15 – Luglio ‘85

luglio , 1985

Concerto di mezzogiorno del 27 giugno
I concerti di mezzogiorno sono incominciati, con gli incontri curati da Paula Robinson e Scott Nickrenz, la mattina di giovedì 27.
Il primo brano in programma era di un poco noto compositore bolognese del Seicento: la Sonata I in fa maggiore di Pietro Baldassarre, eseguita da Stephen Burns alla tromba, Joseph Swensen e Dong Suk Kang, violini, Scott Nickrenz, viola e Jeffrey Kahane, clavicembalo. Pezzo di sapiente fattura che, nei tre tempi tradizionali: allegro, grave, allegro, passava da una garbata vivacità a un melodiare sinuoso e sensuale, per ritornare a uno scintillante dinamismo.

Purtroppo, la tromba è stata un disastro: i fiati erano presi in modo sbagliato, le sonorità sporche, l’intonazione ambigua; i suoi compagni di sventura facevano veramente fatica a imporgli di rispettare il tempo.
Dong Suk Kang ha poi eseguito quattro Capricci, numeri 9-13-17 e 23, di Paganini, porgendoli con non disdicevole irruenza romantica, particolarmente evidente all’inizio del capriccio n. 17, dalla concisa perentorietà di un motto lapidario: ne veniva fuori una lettura comunque corretta, anche perché la mano era fluida e l’intonazione sufficientemente precisa.

Il concerto si è concluso con il bel Quartetto con pianoforte di Robert Schumann, con gli stessi Nickrenz e Kang, con Colin Carr, violoncello e Jean Yves Thibaudet, pianoforte.
Ne è scaturita un’esecuzione d’assalto: le belle melodie, prese di petto, si concludevano con cadenze un po’ sbattute in faccia; il tutto non era sgradevole, ma non pareva molto meditato; tutta la prima metà dello splendido terzo tempo è stata piena di sonorità troppo dure, che però sono andate lentamente ammorbidendosi; e il quarto tempo, fugato, aveva un che di eccessivamente militaresco nell’esecuzione.

Concerto di mezzogiorno del 28 giugno
Questo venerdì sono state eseguite musiche di F. Schubert e F. Mendelssohn. Del primo il violinista Joseph Swensen e il pianista Jeffrey Kahane hanno eseguito la Fantasia in do maggiore: un fluire ininterrotto di musica meravigliosa. Il violino, pur esprimendosi attraverso un bel suono, risultava un po’ troppo debole e sospiroso, tanto che il pianoforte, invadente, talvolta finiva col sopraffarlo, quasi annullandolo.
Veramente eccezionale la prestazione dei giovani del quartetto statunitense Meliora: Ian Swensen e Calvin Wiersma, violini, Maria Lambros, viola, Elisabeth Anderson, violoncello, impegnati nell’esecuzione del Quartetto in mi minore, op. 44, n. 2 di Mendelssohn, durante la quale hanno dimostrato una sapienza interpretativa e una capacità di suonare insieme veramente straordinarie. Sempre l’accordo è stato perfetto: sia nei lunghi periodi in cui le armonie cangiano con scioltezza consequenzialità, sia nei momenti in cui il melodiare passa dall’uno all’altro dei quattro strumenti; sempre l’intonazione è stata ineccepibile, il ritmo preciso e senza tentennamenti. Ne siamo rimasti veramente ammirati.

Concerto di mezzogiorno del 29 giugno
Questo sabato e il successivo sono dedicati a J.S.Bach nel terzo centenario della nascita. Il primo dei due concerti aveva in programma opere fondamentali, di una bellezza assoluta. Nella Sonata in Si minore per flauto ed archi, l’organico ridotto non ha nuociuto all’equilibrio e alla perfezione intrinseca di questo brano. Gli esecutori: Paula Robison, flauto, Dong Suk Kang e Joseph Swensen, violini, Scott Nickrenz, viola, Carter Brey, violoncello, Sarah Thompson, contrabbasso, John Gibbons, clavicembalo, ci sono parsi tutti abbastanza corretti, sebbene un po’ superficiali, sia nelle parti contrappuntistiche, sia in quelle in cui primeggiava la melodia; inoltre è stata eccessiva, in alcuni punti, l’accentuazione ritmica. Questa musica deve essere più meditata, anche quando è di apparente lievità. Paula Robison, un po’ anonima e non sempre sicura nell’intonazione, ha però cercato di amalgamarsi con gli altri.

La Fantasia cromatica e fuga è una costruzione sonora da mozzare il fiato; Gibson ha mani straordinariamente duttili e fluide, questo però gli ha nuociuto nell’esecuzione della fantasia: volava sui tasti piombando sugli accordi con piglio un po’ chopiniano; si è dimostrato, improvvisamente, profondo e accurato, con uno strabiliante voltafaccia interpretativo, nella fuga.
I Concerti brandeburghesi sono uno dei monumenti della storia dell’arte universale. Qui è stato eseguito il n. 2. Subito ci siamo infuriati: un’accozzaglia di suoni insopportabili, una ritmica pesante e ottusa, imprecisioni in ogni dove e non era solo colpa della tromba, dall’intonazione scorretta e dagli incespicamenti continui; nell’ultimo tempo si è raggiunto il delirio: tutti correvano come se temessero di perdere il treno. Bach non si commemora così!

Concerto sinfonico Nuove Bacchette
Questo XXVIII Festival ha offerto, nel tardo pomeriggio di domenica trenta, l’occasione, quanto mai interessante, di incontrare per la prima volta cinque giovani direttori d’orchestra con un concerto riservato a loro, e ci rallegra la prospettiva che l’iniziativa sarà ripresa anche in futuro.
Sul podio si sono avvicendati ragazzi veramente bravi, musicisti già completi, sebbene, indubbiamente, lo studio e la ricerca continueranno ad arricchirne la personalità per cui anche la loro visione della musica potrà evolversi. Fin da ora, già
dimostrano un’ottima comprensione della partitura ed è notevole la capacità di trasmettere emozioni musicali in modo così spiccatamente personale; tanto che comunicano a chi li ascolta anche dati sulla loro stessa struttura psichica; così ci è stato possibile fare, tra di noi, un piccolo gioco: abbiamo steso di ciascuno, oltre che un profilo basato sull’analisi musicale, anche note sulle caratteristiche psichiche, con alcune affermazioni, azzardate, che, per onestà professionale, guardiamo bene dal rivelare. Il solo fatto di aver potuto stendere queste note, basandoci sul loro modo di leggere la musica, è una conferma di quanto essa li costituisca organicamente.

Il primo che abbiamo sentito è stato Peter. Lipari, ventiquattrenne dell’Illinois, impegnato nel Carnevale romano, ouverture op. 9 di H. Berlioz. Ha attaccato con un coupe d’archet perfetto ed ha proseguito con una lettura preziosa e raffinata, senza sbavature o tentennamenti; i piano e i forte erano dosati con precisione e le pause, quasi a sorpresa, non duravano mai un istante di troppo.

E’ seguita l’esecuzione del Don Giovanni, poema sinfonico op. 20 di R. Strauss, diretta da Marc Stringer, ventun’anni, di Washington. Estroverso, porge la musica con immediatezza pur essendo sempre contenuto e trattenuto, senza alcun gratuito esibizionismo; si sa astenere dal gesto magniloquente, quasi temendo di abbandonarsi troppo. Riesce a far comprendere, rendendola con precisione, la architettura interna di questa composizione, così articolata e ricca.

Il terzo è stato Rico Saccani, trentun anni, impegnato con la Ouverture-Fantasia Romeo e Giulietta di P. I. Ciaikovski. Questo direttore ama i momenti di meditazione e li propone con emozionante efficacia, che non scade mai nella sdolcinatezza, contenendo sempre la passionalità e preferendo le tensioni sotterranee; bravo nel dipanare armonie e melodie con attenta precisione ritmica, Saccani, come i due che gli sono poi succeduti, ha diretto senza l’ausilio della partitura. Vogliamo sottolinearlo compiacendocene, poiché riteniamo che gli esecutori di musica (anche quelli dei gruppi di insieme) dovrebbero sempre suonare a memoria. Si è mai visto un attore recitare con il copione in mano? Oggi si fa persino a meno di quel ridicolo elemento che era il suggeritore! La musica deve uscire dal di dentro e l’esecutore deve coincidere con essa.

E stata poi la volta del ventisettenne Alessadro Pinzauti con la Suite n. 2 da Il cappello a tre punte di M. De Falla. Aiutato dalla natura del brano ha dimostrato una straordinaria capacità di coloriture, un continuo cambiare timbrico che guidava l’orecchio in una avventura sonora quanto mai piacevole e varia; la dinamica, straordinariamente equilibrata, si scioglieva talvolta in una splendida cantabilità.

L’ultimo a salire sul podio è stato Tzimon Barto, di vent’anni, che ha dato una lettura pregevolmente corretta della Leonora n. 3, ouverture in do maggiore op. 72/a di L. van Beethoven, sempre attento a controllare la non facile partitura, dalla semplicità solo apparente. All’altezza del suo compito, ha evitato di avventurarsi in temerarietà timbriche o ritmiche, che qui sarebbero state quanto mai disdicevoli.

Vogliamo concludere dicendo quanto ci ha entusiasmato la prestazione dei ragazzi della Spoleto Festival Orchestra, attenti sempre e impegnati a seguire e ad aiutare i coetanei sul podio, dando il meglio di sé con un atteggiamento di compresa partecipazione che ci ha commosso.