14 – Giugno ‘85

giugno , 1985

Contrariamente a quanto dichiarano, nella prefazione, Fruttero e Lucentini, autori del volume La prevalenza del cretino, edito da Mondadori (pagg. 370 Lit. 18.000) noi speriamo proprio che il libro sia una «denuncia», una «rivalsa», una «vendetta» contro il cretino prevalente. Gli scritti qui raccolti sono di varia provenienza e, per lo più raccolgono «elzeviri» comparsi negli scorsi anni sul giornale torinese cui i due autori collaborano. Purtroppo, migliaia di cretini (è un best-seller) leggeranno queste pagine con tronfia soddisfazione, poiché i cretini sono sempre gli altri ed essi non vi si riconosceranno mai, altrimenti non sarebbero tali. In modo intelligente i due scrittori illustrano con moltissimi esempi come il cretino sia il male della terra e su di esso si fondino le dittature, lo sfruttamento, il razzismo e la morte, fenomeni però che purtroppo non coinvolgono solo lui. Sono pagine un po’ ripetitive necessariamente, che lasciano trapelare, dietro un’apparente oggettività, chiari ed astuti schieramenti, anche politici; servono però a rinfocolare l’odio per chi è giusto che sia odiato. Menzioniamo come passo esemplare l’articolo intitolato: «Cuore di turista», che dà voce ad un grido di dolore tanto spesso uscito anche dal nostro cuore.

Vi sono alcune persone cui noi non riconosciamo il diritto di parlare della cultura e del mondo ellenico: sono i moralisti, banali, amanti dell’ovvio e di dubbia cultura. Ci pare che uno di essi sia K.J. Dover, autore del libro: L’omosessualità nella grecia antica (Einaudi 1985, pagg. 248, Lit. 35.000). Questo professore di Oxford vuole ad ogni costo sostenere la tesi – non dichiarata esplicitamente – che in Grecia l’omosessualità fosse soprattutto pederastia. Con poco senso critico, accumula in modo noioso le più scontate ovvietà, riprendendo il vecchio tema dell’efebo, visto come succedaneo della donna. L’omosessualità femminile, di cui l’autore si sbarazza in poche pagine, è poi praticamente negata. Indubbiamente, nell’antica Grecia, era esaltato anche l’amore di un adulto per un adolescente; ma l’insistenza su questo punto non è tanto caratteristica dell’epoca, quanto della selezione delle fonti che è stata operata nelle epoche successive. La censura morale e la caratterizzazione a senso unico sono infatti posteriori: se il filologo, l’archeologo e il critico sono capaci di un’osservazione acuta e scaltra, non si lasceranno ingannare dalla lettura fatta da altri e potranno leggere nella sua interezza la grande ricchezza della concezione greca della sessualità (e non solo dell’omosessualità); una ricchezza che va ben oltre il dannunzianesimo trito cui cercano di assimilarla certi vecchi moralisti bavosi che toccano il sedere ai ragazzini, mentre fanno discorsi edificanti. Non si capisce perché uno come Dover che si dimostra molto attento nell’evitare l’errore di considerare la cultura greca come un blocco unitario, restituendole la prospettiva dei diversi secoli in cui s’è articolata, non voglia poi trarre le dovute conseguenze. Gli stessi esempi classici, ricordati anche nel volume, di Armodio e Aristogitone, o di Achille e Patroclo, non possono essere ridotti ad una notarile questione anagrafica, che, in base all’età voglia distinguere l’amante dall’amato, codificando ad ogni costo i ruoli. L’omosessualità dei Greci ha sempre fatto paura: agli antichi e ai moderni.