17 – Novembre ‘85

novembre , 1985

In un posto che più romano non potrebbe essere, proprio davanti al Colosseo, c’è il ristorante Al Gladiatore, in piazza del Colosseo, 5. Il nome del locale e il luogo in cui si trova fanno capire che il cliente su cui si vuole fare presa è il turista di passaggio; ma ai tavoli si vedono anche molti romani, evidentemente habituès. I turisti sono giustificati, gli avventori occasionali, poveretti, anche loro; ma proprio non riusciamo a capire i frequentatori abituali. Tutto è sgradevole: dal tono falsamente rustico dell’ambiente, con gran spreco di legno e brutti quadri alle pareti, al servizio sciatto e approssimativo; e i cibi e le bevande sono poi un vero supplizio. Non riusciamo a trovare giustificazione plausibile per tanta mancanza di serietà professionale, anche se si è proprio sotto il Colosseo.

Si può cominciare con un antipasto del gladiatore che altro non è che la consueta sfilza di verdure cotte, immancabile in ogni trattoria senza idee; qui, per di più, sono unte e bisunte, ed hanno tutte lo stesso indistinto e indefinibile sapore stantio. Tra i primi, abbiamo sperimentato i cannolicchi alle erbe, veramente umoristici: sotto un cumulo – abbondante – di minuscoli maccheroncini, stagnava un acquitrino indecente, da cui sbucava una vera e propria foresta di arbusti durissimi, che ci si infilavano nel naso e negli occhi; né ci sono parsi migliori i ravioli alla ricotta e spinaci, dalla pasta coriacea e dal ripieno insipido. La trippa alla romana ci è stata servita in un brodaccio rosso e il maialino al forno con patate non aveva migliore sapore del resto. Cicoria ripassata e broccoli erano il degno contorno. La torta al cocco assomigliava più del consentito ai giochi di sabbia dei bambini e la torta di mele sembrava di ovatta.
I vini che abbiamo provato – tra i pochi proposti – sono stati un Gavi della Scolca del 1983, che pareva vecchio di dieci anni tanto era stato mal tenuto e aveva perso ogni speranza di sapore; poi un Cesanese di Olevano del 1983, un rosso inoffensivo, ma con poca dignità. Il conto ci è parso, per tanto poco e tanto male, davvero eccessivo. Per scaricare la nostra rabbia, ci siamo comportati molto male: abbiamo rovinato la cenetta idilliaca di un ragazzo e una ragazza in romantica evasione – lui col giubbettino buono e lei acconciata in stile «Madonna» – erano seduti vicino a noi, gomito a gomito, ed avevano iniziato la loro cenetta radiosi: trovavano tutto meraviglioso; ma, costretti a sentire i nostri commenti, hanno perso dapprima il sorriso e poi è scesa sul loro volto una tristezza silenziosa. Siamo fuggiti di fretta per la vergogna.

Charly’s Sauciere è il pretenzioso blasone di un localino – oramai storico – di spirito francese, situato al numero 270 della romanissima via S. Giovanni al Laterano. Già la modestia dell’arredo frena però l’entusiasmo mondano di chi si siede ad uno dei non molti tavoli sistemati in due ambienti. Non che si pretenda sempre l’argenteria in tavola; ma veder le salsine offerte nei barattolini vuoti di uova di lompo pare eccessivo in un posto che, già, sulla carta, promette un conto decisamente salato. Paté maison, assiette gourmet e poisson fumé sono i francesissimi nomi di antipasti un po’ sgangherati: infatti il paté è buono, ma la salsa che lo accompagna è dolciastra, l’assiette ha grossi scompensi: le aringhe, il salmone e il fegato di pesce hanno sapori buoni di per sé, ma non armonizzano tra loro e stanno male nello stesso piatto. Il pesce affumicato risulta umiliato dalle superflue uova di lompo che lo ricoprono.Bello e abbastanza buono, malgrado un gusto eccessivo di uovo crudo, il soufflé di formaggio. La zuppa di cipolle è troppo gratinata in superficie e troppo lenta sotto e le lumache sono uccise dall’aglio e dalle erbe della salsa. Proprio un disgustoso errore culinario è il riso al curry.
Con le carni si conferma l’insufficienza della cucina: filetti, controfiletti, scaloppe, sono pezzi di carne anonimi e sospettosamente troppo teneri e i condimenti, siano di erbe, bordolesi o al Calvados, hanno sapori indecisi e qualche volta stucchevoli. Buono ci pare invece un modesto ma croccante tortino di patate. Imperdonabili, per un posto «alla francese», le gommose crèpes; la coppa Charly è solo colla di pesce alla vaniglia mentre quella danese sa di acido fenico. La carta dei vini è piuttosto limitata; ma noi ricordiamo con piacere un buon Sauvignon Plozner dell’84, fresco e profumato di salvia e un Dolcetto d’Alba La Pria dell’83, di grande dignità.
Noi siamo adoratori della cucina francese – soprattutto di quella d’antan – e per questo ci è veramente dispiaciuto vederla così mal ridotta.

Non è facile trovare luoghi di ristoro accessibili nelle ore del dopo spettacolo, anche se oggi lasituazione è un po’ migliorata rispetto agli ultimi due o tre anni. Rimane però impresa quasi disperata trovare posti che, a quell’ora, offrano agli avventori cose, non diciamo appetibili, ma almeno non venefiche. Noi conosciamo un locale che frequentiamo assai spesso, perché, oltre ad essere aperto a tarda ora ed essere situato in un bel posto centrale di questa bella città, ha camerieri allegri e gioviali, è attrezzato per molti coperti, tra interno ed esterno, ed è quindi in grado di far fronte con l’ineccepibile professionalità dell’équipe di cucina ad ogni afflusso di avventori. Queste sono alcune tra le ragioni per cui ai due farfalloni piace star seduti, soli o con i loro molti amici, ai tavoli della Capricciosa in Largo dei Lombardi 8 affacciati sul Corso, a discorrere, a discutere a motteggiare e a ristorarsi senza ansie. Citiamo, a caso, alcuni dei piatti dalla lista piuttosto ricca di proposte tra la sezione del ristorante e quella di pizzeria. Piacevoli olive ascolane per l’inizio pasto, leggere e croccanti, che arrivano in tavola belle calde, o l’antipasto di mare, che non esce dal frigorifero e di cui si possono apprezzare le sfumature di sapore; risottini e paste, magari un po’ banali, sono però sempre cotti al punto giusto e di sapore vivace, anche se i funghi sono per lo più champignons e nei tagliolini alla ciociara abbondano i piselli; raramente compare, per fortuna, la panna nei sughi. Dalla pizzeria arrivano pizze tradizionali e anche idee nuove, buona è la pizza alle cozze ed insolito e gradevole il crostino al salmone, che forse, ci guadagnerebbe ad essere meno asciutto.
La scelta tra i secondi di carne o di pesce va dallo squisito fritto di paranza, quando c’è, alle salsicce con patate, dal robusto sapore ma di facile digeribilità; ancora, tra i piatti più riusciti, il fritto di cervello e zucchine o di calamari e gamberi. I dolci sono corretti e vengono offerti in porzioni abbondanti.
Una mancanza ci pare però doveroso denunciare: c’è troppa trascuratezza in cantina; i vini offerti sono trite banalità, a volte anche peggio e non sempre le bottiglie sono ben trattate. Il conto, non particolarmente basso, è però contenuto. Si capisce facilmente che non abbiamo fatto nessuna scoperta sensazionale: la lista è piuttosto scontata e il posto non ha insolite attrattive; ma appunto per questo ne parliamo, per dire che basterebbe una maggior correttezza professionale e molti ristoranti e trattorie di Roma potrebbero diventare posti in cui è piacevole, indugiare, apprezzando cibo semplice e gustoso; anziché essere trappole insidiose per lo stomaco e il portafoglio.