7 – Ottobre ‘84

ottobre , 1984

Il film Claretta, di Pasquale Squitieri non è un film fascista: è un film qualunquista – che dietro il qualunquismo di sempre si annidi la possibilità del fascismo è un discorso che non si può affrontare qui.

Claretta Petacci è, per Squitieri e Arrigo Petacco (che firma la sceneggiatura insieme col regista) un’eroina. Si esprime con un linguaggio arcaico, tra il neoclassico e il romanzo d’appendice ottocentesco. I suoi sentimenti sono puri, tutti puri. Ama Benito Mussolini senza riserve, fino al sacrificio.
Il film racconta la storia di questo tragico amore con indubbia efficacia, che trae, soprattutto, da una serie furbissima, anche se non del tutto intelligente, di effettacci ed effettoni.

È inutile raccontare la trama. In questo film tutti sono cattivi: gli antifascisti e i fascisti, i ministri e i poliziotti. Adamantina risplende Claretta: angosciata per le sorti dell’amato, violentata in carcere sotto i bombardamenti, generosa coi più sfortunati di lei, fiera anche di fronte ai tedeschi, sprezzante infine di ogni possibilità di salvezza.

Il duce, che compare poche volte e mai come figura centrale, ha gesti pontificali alla Giovanni XXIII; gli altri sono tutti figuranti, appiattiti sia nella resa psicologica dei caratteri, sia in quella delle immagini.
Ciò che è però fondamentale dire, e balza evidente fin dai primi minuti, è l’assoluta incapacità interpretativa di Claudia Cardinale, che recita sempre come se si stesse confessando – divertente è osservare la scena in cui Claretta realmente si confessa con il cappellano del carcere di Novara: tenendo questa scena come chiave di lettura si vede come la Cardinale non esca mai da quest’unico modulo, a parte qualche strillo isterico imposto dalle circostanze più drammatiche -.
La pochezza di Squitieri è ben rappresentata, senza – ci pare – espressa volontà del regista o dell’interprete, dal personaggio di Laura Corti, reso da Catherine Spaak come peggio non si potrebbe. Del tutto mistificatorie le intrusioni degli spezzoni di autentici filmati a piazzale Loreto e Miriam di San Servolo, la sorella superstite della Petacci Claretta, chiamata impietosamente ad esibirsi in una commemorazione che avrebbe dovuto restare suo patrimonio personale. Tutto sommato, e non solo perché questa storia ancora ci scotta, il film riesce a tenere ben desta l’attenzione quasi fino alla fine.
È del tutto imbecille scandalizzarsi. Qualche parola la vogliamo spendere per quanto di bello e professionale abbiamo notato: il commento musicale di Gerard Schurmann.

Nei titoli di testa una dolente ed emozionante melodia del flauto descrive meglio di come non ci riesca tutto il film l’anima di una donna che crede si possa vivere solo per amore; poi l’orchestra, presente in vari punti, oscillando tra Mahler, Wagner e Dukas, costruisce immagini di sicura efficacia poetica. Certo, il tutto è un po’ convenzionale, ma le varie famiglie degli strumenti sono usate con notevole astuzia compositiva. I brani di repertorio sono usati con efficacia, anche se forse un po’ scoperta, come «l’addio al passato» dalla Traviata che commenta le prime ansie di Claretta.