11 – Marzo ‘85

marzo , 1985

Vogliamo parlare dei due concerti della Stagione sinfonica dell’Accademia di S. Cecilia, all’Auditorium di via della Conciliazione, nel mese di febbraio, sotto la direzione di Giuseppe Sinopoli. Insieme, le due serate permettono di avere una visione esauriente del mondo musicale di questo ottimo direttore d’orchestra: i due programmi infatti comprendevano brani di autori degli ultimi tre secoli, in una scelta antologica che richiede una profonda conoscenza della storia della musica, degli stili e delle atmosfere musicali. Un interprete, quando balza da Schoenberg a Mozart, deve riuscire ad entrare nello spirito di climi culturali e di strutture linguistiche molto diversi tra loro; contemporaneamente deve però essere capace di legare con la propria personalità le due interpretazioni. A Sinopoli ciò è riuscito meravigliosamente bene: non un errore di stile, attenzione per i diversi impasti sonori, secondo le epoche e la tradizione, riuscendo sempre a far brillare la qualità del suo personale buon gusto. Di ogni autore ha cercato di scavare nel profondo, penetrando la partitura e mettendone in luce anche gli aspetti strutturali ed emotivi più nascosti; il tutto unito a una pastosa semplicità, quasi la musica sbocciasse per una sua dinamica interna, senza sforzo.

Il primo concerto è iniziato con due brani orribili: le Due espressioni per orchestra, di Luigi Nono, composte nel 1953. Un assemblaggio un po’ particolare di strumenti: fiati, archi e percussioni che dipanavano un susseguirsi di suoni e timbri, insulsi e volgari; potremmo dire, la spazzatura di Webern. Un discorso sgradevole senza logica e, tutto sommato, frivolo. Forse qualcuno avrà capito che a noi Nono non piace proprio per niente, ed è vero, perché lo consideriamo uno dei più grossi bluff dell’Italia musicale contemporanea.

L’orchestra si è sforzata di dare il meglio di sé, il direttore era attento nel far risaltare il possibile, ma non diciamo di più.
In tutt’altra atmosfera si è entrati con la Kammersymphonie in mi maggiore per 15 strumenti solisti, op. 9 di Arnold Schoenberg, del 1906. Un’orchestra, limitata nel numero dei suoi elementi, presenta qui un brano compatto, se pur diviso in sezioni, di una equilibrata perfezione; le stratificazioni tonali e timbriche lo rendono di facile e difficile lettura, allo stesso tempo. Tutto è conseguente, quasi ovvio, eppure anche nuovo e inaspettato. Perfetta l’interpretazione di Sinopoli: i suoni sembrava che uscissero direttamente dalle sue mani, sensuali e precisi.

La Sinfonia n. 4 in si bemolle maggiore, op. 60 di Ludwig van Beethoven, del 1806, è stata nella sua totalità interpretata in modo superbo, coerente e personale. Sinopoli ha messo in evidenza l’aspetto misterioso e, nel primo tempo, quasi di attesa; un’intensa espressività si stemperava senza sforzo in momenti di meditazione. Malinconico il secondo tempo, che si snoda su di un ritmo preciso e morbido. Veramente piacevole, nel terzo tempo, tutto costruito su domande e risposte, ascoltare i frammenti melodici e armonici che scivolavano senza sforzo gli uni negli altri. Nel quarto tempo, che ha la briosità di un’ouverture teatrale, serpeggiava di nuovo il mistero, un po’ ammiccante ed estremamente sensuale, proprio come in una gustosa rappresentazione scenica; anche qui Sinopoli è stato splendido.
Nel secondo concerto, all’orchestra di S. Cecilia si affiancavano la pianista Marta Argerich e l’oboista Augusto Loppi; il programma comprendeva: il Concerto in do maggiore per oboe e orchestra, K. 314 di W.A. Mozart, il Concerto n. 2 in si bemolle maggiore, per pianoforte e orchestra, op. 19 di L. van Beethoven e la Sinfonia n. 5 in si bemolle maggiore D. 485 di Franz Schubert.

È molto difficile ascoltare una degna interpretazione della musica di Mozart. È una musica troppo difficile e troppo profonda per i più. La minima slabbratura diviene macroscopica, un arpeggio troppo brillante infastidisce, perché ci si accorge che, nonostante la precisione timbrica e sonora, ne è andata perduta la stupenda sacralità. Noi, che vorremmo sempre ascoltare musica di Mozart, non siamo quasi mai soddisfatti del modo in cui viene eseguita (abbiamo ancora nelle orecchie la frivolezza del violino di Uto Ughi che, proprio nella stessa sala, il 23 gennaio, ha suonato Mozart come se fosse Paganini). Siamo stati pienamente soddisfatti dell’interpretazione che Sinopoli e l’oboista Loppi hanno dato del concerto in do maggiore: fin dal primo accordo dell’orchestra, perfetto, morbido e contenuto, abbiamo capito che ci saremmo potuti rilassare ed ascoltare con piacere. L’impalpabile e sottile trama della musica mozartiana era messa in evidenza senza forzature e stupidi saltelli che, troppo spesso, incipriano la musica di questo compositore che, se pure è pienamente del proprio tempo, per un altro verso, è al di fuori di ogni collocazione temporale. La mirabile sonorità dell’oboe si esprimeva in un fluire gradevole, ma attento a non mandare perduta neppure una briciola e ad evidenziare la profonda e disarmante semplicità melodica. Orchestra e solista hanno realizzato un piccolo gioiello nell’interpretare il secondo movimento; solo una volta ci siamo accorti di un’attesa di troppo: smarrimento? Il finale, di straordinaria piacevolezza, pur rispettando il ritmo, non lo imprigionava ed è stato porto con virile tenerezza.

Sempre ottima, da parte del direttore e dell’orchestra, l’interpretazione del concerto di Beethoven di cui ci hanno dato una lettura sobria, corretta e attenta. Più discontinua l’esecuzione di Marta Argerich che, pur dimostrando una buona precisione e un fraseggio assennato, ci è parsa, in alcuni momenti, contratta in qualche bizzosa rigidità: le note finali di una scala o di un arpeggio risultavano in tal modo squilibrate, sproporzionate e dure. Meccanici e troppo bruschi i passi contrappuntistici nel primo tempo. Nel secondo tempo, la Argerich ha dato il meglio di sé, con un buon fraseggio, sentimentale, ma non sdolcinato. Buono il finale, ben reso nelle molteplici e spensierate sfaccettature. La bella quinta sinfonia di Schubert ha concluso degnamente l’ottimo concerto; questo compositore, secondo noi, non è soltanto un grande melodista, ma riesce anche ad elaborare con astuzia magistrale gli sviluppi dei temi. Sinopoli è riuscito sia a far brillare le melodie, sia a guidare l’orecchio alla scoperta dell’intima struttura del discorso orchestrale. Echi mozartiani si udivano ovunque; ma, soprattutto nel bellissimo secondo tempo, l’interpretazione dell’orchestra, ben guidata, ha evidenziato l’arcaico sapore di chiesa. Il minuetto non ha smentito l’impressione di grande bravura e ciò è valso anche per il finale, solido e pungente.