8 – Novembre ‘84

novembre , 1984

Carlo Cattaneo, alla galleria Don Chisciotte, in via Brunetti 21/a. Noi conosciamo Carlo Catnanco da molto tempo, eppure questa volta è riuscito a prenderci di sorpresa. Non ci aspettavamo infatti che in questi ultimi tempi lui fosse andato così avanti nella riappropriazione di una sensualità così più distesa e più immediata. Le opere di Carlo Cattaneo esprimono da sempre un fare attento e talvolta perfino un po’ ostinato, teso a presentare le cose e gli uomini, sempre sottolineandone le connotazioni inconsce. Le sue composizioni affollate di personaggi rappresentano ogni volta un mondo che, a sua volta, si presenta e si rappresenta. Il senso del teatro e della vita come teatro è anche più vivo in queste opere dell’ultimo periodo, arricchite da una luminosità nuova dei colori, da una piacevolezza del segno che tenta di sedurre, da una ricerca poetica che, se è evidente ed enfatizzata nell’acquarello «Per Georg Trakl» si ritrova sia nella serie dei burattini, sia nelle ripetute rivisitazioni di Susanna e i vecchioni e ancora nei numerosi acquerelli dedicati a Freud. Cattaneo è un artista che cerca mentre fa e questa mostra lo rende evidente in modo utile per l’osservatore.

Frivola e sciocca è l’opera di George Segal, alla galleria Il Ponte, di via S. Ignazio e all’accademia americana sul Gianicolo. Quando dipinge o disegna Segal pare proporci solo noiosi giochetti da studentello di accademia alle prime armi; ma il discorso è più pesante nei confronti dei suoi calchi a rilievo o a tutto tondo, e poco ci importa di intaccare il prestigio di uno che viene definito un campione della pop art americana.
La sua tecnica favorita è quella del calco di gesso, eseguito direttamente addosso al modello da ritrarre, tecnica che, secondo l’autore, fa sì che i suoi modelli non possano assumere «un atteggiamento convenzionale o artificiale» perché «con quel bagnato scomodo addosso per tanto tempo, simulare diventa troppo difficile». In mostra compaiono per lo più le trasposizioni su carta pressata, tirate in più esemplari, dei bozzetti originali, ed è difficile, vedendo quegli involucri dal biancore mortale, attribuire ad altro che a necrofilia quella pretesa ricerca di verità e di profondità psicologica, sadicamente messa in pratica a prezzo dei reumatismi dei malcapitati modelli.

Ai Musei Capitolini sono esposti disegni, gouaches e dipinti di Marc Chagall di un periodo che va dal 1907 al 1983. Questo artista di novantasette anni è indubbiamente uno dei più grandi pittori di questo secolo; pur nelle evoluzioni stilistiche, si è espresso sempre in modo estremamente personale e preciso. Il suo è un mondo grazioso, sognante, fiabesco. La sua materia è l’aria in cui si addensano e volano i colori e le figure. Fra tutti i mostri sacri della pittura del nostro tempo, Chagall non è da noi particolarmente amato: troppo miele, troppe mossettine da lezioso poetino ce lo fanno percepire lontano dalla nostra sensibilità. La grande quantità di disegni esposti in questa occasione romana ci conferma più di quanto non intacchi la nostra convinzione. Ciò non toglie che anche noi rimaniamo ammirati di fronte ad alcuni dei pochi quadri qui esposti, tutti indubbiamente efficaci espressioni della serietà e della correttezza di un uomo e di un artista.

Noi amiamo di più la drammaticità e la sobrietà cromatica di una tela come l’Ebreo in preghiera del 1914 che non la pirotecnica girandola di figurine e di colori de La caduta di Icaro del 1975, perché pensiamo che queste accese rappresentazioni fiabesche, dai più così lodate, ricche di figure volanti e di abbracci sospesi, mostrino compiacenza per un’ideologia dei presepi fuori posto sui cavalletti della Pittura.