Psicoanalisi contro n. 8 – Bisogna distruggere gli ospedali

dicembre , 1984

La libertà della scelta è sempre apparente: elementi consci ed inconsci portano l’essere umano a dire sì o a dire no.

Ognuno di noi è frutto di influenze esterne ed interne che , comunque, lo portano a compiere quell’unico gesto, a fare quell’unica scelta; e l’inconsapevolezza domina sovrana. Non tutti possono illudersi di scegliersi la terapia, il medico, o il tipo di cura.

Vi sono però alcune persone che, per lo più, non si possono neppure porre il problema, non riescono neppure a rimanere in dubbio: la terapia se la trovano addosso, il terapeuta se lo trovano lì di fronte; che è, di dove viene? Quella persona interroga, pensa, dice, manipola, prescrive; e allora viene voglia di chiederle; ma chi sei? Che cosa vuoi? A volte non si è neppure in grado di dire tutto questo. Quella persona è lì: estranea; entra con prepotenza e, anche se spesso finisce col diventare indispensabile, la violenza rimane. E’ possibile non essere violenti? Chi non è violento?E’ non violento colui che ricatta gli altri imponendo a se stesso un digiuno? Questa è soltanto una violenza più sottile: quella del ricatto. E’ la mafia che usa il ricatto; quindi quelli che digiunano sono dei mafiosi? Eppure spesso digiunano per delle cause giuste; anche la mafia talvolta difende i deboli, di questo sono convinto. Allora i non violenti e i mafiosi sono la stessa cosa? La non violenza è un modo di esercitare la violenza. Noi dobbiamo scegliere tra un tipo di violenza ed un altro: non potremo mai, finché il mondo sarà fatto in questo modo, finché gli esseri umani saranno quello che sono, scegliere tra violenza e non violenza. Questa scelta è politica, morale e filosofica. Io ho scelto la mia violenza e la mia non violenza.
In cosa consista la mia violenza sarà detto altrove; per il momento ritorniamo a coloro che si trovano di fronte un “ terapeuta”non scelto, e una terapia estranea.
Questi esseri sono per lo più i bambini e i cosiddetti “ matti”.

2.
Fino a quando si è bambini e fin dove si è matti? Questo è difficile da stabilire. Hanno poco senso le distinzioni temporali: “ fin qui arriva la prima infanzia, e poi c’è la seconda infanzia, e poi…e poi…” Eppure è vero che i bambini sono diversi dagli adulti; hanno esigenze loro, che devono essere rispettate, e devono essere rispettato come bambini, rispettati perché diversi dagli adulti. Chi definisce che cosa è e chi è il bambino? Il bambino è definito dall’adulto. Il bambino è bambino; forse il bambino non è neppure un bambino : è un essere umano che lotta per vivere e sopravvivere, nel ventre materno , prima, e poi fuori, e ancora, fino a quando gli diranno: non sei più un bambino. Ma glielo diranno gli altri, e lui rimarrà stupito: “ perché non sono più un bambino?” “ Perché devi assumerti le tue responsabilità”. Quali sono le responsabilità di un adulto? E un bambino non ha, veramente, responsabilità? Indubbiamente l’essere umano, trovandosi nel mondo, lentamente si appropria di cose che prima non aveva; però abbandona anche conoscenze, movimenti, nozioni che prima aveva ricevuto da lontano, da una situazione ereditaria. I geni esistono e, almeno per il momento, non possono essere negati; qual è la loro influenza? Ogni bambino ha il suo carattere: sono i geni o è la loro storia? L a storia di ogni singolo bambino è incomprensibile, perché la storia di ognuno comincia prima di noi.

Un giorno, un bambino, mi disse: “ So che tu curi quelli che stanno male; io sto male, perché non mi curi?” Gli presi la mano, piccolina, una mano di bambino per me, ma quella era la sua mano. Indubbiamente, lui sentiva la sua mano più piccola nella mia mano più grande, mano di adulto; mi aveva scelto, ed era un bambino. Forse, per lui, curare voleva dire qualcos’altro, voleva dire trovare un padre buono e attento, presente e amorevole. Questa è la cura, questo è uno degli specchi della cura. Quel bambino, quindi mi aveva scelto, non è vero allora che i bambini non scelgono? Forse è una questione culturale. I bambini vengono portati dallo psicologo infantile, che è una figura che io trovo assolutamente ridicola. Lo psicologo infantile non è mai esistito: è una invenzione degli adulti. Esiste lo psicoterapeuta che lavora con gli esseri umani, adulti e bambini, quando si occupa di quest’ultimi, il luogo in cui opera può essere attrezzato in modo un po’ diverso: qualche giocattolo, fogli matite colorate; ma che c’entra? Eppure i bambini sono bambini e bisogna rispettarli come tali; rispettare il loro modo di essere , che, per il cinquanta per cento è dovuto al nostro modo di intendere la vita infantile. Sta di fatto che io non credo nella figura dello psicologo infantile: esistono psicologi che si rapportano meglio ad individui in un certo periodo della loro vita piuttosto che ad altri individui; ma questi sono problemi che possono andare dalla pederastia rimossa, che porta a desiderare o a rifuggire il rapporto con i bambini, fino al sentimento che muove inconsciamente verso un padre e una madre da curare, per sentire il senso della propria maggiore potenza. Un’altra illusione è lo psicologo sano. Per fortuna, tutti gli psicologi e gli psicoanalisti sono un poco malati, altrimenti sarebbero dei mostriciattoli tristi, prigionieri della loro incapacità di essere uomini o donne. Devono essere sufficientemente malati per potersi arrogare il diritto di curare gli altri malati.

3.
Esistono anche i cosiddetti “ matti” Vi sono alcune espressioni per definirli, che sono ormai entrate nel linguaggio comune: “incapace di intendere e di volere”, oppure “pericoloso per sé e per gli altri”. I matti, per la coscienza comune, sono persone che, in realtà, non sono considerate persone, perché sono incapaci di “intendere”, intendere che cosa non viene specificato. Non sono capaci di “volere”, volere cosa? Non vogliono, ma il loro volere è anche voler non volere. Sono pericolosi per sé, e questo sarebbe un problema loro; ma lo sono anche per gli altri, e questo è un problema più serio. In effetti, persone pericolose per gli altri ce ne sono parecchie, alcune di queste sono i cosiddetti “matti”. Ogni gruppo sociale dà una sua definizione di “folle”: sempre i folli sono considerati coloro che hanno un comportamento anomalo, non coerente con i comportamenti della maggioranza. Anche il sovrano di una nazione, però, ha un comportamento del tutto anomalo, non coerente con i comportamenti della maggioranza. Anche il sovrano di una nazione ,però, ha un comportamento del tutto anomalo, per l’etichetta di cui ci si circonda , per i gesti, l’abbigliamento, il modo di parlare , per ciò che pretende dagli altri e gli altri si aspettano da lui. Un sovrano, costituzionale o no, si comporta in un modo assolutamente anomalo e deve farlo, proprio in questo “deve” risiede la sua salute mentale: “Deve” comportarsi come un sovrano. Anche u matto “deve” comportarsi come un matto, appunto per questo non è un sovrano bensì un matto; ha assunto un suo ruolo e deve recitarlo in modo sufficientemente corretto. Allora, il matto è una necessità della società?
Ogni elemento di un gruppo sociale è l’espressione di profonde esigenze collettive e quindi è coerente. Non esiste l’incoerenza sociale: ciò che c’è è ciò che deve essere, altrimenti non sarebbe. Potrebbe non essere giusto. Il matto esprime una delle ingiustizie. Io non penso che la follia sia frutto dell’ingiustizia sociale, è anche frutto
dell’ingiustizia sociale: diventano matti i più deboli, ma più spesso anche i più cattivi. Diventano matti coloro che hanno avuto una esistenza travagliata, in una famiglia che ha loro indotto la psicosi. I matti sono anche, e forse soprattutto, carnefici. Carnefici perché prima sono stati vittime; ma tutti i carnefici- e di questo sono fermamente convinto – sono stati prima vittime.
Il matto è colui che si comporta in modo non conforme alle norme ufficiali . Norme valide per la mediocrità, poiché i re, i pontefici, i grandi artisti non sono tenuti a rispettarle e appunti per questo sono re o presidenti o anche semplicemente ricchi. I “matti” sono necessariamente poveri? Questo è falso: Ve ne sono di poveri e di ricchi. Matti sono quelli che non si comportano come dovrebbero comportarsi. Anche un re potrebbe impazzire: quando si comporta da re parla con il plurale maiestatico, mette la corona in testa, saluta stando in piedi sull’automobile, non è matto è un re. Se però si denuda durante il consiglio dei ministri, se si rintana nella sua stanza, chiude le imposte, e piange per giorni e giorni, allora è matto , anche se è un re: quello non è un comportamento da re, è un comportamento da matti. Il matto è colui che non rispetta il ruolo che la società gli ha assegnato; ma non è soltanto così: è ben di più. Il matto è quello che la società dice che il matto sia. Molto oltre non si deve andare.

4.
Il matto però non è un rivoluzionario; io non ho mai visto un matto desiderare davvero la ribellione, quella autentica, che è fatta insieme con gli altri. Per me il matto è un solitario che si rinchiude e nega. Così dicendo, io ho dato la mia definizione di pazzia; ma chi non dà una sua definizione di pazzia? Solo coloro che negano che la pazzia esista , e che, in realtà negano il mondo; accettano il qualunquismo per cui tutto è uguale, tutti i comportamenti sono adeguati e la lotta inutile; per cui ognuno deve essere quello che si sente di essere; ma questo è un lavarsi le mani.
Io preferisco le mie mani sporche di persona che lotta e non accetta. Non accetto lo sfruttamento e non accetto il pazzo; il pazzo che si rinchiude nelle sue follie, nei suoi deliri e tenti di impormeli e non vuole lottare con me. Io ho dato la mai definizione di follia, scientificamente corretta. Il fatto è che io credo assai poco nella scienza.
Quindi per me il folle è colui che, in un gruppo sociale , non soltanto si comporta non rispettando le regole di comportamento, ma rifiuta la comunicazione e decide di vivere la propria esperienza assolutamente da solo.

Questa situazione è frequentissima. Io mi trovo sovente in contatto con persone di questo genere, mi ci trovo ora, mi ci trovavo un tempo, quando intervenivo dentro “gli ospedali psichiatrici”. Quello che per me è il matto – ribadisco: per me _ è una persona che ha un comportamento standard, televisivamente banale, quasi stesse recitando lo squallido copione di un film di terz’ordine sui matti.
Il matto può essere o depresso o maniacalmente agitato. Il depresso nega il mondo attraverso un rallentamento della propria esistenza; può essere del tutto immobile, estraneo, oppure parlare con lentezza, presentando alcuni contenuti psichici colorati nero, accusare gli altri e se stesso, autosvalutarsi, sottolineare l’inutilità del mondo. Il maniacale assume un atteggiamento iperattivo, autograficante, onnipotente; ha fantasie persecutorie: bisogna agire perché gli altri sono persecutori, esiste un’organizzazione terrestre o extraterreste, vi sono microfoni sotto i letti e i divani, il pensiero è captato e trasmesso per il mondo; e qui c’è una grande soddisfazione: io sono il centro del mondo. Questa è la frase che sorregge entrambe le situazioni : sia quella depressiva, sia quella maniacale: “ Io sono il centro del mondo, gli altri non mi interessano, o non mi interessano più. Sono gli altri che debbono interessarsi a me ; io ho fatto una richiesta.”
Il depresso può essere sporco, il maniacale profumato; ma tutti e due, quando parlano con qualcuno, guardano oltre le spalle dell’interlocutore, proprio come i funzionari del ministero , che ti guardano sempre dietro le spalle, perché non si interessano a te. Allora gli impiegati dei ministeri sono pazzi? Tutti coloro che guardano oltre, che non si interessano a chi sta loro di fronte, che sono chiusi nel loro piccolo mondo., tra il tinello e la camera da letto, la cacca dei bambini e la partita, sono pazzi, irrimediabilmente pazzi: catatonici , maniacali , con deliri di persecuzione, atteggiamenti negativistici e autolesionistici; siano impiegati o senatori, tutti coloro che guardano oltre le spalle, per me, sono pazzi.

5.
I matti, allora, sono molto più numerosi di quelli che la psichiatria ha etichettato come tali? Forse sì. Però l’importante è non lasciarsi ingannare. Vi sono matti che, nonostante tutto riescono ad ingannare: chiusi nel loro tinello, davanti al loro televisore, nel loro squallore maschilista o femminista, nella partita o nella cacca dei bambini, sono matti quanto e più degli altri , ma non lo sanno. Io parlo anche per loro che si credono sani.
La follia non è solo caratteristica dei poveri, pazzi lo diventano, staticamente in egual misura, tanto i poveri quanti i ricchi. Non è vero che la follia è soltanto il frutto della miseria; questa è un’affermazione imbecille, che bisogna subito sfatare. La follia è frutto di tante cose: di una situazione sociale squallida, triste e violenta. Può anche darsi che sia frutto di qualcosa di ereditario; ma ciò non mi interessa, almeno qui. La follia è un rifiuto, un’incapacità ostinata di rapportarsi agli altri. La follia si esprime con un disorientamento spazio- temporale, per cui i fantasmi di ieri sono presenti e le persone di oggi sono relegate in uno sfondo atemporale.

6.
La follia si esprime attraverso la sovrapposizione di due comportamenti difensivi fondamentali: il narcisismo e il sadomasochismo. L’essere umano nasce aperto al mondo, desideroso di amore e di eros. L’embrione palpita nel desiderio di sentire e di essere percepito; ed ecco, già nel ventre materno, le prime frustrazioni. Sono possibili allora due reazioni: o il mondo attorno, frustrante, viene negato e si fugge nel narcisismo, concentrandosi soltanto sul sé, chiusi nelle gratificazioni che possono venire dal non rapportarsi agli altri ; oppure si decide di attaccare gli latri di punirli , in un atteggiamento sadomasochistico: sadico perché gli altri devono essere puniti con la sofferenza; masochistico perché, se la sofferenza è inevitabile, almeno so cerca di trasformarla in piacere. Il mondo è percepito; ma è un mondo terrifico o miserevole, un mondo da torturare.
Quando questi due meccanismi difensivi presenti negli esseri umani, si sovrappongono e stringono l’individuo in una morsa compatta ed amalgamata sopravviene la follia : il mondo non è più presente, i fantasmi di ieri sono vicini alle presenze di oggi. Si aggrediscono i nemici di ieri e si percepiscono come nemiche le persone oggi presenti, si soffre, perché si vuol soffrire e si vuol far soffrire. Ma chi ? Noi, gli altri , quei genitori che forse ormai non esistono neppure più. Quando tutto questo esplode e non riesce più ad essere contenuto nella quotidianità della cacca dei bambini e della partita di calcio o delle interminabili beghe famigliari; quando la mancanza d’amore è così totale che non ci si accorge neppure più di non essere capaci di amare ; allora questa follia silente, non percepita, esplode. Anche i figli dei ricchi fanno la cacca , anche i ricchi hanno interminabili beghe famigliari. Ecco perché tutti possono diventare matti. E la società, impietosamente assiste.
E’ la società che produce i matti; ma non un tipo particolare di società piuttosto che un altro. Oggi tutte le società hanno i loro matti.

7.
La follia è un disagio preminentemente organico o preminentemente psichico? Questa è una domanda che non ha senso. E’ come quando si distingue tra le malattie psicosomatiche e quelle non. Tutte le malattie sono psicosomatiche e nessuna è particolarmente tale. O si ammette decisamente l’anima – e questo è un atteggiamento rispettabile – oppure, se non la si ammette, o se l’anima non rientra nel nostro campo di indagine scientifica e politica, parlare di disagi particolarmente psichici e distinguerli da altri disagi , psichici ma con fondamento organico, è assurdo.
Una epilessia, un trauma cranico, un’involuzione senile o un tumore cerebrale producono comportamenti simili a quelli di molte psicosi, che, apparentemente, non hanno fondamento organico. E questo che cosa vuol dire? Che quelle turbe senza apparente substrato organico sono espressioni del disagio dell’anima? Quando si riesce ad intervenire, anche organicamente, si intervenga; ma non perché alcune psicosi abbiano un substrato organico e altre no. Tutte le psicosi hanno un substrato organico: noi siamo queste cellule , questo corpo, abbiamo avuto questa storia e quei cromosomi. La società non è meno reale e concreta di un tumore. Sempre bisogna intervenire sforzandosi di capire il significato del disagio. Sempre bisogna cercare di capire perché quella fuga, quella depressione, quella negazione.
I perché coinvolgono una serie di atteggiamenti esistenziali , si affondano nelle cellule nervose: questo è l’essere umano.
Lo psicoanalista deve essere consapevole di tutto questo. Deve conoscere il disagio e sapere come affrontarlo ; deve avere le cognizioni tecniche messe a sua disposizione dalla medicina ; deve porsi di fronte alla persona nella sua interezza: comprendere le sue fantasie , le sue fughe, la sua storia. Guai a chi distingue troppo: questo è u problema psicologico, questo è psichiatrico, questa è una psicosi. Lo psicoanalista non deve essere onnipotente, soprattutto non deve credersi tale: affronta un disagio con la persona che patisce quel disagio, che forse ha anche bisogno di farmaci- perché è sperimentato che alcune sostanze riescono ad alleviare alcune sofferenze del delirio, a far regredire allucinazioni o depressioni troppo intense – ; ma questo non deve limitarlo: il suo lavoro deve continuare seriamente e tenacemente.
Ho detto che i matti, in genere, non scelgono il terapeuta, e ancor meno scelgono di essere curati. Questo è un problema non indifferente. Il malato spesso non si riconosce come tale, o meglio; pone altrove le cause del suo malessere, in una persecuzione immaginaria, in una impossibilità a muoversi, a reagire .
Un’ impossibilità, senza perché, pesante ed oscura. Lancia, questo sì, un messaggio, una richiesta che non ammette di essere tale. Quindi, come si può intervenire? Bisogna rispettare questa volontà di non essere curati?
Bisogna rispettarla, come bisogna rispettare la scelta di ognuno; ma la scelta di ognuno non può mai essere rispettata fino in fondo . Se un essere umano fosse rispettato fino in fondo , nelle sue scelte , non sarebbe considerato un essere umano: gli uomini hanno obblighi proprio perché sono nati. Certo, un gesto di amore e di violenza li ha messi al mondo, senza chiedere loro il permesso; ma ora ci sono e gli latri non possono non tenerne conto.
Se io esisto , esisto anche perché gli altri me lo permettono; perciò il mio diritto non è illimitato, come non è illimitato il diritto del tiranno, ne quello del matto o del malato. La società deve poter intervenire. Qualcuno decide di andarsene, anche, con un gesto volontario, e quella è una scelta personale; noi cerchiamo di agire in una vita che continuiamo a scegliere, salvo, s’intende , il rispetto per chi ha preferito un’altra fantasia. Coloro che vivono qui e con noi non hanno solo diritti. Io, come psicoanalista e come uomo, non ho intenzione di dare a nessuno tutti i diritti.

8.
In Italia esistevano i manicomi, luoghi terribili. Io ho studiato in qui luoghi, ho imparato lì a conoscere la malattia mentale, la sofferenza e gli esseri umani. Poi, insieme con altri, ho cercato di intervenire per affrontare il disagio in un altro modo, con ingenua allegria e presunzione. Altri hanno tentato di attaccare l’istituto manicomiale e per questo io li rispetto, qualunque possa essere la mia opinione sull’esito delle loro lotte. Ci sarà stata demagogia, ingenuità, ignoranza in alcuni; ma io sono certo che molti hanno lottato per distruggere una situazione disumana in cui di terapeutico non c’era nulla, assolutamente nulla. Perciò, ripeto: a quelle persone va tutto il mio rispetto ed anche la mia ammirazione.
Io non accetto però quello che è successo dopo, la superficialità che è succeduta alla lotta. Si è partiti da un errore di fondo: la convinzione che dovessero essere chiusi gli ospedali psichiatrici. Ciò che tutti dovrebbero capire è che bisogna chiudere gli ospedali di ogni genere.
Ricordo una persona a me vicina, una persona che ho amato, carica della sua morte, una morte avvenuta per cause organiche, avrebbero detto: le solite cellule impazzite per il corpo. Ho visto questa persona amata distesa in un corridoio, ricoperta di aghi, con suore e visitatori che le volteggiavano attorno, irrispettosi di lei con la sua morte addosso, con gli occhi spauriti e la fronte sudata: le avevo portato in regalo un profumo, ma lei mi disse:Vai via, perché mi vergogno!
Quello non era un ospedale psichiatrico eppure non era una situazione meno disumana di quella dei matti condotti all’elettroshock, sporchi e abbandonati a se stessi, in una cornice di infermieri arcigni e disinteressati.
Bisogna distruggere gli ospedali, non solo l’ospedale psichiatrico, e riproporre il problema da capo: Che fare?