11 – Marzo ‘85

marzo , 1985

Mozart, come tutte le figure importanti di una cultura, è circondato di leggende; su di lui si raccontano aneddoti e si favoleggia della sua straordinaria abilità musicale. In lui, però, c’è indubbiamente molto di più. Non soltando trascende le possibilità umane; ma, secondo noi, mentre il più grande compositore della storia della musica è J.S. Bach, Mozart non può essere ricompreso in quella storia dell’arte musicale, in cui sono compresi, oltre a Bach, tutti gli altri: Beethoven, Brahms, Debussy, eccetera. La musica di Mozart è la più alta espressione in assoluto (e sottolineiamo in assoluto) della cultura occidentale. La sua figura sconvolge, inquieta e innamora; egli non conduce la vita eroica tipica di altri geni: né conosce il terribile esilio di Dante, né muore nel modo sublime di Socrate. In lui, mito e verità si sovrappongono per descrivere una figura non catalogabile e non iscrivibile in nessuno schema. Il suo volto, perverso e ingenuo, si mescola alla musica delle sue note.

L’idea su cui si regge il film Amadeus di Milos Forman, tratto dall’omonima commedia di Peter Shaffer, ha una grossa efficacia teatrale ed emozionale e consiste nell’aver voluto partire da un bel personaggio: Antonio Salieri, buon musicista, pio e santo, che, con la sua musica, vorrebbe cantare le lodi del Signore; ma viene a contatto di un giovinetto, volgare e dissoluto, il quale, non solo scrive musica molto più bella della sua, ma addirittura realizza l’aspirazione, sempre inseguita dall’italiano, di far parlare la voce di Dio. L’odio che nasce dall’invidia e dall’amore spingerà Salieri a una lotta empia contro la divinità e contro il giovane salisburghese.

Non ci interessa qui affrontare il problema della veridicità storica dell’odio di Salieri, compositore di corte a Vienna, per Wolfgang Amadeus, e l’ipotesi non è un’invenzione di Forman, né di Shaffer che ha curato la sceneggiatura e la riduzione del suo testo teatrale, di cui ricordiamo una buona realizzazione al teatro Argentina, un paio di anni fa. La versione teatrale era indubbiamente più coinvolgente e concedeva meno ai facili colpi di scena e agli sbrodolamenti, di cui il cinema non può fare a meno, non soltanto per ragioni di cassetta, ma anche per motivi di linguaggio.

Il film di Forman è fatto veramente bene, di grande efficacia, con momenti di vera poeticità. La storia inizia con il vecchio Salieri, rinchiuso in manicomio dopo un tentato suicidio cui è giunto per il rimorso di aver causato la morte di Mozart. Salieri, interpretato da F. Murray Abraham, racconta ad un prete, venuto per confessarlo, come e perché si consideri l’assassino di Mozart. Si dipana così la storia del disperato amore del mediocre Salieri per il divino Mozart. Manca, purtroppo, nel film, il lungo monologo che, in teatro, il compositore di corte rivolgeva direttamente al pubblico, sostituito da un breve frammento nel quale il vecchio in carrozzella attraversando la corsia del manicomio si proclama campione di mediocrità. Quello che neanche Forman riesce a far venire fuori è la volgarità di Mozart, incarnato in modo più che adeguato da Tom Hulce, il quale è tenero, appassionato e bizzarro e raggiunge momenti di grandezza morale, come quando, davanti all’imperatore imbecille non esita a dire: merda! Questo è un gesto di fronte al quale il titanismo beethoveniano scompare. Crediamo che il doppiaggio abbia commesso un errore: la famosa risatina di Mozart, esplode infatti all’improvviso, come un tuono, senza senso e risulta del tutto incoerente col resto del personaggio.
Mozart lo si può vedere in mille modi diversi: la sua figura non ne soffre mai. Oltre alla prestazione dei due attori protagonisti ci è parsa buona anche l’interpretazione di Elizabeth Berridge, che rende bene il personaggio della moglie di Mozart, Costanza, anche nelle scene più ingrate. Il ritmo, per tutto il film, è costante, non c’è mai un momento di noia, aneddoti, veri ed inventati ad hoc, non danno fastidio. C’è soltanto una scena del tutto sbagliata, degna di un drammone di terz’ordine: la morte del salisburghese alla presenza di Salieri, con la moglie, appena tornata, che strilla. Troppo falsa, anche se non si fosse voluta rendere come è probabilmente avvenuta, poco dopo che Mozart aveva finito di lavorare alla stesura del Lacrimosa del suo Requiem, insieme con i suoi amici e collaboratori più fidati. Questa scena, coi due personaggi a diretto confronto, dà però adito ad un gioiello di rara godibilità: un’analisi musicale di un breve brano del Requiem, scomposto nelle sue varie parti: un pezzo utilissimo, dal punto di vista didattico, per chi voglia capire, in breve, quale è la struttura di un brano di musica e anche di grande efficacia drammatica.

Il film riacquista dignità nell’ultima scena: il funerale, descritto come vuole la tradizione, con il corpo di Mozart che, sotto la pioggia, viene buttato fuori dalla bara, in una fossa comune e coperto di calce.
La fotografia di Miroslav Ondricek è sempre riuscita a rendere climi ed atmosfere di grande emozione e l’apparente realismo risultava così accurato ed ammiccante anche nella cura dei particolari da essere tutt’altro che pura descrizione; particolarmente felice l’incontro tra il fotografo e lo scenografo Josef Svoboda nelle scene che riproducevano la rappresentazione in teatro di alcuni brani delle opere di Mozart.

Non sappiamo quanto il successo del film sia dovuto all’uso sapiente della musica mozartiana – il coordinamento musicale è di Neville Marriner -, però noi consigliamo a tutti di andarlo a vedere pagando il pesante pedaggio delle settemila lire della prima visione, quando il sonoro è ancora sopportabile. Al cinema, non sappiamo perché, l’aspetto acustico lascia sempre a desiderare: distorsioni, squilibri timbrici, rumori rendono troppo spesso sgradevole l’ascolto; quando la musica di questa colonna sonora uscirà da altoparlanti gracchianti in sale dalla pessima acustica, crediamo che il film perderà gran parte della sua efficacia. È un peccato, perché ci sono giochi musicali spiritosi, come la trasformazione, operata da Mozart, di una banale marcetta di Salieri nell’aria delle Nozze di Figaro: «Non più andrai…»; e sono presenti tanti dei brani più famosi, quelli che tutti hanno nelle orecchie, usati con efficacia, mai bistrattati, anzi assolutamente rispettati, se pure resi a brandelli. L’idea musicale è sempre presente in modo da avere un senso compiuto, ovviamente in relazione con la scena. Sono citazioni più o meno lunghe, che contribuiscono a dare tensione drammatica alla rappresentazione. Come, ad esempio, l’alternarsi del Flauto magico con il Requiem.

Che importa che di Mozart molto sia stato inventato? L’unica cosa vera è stata comunque detta: è stata la voce di Dio.