Psicoanalisi contro n. 9 – “Là ci darem la mano”

gennaio , 1985

Sono secoli, anzi millenni, che i sapienti dibattono il problema della bellezza. La domanda che è sottesa a tutte le dotte disquisizioni è la seguente: «È bello ciò che piace, o piace ciò che è bello?» Problema probabilmente insolubile, ma che ritorna ogni qualvolta si parla di arte. Allora il problema va posto su di un altro piano: «L’arte esprime il bello oppure l’arte esprime e ogni espressione, se è profonda, diviene bella?» Ogni gruppo sociale ha il suo concetto di bello. Al bambino si mostra un piccolo fiore azzurro e gli si dice: «Come è bello!» E lui osserva e pensa: «È bello!» Poi lo si accarezza e gli si dice: «Come sei bello!» E lui, un giorno, si metterà davanti allo specchio e sarà convinto di vedere un bambino bello. In una stanza c’è un quadro con un’orribile cornice dorata: un rettangolo di legno, su cui oscene roselline di legno, impietosamente, incorniciano un dipinto; il quadro rappresenta una marina: un irritante blu volgare, con onde di spuma bianca, rigida, una casetta rossa sulla riva, una vela gialla laggiù, e qui, davanti a tutto, una roccia irta e grigiastra; dalla descrizione non si capisce quanto quella immagine sia brutta, eppure quel quadro si trova in una stanza piena di oggetti «sacri»: divani intoccabili e in un armadio una bottiglia di liquore, quel quadro è in mezzo alla parete bianca. Il bambino entra socchiudendo lentamente la porta: lì nel mezzo, come su di un altare sta quella marina: l’opera d’arte della casa. Il bambino un giorno cominciò a domandarsi: «Ma è veramente bella?» La mamma, il papà, la nonna, dicevano di sì; ciononostante il bambino pensava: «Ma è veramente bella?» Una volta, sul balcone, ebbe il coraggio di dire a se stesso «È brutta». Provò un grande senso di colpa, eppure ripetè: «È brutta». Questa storia me la raccontò un tale durante una seduta di psicoanalisi, dopo aver fatto un sogno in cui si era rappresentata una scena splendida: un mare, una casetta, una vela gialla, una roccia grigia. Aveva fatto precedere il racconto dall’affermazione: «Questa notte ho fatto un sogno meraviglioso, ho visto una scena splendida, che mi piacerebbe poter dipingere, se fossi un pittore; era una cosa meravigliosa, era la bellezza!» Facendo in seguito le associazioni, affiorò quell’immagine e quel quadro. Io non dissi nulla; trascorse il tempo della seduta e quella persona se ne andò barcollando; era l’ultima persona che avrei incontrato quel giorno: mi alzai; dovevo uscire per andare ad un concerto; ma ugualmente mi sedetti al pianoforte: la mano destra cominciò a fare sulla tastiera prima una melodia, sinuosa, in la: la si do diesis re la… cantavo: «La… la»; la nota la si trasformò nell’avverbio là: «Là ci darem la mano…». Allora la mano accennò quella melodia del Don Giovanni di Mozart, aggiunsi sulla tastiera anche la mano sinistra, feci una variazione, poi ancora la melodia da sola, bella: «Là ci darem la mano…» Quella è la bellezza: un accennato giuoco di seduzione, di Don Giovanni verso una fanciulla che non è però un’ingenua, anzi è proterva e dongiovannesca come lui, ma lei riesce a sedurre, mentre Don Giovanni non ci riesce.

In Don Giovanni è espresso tutto l’odio di Mozart per le donne: l’unico contatto fisico che il personaggio del Don Giovanni mozartiano ha in tutta l’opera è con la fredda mano del commendatore. Don Giovanni non bacia mai, né abbraccia nessuno; Don Giovanni non insegue le donne, ma la trasgressione. Don Giovanni: un maestro senza maestro. Per questo è dannato a cadere nelle fiamme dell’inferno. Ecco un altro: la; il la su cui urla il suo «No!» Un rifiuto a diventare un imbecille, con moglie e quattro figli: «Non più andrai farfallone amoroso…» Eppure il farfallone continuerà il suo eterno andare. Mozart odiava le donne perché amava il mondo. Il piccolo e volgare Lorenzo Da Ponte, ottuso e sciatto, rabberciava versi con un’efficacia grassoccia, talvolta con un’istintiva teatrale sapienza, ma quei versi non sono che il pretesto: è quella musica che dice tutto. Ma che cosa dice? Dice la bellezza? Allora la vita è bella? La vita è soltanto bella? E l’odio può essere bellezza? Ma quello era un odio inconsapevole. Aver vagheggiato un personaggio, essersi identificato con un eroe che ha come suo unico scopo quello di sedurre le donne, ed avere poi scritto un’opera in cui il seduttore non riesce in realtà a possederne alcuna: «Deh vieni alla finestra, o bell’idol mio…». E il mandolino fa un’altra melodia, ironica: l’idolo è alla finestra, lontano, il mandolino sorride. Allora la vita è bella? Mozart l’ha resa bella. Mozart aveva paura delle donne: ci giocava e ci scherzava: «Son orse benigne, colombe maligne…». Ma questo ancora è un libretto. Eppure la satira pungente viene dalla melodia, queste due frasi sono lì, flaccide, inerti. Sentitele cantare nelle orecchie: c’è anche tenerezza, un’infinita tenerezza per Susanna, per Pamina, per donna Elvira e anche per Bastiana.

La musica può esprimere il brutto? Quella di Mozart non può. Eppure io ritengo che la musica di Mozart possa esprimere tutto quello che al mondo c’è! Allora nel mondo non c’è il brutto? Il brutto è nell’allontanamento; nell’allontanamento dalla bellezza.
Io ho un punto di riferimento assoluto: la musica di Wolfango Amedeo Mozart. Per me è non solo la bellezza; ma tutto il mondo. In questo c’è una contraddizione che non saprò mai risolvere; forse perché non voglio. Se la musica di Mozart è bella, non può esprimere il brutto e se non esprime il brutto non esprime che una parte del mondo. Ancora: è così bella, che è più bella della realtà del mondo; quindi non esprime il mondo. La musica di Mozart non esiste, essa è una mia fantasia. Eppure la sento sotto le mie dita quando la suono, nelle orecchie quando l’ascolto; quelle note mi escono dalla gola quando le canto e diventano una melodia in cui mi smarrisco e per cui mi entusiasmo. Il Don Giovanni è un’opera che racchiude il mondo e la vita, in cui non c’è il brutto. Dopo il «No» di Don Giovanni, ecco che arrivano gli altri: le persone per bene, insieme con i tutori della legge, per arrestare Don Giovanni, l’assassino. Leporello dice loro con tono biblico: «Più non cercate. Lontano andò». Quelli rimangono di stucco, quella stupida coppia di Ottavio e donna Anna, lei proterva e lui pronto a farsi castrare; Zerlina e Masetto, che se ne andranno a cena con gli amici, lei prenderà lui per mano, e anche per il naso, come ha sempre fatto; donna Elvira, l’unica che ricorderà Giovanni con amore, se ne andrà in un ritiro; Leporello si cercherà un altro padrone. È questo un concertato meraviglioso: dopo le fiamme dell’inferno, dopo i tromboni del Commendatore e l’urlo di Don Giovanni ritorna la serenità della vita: una musica bellissima, per esprimere la banalità. Allora, Mozart riesce ad esprimere il mondo? Ma quelli sono esseri banali. La vita riprende nel suo squallore, ma se fosse sempre accompagnata dalla musica di Mozart? «Là ci darem la mano, là mi dirai di sì».