18 – Dicembre ‘85

dicembre , 1985

«La forma dello sguardo» è la «mostra» che dal 15 ottobre al 15 dicembre resterà aperta ai Mercati di Traiano, col proposito di documentare, panoramicamente, l’opera di Pasolini. Il manifesto di Mario Schifano è l’elaborazione di una sequenza fotografica in cui è ripetuto più volte il ritratto di Pasolini: particolari del volto o l’intera figura affiorano da una pittura che è concitato segno colorato, come di un’ansia non controllata e, forse, perciò, riduttivamente accennata.

Aggirarci per quegli spazi ci ha fatto provare sensazioni diverse: commozione, irritazione, noia e un po’, anche, di disorientamento. Tutto è affastellato: cimeli della vita e dell’opera di Pasolini si sparpagliano o si ammucchiano, come in un negozio di rigattiere, mentre una serie di teleschermi trasmettono interviste filmate e la Sua voce si spande intorno. Il percorso tenta di essere cronologico, ma poi i temi si intrecciano e si procede più a zig-zag.
Ci sono rimasti impressi i suoi disegni, dal tratto sicuro, niente affatto ingenuo, aggressivo e tenero, cattivo e affettuoso, caricaturale e ironico, coerente e consapevole, che vanno dai ritratti anonimi dei tempi friulani alle laurebetti perversamente investite di bagliori di amore-odio.

Ci ha commosso la concretezza spenta dei costumi della «trilogia della vita» e di «Medea»; i tessuti e i gioielli, le fogge studiate da Donati, Tosi e Tirelli sembrano barbare spoglie, di funebre bellezza, private della vita dei personaggi pasoliniani che di esse si erano rivestiti.
Ci ha disturbato l’eterogeneità dei documenti, l’eccesso di fotografie con didascalie, la mancanza di prospettiva dell’insieme, l’intenzione un po’ cattiva di forzare un’immersione totale con poca spesa.

«Come mosche nel miele», intrigante e significativa frase colta tra i graffiti sui muri di New York, s’intitola la mostra di opere di Renzo Vespignani, allestita nell’ambito dell’Omaggio a Pasolini a villa Medici a cura di Carmine Siniscalco.
Si tratta di un centinaio di opere, oli, disegni e tecniche miste, che indagano l’universo pasoliniano, e col lavoro di nove anni – sono state tutte realizzate tra il 1976 e oggi – testimoniano il legame artistico tra il pittore e il Poeta.
Vespignani stesso ci dice da dove incomincia il viaggio che egli ci invita a compiere: da il «Reperto A-RPX-117/6», un olio che rappresenta la giacca di Pasolini, ridotta a reperto giudiziario, lacera e insanguinata, buttata su di uno scaffale, macchia sinistra contro un muro biancastro. Vespignani è un buon pittore: l’efficacia e la potenza del suo disegno, la precisione dei tratti, la maestria nell’uso dei colori, il modo con cui la presenza e l’assenza della luce scandiscono emotivamente la scena, la capacità di fissare le fisionomie e i particolari, danno l’impressione di grande maestria.
La sua poetica però non ci convince fino in fondo e proprio nel confronto di tematiche parallele a quelle pasoliniane, si vede come la sua statura sia decisamente al di sotto.

La sua opera affascina, ma in troppi momenti affiora il sospetto del tartufismo: paura, paura, paura e ancora paura. Non perché il mondo faccia paura, o perché Roma sia così laida e temibile, ma paura di parlar chiaro. A questa paura Vespignani sembra cercare di sfuggire esorcizzandola con un sadomasochismo troppo rileccato e morboso, col gusto di trasformare la spazzatura in materia preziosa: le «Nature morte» e i «Resti», i «Quartetti». In molte opere fanno capolino un’estetica e una poetica vicine a quelle di un famoso scrittore giapponese – che non sappiamo se Vespignani conosca – Mishima; ed ecco le carcasse, le motociclette, pittura sempre ad altissimo livello; ma l’arte, anche quella figurativa, non è soltanto forma: la morale e la politica ne sono l’essenza e quindi la forma della forma. Proseguendo, un’opera che ci colpisce nel profondo, «In memoria», come una esplosione; e poi altre, «Comunione», «Abbraccio» e «Pornografia» e altre ancora: finalmente il coraggio; l’amore, non più necessariamente legato al senso di colpa e al disorientamento.

Il tratto diventa potente, meno rattrappito nella precisione accademica, più disteso nell’esaltazione del corpo virile, coi sessi in evidenza; maschio che ha il coraggio di vedere e toccare l’altro maschio, quello che gli è realmente uguale e diverso allo stesso tempo. Sono, indubbiamente, presenti anche il dolore, la disperazione, presenti perché ci sono anche nella vita. C’è la malattia, «Ritratto», ma è riconosciuta e c’è la voglia di guarire.