imbecilli, paurosi, paghi di sfogare la propria imbelle libidine di castrati con la violenza negli stadi, la psicoanalisi sarebbe allora una ben misera cosa.

Certo, nulla accade per caso, neanche la morte; e la morte non è mai un bene. Ma che diritto ha uno «scienziato della psiche» di sentirsi così onnipotente? Con la psicoanalisi si può imparare a non avere paura, né del giorno né della notte; da essa dovremmo imparare a sostenere con allegria e con durezza le nostre opinioni; ad amare il corpo degli altri, anche del nostro stesso sesso; a cogliere la poesia delle cose e non a temere il terrorismo culturale.
Per questo, io dico che Pasolini era profondamente sano. Anche se nei suoi scritti – e non nella sua vita – è evidente un bisogno eccessivo di adeguarsi alle teorie freudiane. Non dico: al modello di salute freudiano; ma alle teorie di Sigmund Freud.
Per fortuna, le quattro formulette su cui si basa ogni teoria psicoanalitica non potevano essere sufficienti per la sua grandezza di poeta, come non lo sono per la grandezza del mondo.

Il poeta non deve aver paura di nessuna scienza!