Psicoanalisi contro n. 10 – A me non piacciono i musei

febbraio , 1985

Io sono un accanito frequentatore di musei. Sarebbe meglio dire, che ne sono un divoratore.
Questi strani palazzi, per me, contengono le meraviglie del mondo. Io faccio parte di quella sparuta e stravagante schiera di persone che frequentano, anche, i musei della propria città. Sono certo che esistono romani che hanno visitato il museo del vino di Beaune nel castello dei duchi di Borgogna e non hanno mai messo piede al museo Barracco, in Roma, naturalmente. Forse, non lo sapevate?
I musei, però, sono terribili; non sono il luogo ove abitano le Muse, ma il luogo ove queste vengono vilipese, insultate, imprigionate.

Le opere d’arte figurativa non sono nate per i musei. Apollo, corrucciato, non si rassegna a questa umiliazione. I musei di oggi hanno tutti la squallida opacità dei più tristi palazzi ministeriali con custodi scortesi e inefficaci, ottusamente tirannici, senza discernimento. Eppure, in Italia, sono stati trasformarti in musei palazzi di una bellezza assoluta. Ma, nelle loro sale che desolazione!
Quale artista serio produrrebbe un quadro o una scultura avendo in mente un museo. I musei sono la tomba dell’arte. Io non riesco a staccarmi da questa necrofilia, ma, vi prego, cambiate atteggiamento, o amici, quando entrate in un museo. Quale atteggiamento? Mi potreste chiedere. «Non importa quale, ma diverso da quello che assumete ora».

Esiste un cielo teso e azzurro. Qualche volta verde, rosso e violetto. Esiste una terra bruna, profumata, con papaveri gialli e rossi a primavera. Piccole pianure polverose, fiumi scheletrici, montagne lucenti di sole. Eppoi, un mare, tante isole. L’estate molti turisti ignudi non cercano nulla, per fortuna. Ed ecco Micene, Atene, Capo Sunion, l’Olimpo, l’Arcadia, e i monti dell’Epiro. Qua e là, in Grecia, qualche museo, una collina, la Acropoli d’Atene, papaveri rossi e gialli. Come denti cariati gemono le colonne del Partenone, belle soltanto per il cielo azzurro, intensamente azzurro. I turisti ignudi si rivestono e vanno a vedere quei mozziconi di colonne: quattro pietre polverose. Eppoi, entrano nei musei, squallidi e maltenuti. Eppoi, ancora, il vento che a Capo Sunion fischia. Poseidone, nudo nella sua bellezza, che afferma il primato del maschio, dolce e tenero sotto il cielo azzurro, poi grigio, poi violetto e poi di nuovo azzurro. Dell’antica Ellade è rimasto il terreno, i monti e il cielo. L’Ellade è morta sull’Acropoli, a Micene, a Corinto, nella piana di Olimpia; è morta, soprattutto, nei poveri musei sgangherati.
Io non amo i musei. Eppure è l’unico luogo dove possiamo vedere ciò che è stato prodotto: statue, quadri, suppellettili, fantasie.

I musei più brutti del mondo sono quelli londinesi: freddi, aridi, opachi, polverosi; una successione infinita di opere d’arte male illuminate, ben custodite. Tante, troppe, senza senso, i musei londinesi: ma, questo è di tutti i musei.

I musei, un sogno di Alessandria, Tolomeo I e Tolomeo II, e ancora prima la Pinacoteca dei Propilei con le opere di Polignoto. Ma, qui le opere erano tesoro di un Dio, sacre e significanti.

Io non amo i musei: in Grecia accarezzo la terra e ascolto il peso del cielo e del sole. Io preferisco le chiese dove le opere d’arte sono ancora vive; dove qualcuno dà loro un significato. Un prete stanco biascica la sua messa sotto una pala del Maratta; due soli fedeli o spettatori, è la stessa cosa, nell’ombra della chiesa. Nella chiesa le opere d’arte hanno ancora un senso perché sono lì perché debbono essere lì. Nei musei sono spaurite, istupidite. Lunghe file di turisti, come formiche, guardano nei musei; sono turisti vestiti, non hanno neppure il coraggio di essere nudi. Flaccidi e sudati, vocianti e imbecilli. Per fortuna, ogni tanto, in qualche museo un altare, e lì sostano le frotte degli imbecilli per guardare la «Gioconda» di Leonardo, al Louvre, un bel palazzo nella sua monumentalità un po’ fredda e nordica. Lì c’è lei: la «Gioconda». Un quadro bruttino, insignificante; un sorriso teso, anzi un piccolo ghigno; una fronte ottusa, radi capelli mal dipinti, due mani rigide, poco naturali; il braccio destro avvolto da una manica con pieghe stantie, irrimediabilmente mal fatte, ed un fondale di cartapesta. La «Gioconda», che importa che sia un quadro mediocre. Tanti imbecilli la guardano, e anche non imbecilli. E lei rimane lì, giallina e verdastra, come su di un altare. Lì ha il suo significato. Io amo soltanto i pochi altari di alcuni musei, ma non i musei. Io preferisco la terra secca, il cielo azzurro, bianco, viola, nero, marrone. Le opere d’arte debbono avere un senso, essere anche per me. Non mi va di pagare un biglietto. Non si può fare diversamente, ma a me non va.