12 – Aprile ‘85

aprile , 1985

Elzeviro

Coltivare l’orto dei personali interessi sembrerebbe oggi la scelta meno insana: psicoanalisi, cultura ed arte sono impegni sufficientemente gravosi, per chi voglia occuparsene seriamente, tanto da giustificare chi non volesse alzare gli occhi e drizzare le orecchie su realtà equivoche, a proposito delle quali è troppo facile, o troppo difficile, esprimere un giudizio di bene o di male.
Per lungo tempo, un tipo di carattere tipografico, particolarmente elegante, è stato sinonimo di un particolare genere di letteratura giornalistica. Nell’elzeviro si rifugiava chi, volendo o dovendo scrivere, preferiva evitare le noie che la censura del regime procurava spesso e volentieri agli estensori di un pensiero difforme da quello imperante. I risultati sono stati spesso eccellenti pagine di letteratura abilmente disimpegnata. La situazione non è quindi nuova e questo foglio potrebbe essere tentato di trasformarsi per intero in un grande elzeviro in nome della cultura e della scienza.
La scelta dell’impegno si impone però anche oggi: se non per coraggio, almeno per la paura. Nessuno infatti può sentirsi sufficientemente al sicuro da allentare la corda della vigilanza.
Guerra, mafia, terrorismo, polizia suonano un concerto tragico cui si aggiungono altre mille voci e mille strumenti che nessun principio di giustizia riesce più a disciplinare. I suonatori fanno tutto il possibile perché vengano sentiti gli spari degli altri e ogni arma ha un suono diverso, pur accompagnando uno stesso canto di morte.
Il gioco di massacro è incominciato da tanto di quel tempo che non pare esserci altra soluzione che quella di accettarlo nella vita di ogni giorno, finché resta da vivere.
Chi è disarmato non sempre riesce ad intendere il suono delle armi, ma nel mirino c’è anche lui.
La vita non ha valore, ma contro la vita dell’altro si vuole che debba andare il proprio vivere: ciascuno difende il proprio delitto e condanna il delitto degli altri. La giustizia non si ricorda neppure più se, da qualche parte, ci siano regole del gioco, e, quando se ne ricorda, le sovverte. Un elzeviro rischia dunque di diventare ogni esercizio di opinione; non solo: in un crescendo abnorme di gigantismo l’elzeviro è la sola forma che finisce per assumere ogni dibattito di idee.
Realtà della morte ed irrealtà della parola, verità della morte e falsità della vita: dove è la grande Rivoluzione? O bisogna aspettare che si realizzi la città di Dio? L’apocalisse stessa non ha potere deterrente e il giorno dopo appare più uguale al giorno prima: nella lotta pare che stia il senso stesso della vita. La lotta ha senso perché nasce dall’amore di sé, nessuno può fare a meno di amarsi, ma nessuno sa amarsi così tanto da bastare per sé. Si lotta dunque per ottenere dall’amore di qualcuno amore per se stessi. Eros è in principio, se lo si perde di vista, resta il tempo di scrivere solo qualche più o meno significativo elzeviro in attesa della fine.