9 – Gennaio ‘85

gennaio , 1985

Dà sempre una gran tristezza trovarsi di fronte ad un lavoro eseguito con dilettantesca sciatteria; quando poi questo accade con un’opera di Mozart sorge nell’animo anche un senso di ribrezzo. Siamo rimasti veramente stupefatti del modo in cui Peter Maag ha diretto il Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, con cui si è inaugurata la stagione lirica del Teatro dell’Opera di Roma. L’orchestra, opaca e confusa, tentava disperatamente di affossare lo splendore della musica, per fortuna senza riuscirci. Tutto era impreciso, approssimativo, come ad una prima lettura; ma Peter Maag è un solido musicista e conosce molto bene Mozart: non riusciamo proprio a spiegarci come ciò sia accaduto. Già l’Ouverture è stata contrassegnata da una assoluta opacità e da molta confusione: le due parti in cui è divisa non erano minimamente distinte tra loro. Anche nel resto dell’opera tutto risultava impreciso, mentre ogni frase musicale, ogni colpo dei timpani, ogni particolare ha un suo preciso significato, sempre; è inutile analizzare brano per brano. E che tristezza quei tromboni, che devono caratterizzare la presenza metafisica ed inquietante del fantasma del Commendatore che erano invece quasi gettati via, senza farne risaltare alcuna drammatica potenza! L’orecchio, qualche volta, si riposava piacevolmente nei recitativi secchi, ascoltando le meravigliose e teatralissime capriole del clavicembalo. Abbastanza dissennata è stata la scelta degli interpreti, in primo luogo quella di affidare il personaggio di Leporello a Bruno Pola, una bella voce di basso, per nulla comico, voce profonda e tragica, affatto in contrasto con l’impostazione solo buffonesca data al personaggio nei gesti e nelle azioni. Stridente e ridicolo il confronto con il personaggio del Commendatore interpretato da Bengt Rundgren, la cui voce, ben intonata, risultava esile e frivola, da soubrette di rivista. Correte, ma piatte e psicologicamente non delineate, le figure di Donna Anna, impersonata da Winifred Faix Brown, e di Donna Elvira, cui dava voce Mariana Nicolesco: Mozart non lo si può soltanto cantare eseguendo le note e basta. Ottima Adelina Scarabelli, nella parte di una deliziosa Zerlina, dalla voce duttile e fresca, unita a una grande scioltezza e adeguata presenza scenica; buono pure il Masetto di Domenico Trimarchi. Bravo, vibrante e rotondo, anche se forse troppo austero e rigido nei movimenti Thomas Moser, nei panni di Don Ottavio. Bravissimo, secondo noi, Silvano Carroli: voce adatta per Don Giovanni, ricca di armonici, precisa nelle note alte e in quelle basse, ironica e tragica. Certo, una voce ancora acerba, ma che rivela uno studio attento; la persona stessa ha dimostrato di avere una buona capacità teatrale, con gesti e movimenti giusti e in accordo con la voce. Le scene di Michel Lebois, i costumi di Emmanuel Peduzzi e Jacques Schmidt, le luci di Alain Poisson, le coreografie di Flavio Bennati erano invece «orchestrate» da Jerome Savary, la cui regia faceva da buon pendant alla direzione di Maag, anche un po’ peggio che dilettantesca: ottusa, laida e sciatta. Un assemblaggio di marchingegni e trovatine, come diapositive, diavoletti e tette al vento che parevano soprattutto voler evitare ogni cifra di lettura sospettabile di essere mozartiana, con grandi oscillazioni dal feuilleton al circo, al vampirismo televisivo.

Una cosa che ci ha fatto molto piacere è stata la polemica, la sera della prima, tra i fischi del loggione e gli applausi degli entusiasti. Qualche cretino tra gli invitati in smoking ha detto arricciando il naso: Ma che vadano a Roma-Lazio! Meno male invece che c’è qualcuno – ma diranno che è pagato – che si appassiona e urla al Teatro dell’Opera per il Don Giovanni di W.A. Mozart!