14 – Giugno ‘85

giugno , 1985

Delle tre serate dedicate a Charlie Parker, trent’anni dopo, abbiamo assistito a quella che ha visto venerdì 17 maggio succedersi al teatro Olimpico: Bob DoroughBill Takas, il sestetto Charlie’s Angels e il Charlie Parker All Stars Quintet di Dizzy Gillespie.

Vogliamo, prima di tutto, parlare del meraviglioso secondo tempo dove si è esibito il gruppo di Gillespie, offrendo quasi un’ora di ottimo be-bop per tutti. Una musica rilassata, precisa, entusiasmante, un’improvvisazione che non era mai sgangherata ripetitività, ma un susseguirsi di idee armonicamente geniali e logicamente ben concatenate. Il suono della tromba di Gillespie è preciso e fluido, la sua intonazione è perfetta, sia nelle note rapide, stilisticamente corrette, sia nei rotondi momenti cantabili. Meraviglioso il pianoforte di John Lewis: accordi sobri e ricchi. Pieno di inventiva il contrabbasso di David Williams. Il sax alto di Phil Woods era perfetto, con momenti di geniale contrappunto con la tromba. Preciso il batterista Roy Haines dalle continue invezioni ritmiche e timbriche.

Orribile per contro era stato il duo che aveva aperto il concerto: Bob Dorough è un cantantucolo poco intonato che inciampa nei più semplici passaggi cromatici e Bill Takas, al contrabbasso, si perde in ghirigori elementari, sciatti e infantili, tanto che non è riuscito nemmeno il salvataggio di Woods, intervenuto alla fine, a rialzare le sorti.

Assolutamente deludente abbiamo trovato il sestetto. Sono sei persone che non sanno suonare insieme, che fanno rumore e basta. Urbani era letteralmente insopportabile al sax alto: le sue note alte avevano un tono di esercitazione scolastica di assoluta monotonia e sfociavano in spernacchiamenti da transatlantico in partenza. Del tutto fuori stile il pianoforte di Franco D’Andrea capace solo di giganteschi accordi alla Schumann di dozzina; irrisorio l’intervento della tromba di Paolo Fresu; c’è parso più corretto il sax tenore di Maurizio Gianmarco, che pure in quel bailamme soccombeva; addirittura grottesca la batteria di Roberto Gatto, che sembrava accompagnare qualche canzonetta pseudorock al Festival di Sanremo. Insopportabile in senso assoluto e per tutto il concerto l’uso dell’amplificazione, non solo fuori stile, ma anche al di là di ogni buon senso acustico. Abbiamo avuto però l’impressione che la maggior parte del pubblico non stesse a sentire.