18 – Dicembre ‘85

dicembre , 1985

Il libro di Aldo Carotenuto L’autunno della coscienza (Boringhieri 1985, pagg. 118, L.16.000) ha una sola caratteristica: lo squallore di due o tre delle più ovvie banalità psicoanalitiche, trite e ritrite, monotonamente ripetute dall’inizio alla fine. Noi siamo d’accordo sul fatto che attraverso le opere di un artista, si possa intuire molto della sua struttura psichica; ma dobbiamo riconoscere però che, in genere, psicologi e psicoanalisti – Freud compreso – hanno detto per lo più cumuli di sciocchezze, quando si sono cimentati in questo genere di imprese. La psicoanalisi, allora, non potrà mai capire l’arte e l’artista? Noi crediamo che ne avrebbe la possibilità; ma sarebbe tempo di smetterla di ripetere sempre le stesse formulette, calate indiscriminatamente su autori ed opere, con il risultato di giustificare il fastidio che troppi provano per la psicoanalisi e gli psicoanalisti. Carotenuto per tutto il libro dice solo questo: Pasolini viveva un conflitto interiore, originato dalle liti fra i genitori al tempo della sua prima infanzia, odiava il padre e amava la madre, salvo, successivamente, passare ad odiare anche lei e tutte le altre donne. Da ciò sarebbe stato indotto ad avvicinarsi, con senso di colpa e paure inconsce, agli uomini. L’uccisione della madre e l’uccisione del padre sono l’esito inevitabile di un atteggiamento esistenziale che non ha saputo che proporre la scelta tra due tipi di morte. Queste belle pensate Carotenuto le ricava dall’analisi sommaria del romanzo pasolinano «Ragazzi di vita» e, ancor di più, inferendo sciacallescamente da aneddoti, più o meno verificabili, della vita dell’Autore. Urla vera miseria intellettuale al confronto dell’artista e della bella opera con cui si cimenta! Basta, crediamo, un piccolo accenno, una citazione dal libro in questione, per dare un’idea di quanto si possa mancare del senso del ridicolo professionale: «…Riccetto e compagni compiono anche altri furti: una rapina a un cieco e il furto di un chiusino di tubature. Perché proprio a un cieco e perché l’infilarsi in un tombino? Quella del cieco è una condizione particolare poiché, senza un contatto visivo diretto con la realtà esterna, egli è costretto a un rapporto simbolico col mondo, mediato dalla sua interiorità; è dunque, la cecità, una condizione che offre l’opportunità di una relazione con l’inconscio. Il furto, come espressione dell’attività cosciente, si rivolge a una dimensione più profonda. E così anche nel senso del chiusino e dei tubi.» (pagg. 34-35).

Con un’attenta lettura degli scritti pasoliniani, Enzo Golino nel volume Pasolini: il sogno di una cosa (ed. Il Mulino 1985, pagg. 274, L. 25.000), cerca di dimostrare, documentandolo, il continuo impegno pedagogico di P.P. Pasolini. Il libro contiene osservazioni di ogni genere: dalla critica letteraria alla nota di costume; ma quello che interessa Golino è il problema pedagogico: secondo lui, Pasolini è nato pedagogo, con una moralità dilaniata e oppressa dai sensi di colpa. Usando, in modo non presuntuoso, anche la psicoanalisi, l’autore delinea tratti della personalità del Poeta: l’omosessualità e il desiderio di ribellione; per giungere alla conclusione che perseguisse il sogno di essere proprio un «Padre Sole», che sarebbe il «simbolo inequivocabile, un segno radiante che nella dimensione dell’Autorità riassume il senso, di una rara assolutezza, della paideia pasolinana».
Bisogna dare atto a Golino di essersi astenuto da voyeuristiche osservazioni sulla vita del Poeta che non risultino tratte direttamente dall’opus pasoliniano (cosa che troppi hanno fatto). Il risultato complessivo è quello di offrirci un ritratto di Pasolini un po’ convenzionale, ma di grande correttezza critica e intellettuale, che dà al lettore utili elementi di riflessione e conoscenza.