10 – Febbraio ‘85

febbraio , 1985

Il bel libro di Svetlana Alpers, P. L’arte del descrivere. Scienza e pittura nel Seicento olandese, (Boringhieri, pagg. 416, Lit. 50.000) potrebbe sembrare rivolto soltanto agli specialisti; invece è un libro così chiaro, semplice e senza astrusità, che può essere letto con profitto anche da chi, pur amando il mondo della pittura, non intenda occuparsene in modo specifico. In dubbiamente le analisi sono circostanziate e precise, le affermazioni sorrette da una valida documentazione, con attenti riferimenti culturali e il tutto è corredato da un buon numero di riproduzioni, purtroppo in bianco e nero. La pittura olandese del Seicento, apparentemente così chiara nella sua fotografica immediatezza, è, nello stesso tempo facile e difficile da capire, come tutte le esperienze artistiche profonde.

Il confronto tra il modo di far pittura italiano e quello nordico è ovvio, ma indispensabile. La prospettiva che in Italia segue le regole di Leon Battista Alberti presuppone un unico spettatore all’esterno e tutta la composizione del quadro viene orientata in relazione ad un unico punto di fuga; la prospettiva olandese è invece polidirezionale, come se si riproducesse non qualcosa che viene osservato da una distanza determinata, ma l’atto stesso del vedere. Come essere dentro il quadro? Come le immagini si riproducono sulla retina? Gli olandesi erano affascinati dalla camera oscura; ed ecco gli stretti rapporti tra ricerche matematiche, scientifiche, filosofiche e le opere degli artisti olandesi, buoni artigiani, che succhiano avidamente questo clima: in esse la trascendenza diviene presenza calligrafica. L’autrice analizza con intelligenza alcune opere e le figure dei più grandi rappresentati della pittura olandese, guidando il lettore alla scoperta di una pittura che alle prime sembrava così chiara e che alla fine del libro è diventata più comprensibile e più oscura, allo stesso tempo; si fa chiaro infatti che non è tutta lì, in quelle nature morte, in quei ritratti di donne al cucito: c’è altro, c’è qualcosa di inesauribile, come è giusto che avvenga per tutte le opere d’arte. Ci dice infine l’autrice: «La mia indagine sull’arte olandese del Seicento mirava a definire i sistemi di convenzioni, le metafore dominati, i presupposti intellettuali e le pratiche culturali su cui quell’arte era fondata. Pur non avendo esaminato tutti gli artisti di primo piano, né tutti i generi considerati essenziali, il mio sforzo potrà dirsi riuscito ove arrivi a fornire una visione d’insieme dell’arte olandese».