11 – Marzo ‘85

marzo , 1985

Nuto Revelli nel suo libro L’anello nello forte (Einaudi, 1985, pp. 501, Lit. 18.000) ha intervistato tantissime donne, contadine delle campagne piemontesi attorno a Cuneo ed Alba, ma spingendosi molto giù nella pianura e molto su sulle montagne. Il lavoro è stato accurato e ha richiesto parecchi anni. Molte delle donne intervistate sono vecchissime, essendo nate ancora negli ultime due decenni dell’Ottocento; giovani, invece, sono le «calabrotte», provenienti dal sud e principalmente dalla Calabria, venute spose dei contadini locali, che nessuna donna del nord più vuole, perché oggi conviene sposare chi abbia un lavoro in fabbrica e abiti in città. Questo è un modo di fare storia, ed è un modo interessante: è la gente stessa che racconta il proprio mondo, inserendovi brandelli di quegli avvenimenti di cui i libri della storia ufficiale ci raccontano, con spocchia minuziosa, aspetti e cause economico-politiche.

Perciò quasi tutte le cose che vengono dette si leggono con interesse e attenzione. Si entra dentro una società che è ancora reale ed esistente: molte affermazioni fanno riflettere e servono a capire un po’ di più il mondo e gli esseri umani. Forse i discorsi delle intervistate sono un po’ monotoni, poiché trattano quasi sempre gli stessi problemi, e ciò forse è conseguenza della scaletta delle domande: i rapporti famigliari, la miseria, l’educazione sessuale e la religione. Sono comunque temi fondamentali, per cui si resta coinvolti e si segue con attenzione ogni passaggio. Purtroppo la figura della donna contadina ne esce malconcia: il libro risulta essere profondamente contro le donne. Nuto Revelli non lo sa, senz’altro non ne sono consapevoli le intervistate, però, attraverso le loro parole, quelle donne risultano essere ricattatrici, avare e invidiose. In tutte appare un odio furibondo per i giovani, un odio acre, risentito; un’assoluta mancanza di coscienza della vita. Prima raccontano le loro miserie, quanto stavano male quando erano giovani e poi concludono: «…la gente non è più di buon umore come una volta… Adesso sono mai contenti di niente… Vogliono la libertà? E se la prendano la libertà. Ma la libertà passerà anche per loro…». Oppure: «Io ho sempre solo sofferto nella mia vita… Eppure io ero più felice allora che adesso». Certo, questa è la morale che hanno anche insegnato i preti; ma in queste donne c’è disumana durezza, non si vede amore per nessuno: né per i mariti: «… noi eravamo tutti e due freddi e non ci siamo mai scaldati. Era una cosa contraria a me, una cosa che non mi piaceva». Né per i figli: «Ma li ho comprati per forza. Fosse dipeso da me neanche uno». Qualcuna parla male del potere esercitato dal marito-padrone; ma quasi tutte si contraddicono e svelano quanto grande fosse il potere delle donne, anche in quella società: «Noi abitavamo con nonno e nonna, era nonna che comandava, ed era molto di chiesa… controllava che suo marito e suo figlio assistessero sempre alla messa completa. Anche mia mamma era sottomessa a mia nonna, la subiva per forza…» A volte il giudizio vorrebbe essere positivo ma: «Mia suocera comandava tutto lei, mi voleva un gran bene, non ho mai avuto una parola con lei». Altre volte il parere è più brutale: «In casa comandava la suocera, la padruna. Eh, comanda chi tiene il portafogli. Senza soldi non vale comandare».

A loro volta, esse sono diventate suocere e il mondo non è ancora cambiato, checché loro ne dicano. Finché le donne saranno così e i maschi accetteranno certe stupide recriminazioni, colpevolizzandosi, il mondo non cambierà. Certo, i maschi sono stupidi e violenti, ma non più di queste truculente vecchiacce e neppure di queste giovani «calabrotte» che stanno arrotando gli artigli: «Siamo centinaia noi del Meridione sposate nelle Langhe. Solo del mio paese… siamo una trentina… Laggiù è difficile per una ragazza a sposarsi».