Psicoanalisi contro n. 7 – Né di Venere né di Marte

ottobre , 1984

«Né di Venere, né di Marte, né si sposa né si parte, né si dà inizio all’arte».

Questa poesiola la conosco da sempre. Quando comincio qualche cosa di martedì o di venerdì mi viene in mente; se quello che devo fare è per me particolarmente importante quella filastrocca comincia a ruotarmi in testa e mi mette a disagio; allora mi sento insicuro, oppure mi vergogno. Uno psicoanalista non può permettersi d’essere superstizioso

Ricordo mia nonna, che credeva molto all’influenza nefasta del martedì e del venerdì e che suffragava questa sua convinzione raccontandomi con la prosopopea dello scienziato di tutte le volte in cui lei aveva iniziato qualcosa di martedì o di venerdì e se ne era poi dovuta amaramente pentire. Come tutti gli scienziati, anche lei ragionava sull’esperienza. Ma allora non si tratta di superstizione, ma di scienza; oppure potremmo dire che scienza è il punto massimo della superstizione, però si potrebbe anche affermare che tutti i superstiziosi sono vittime di falsi esperimenti. Ma quando l’esperimento è vero? Mia nonna o era pazza o era bugiarda: seduta sul suo divano accanto alla finestra faceva con me le parole crociate e mi raccontava i suoi esperimenti. La sua esperienza aveva dimostrato che tutte le volte che aveva voluto sfidare il venerdì e il martedì, sempre succedevano cose terribili come quella volta… e quell’altra ancora. O era pazza o era bugiarda . Ma io allora non la credevo né pazza né bugiarda e neppure ora lo penso . Una volta rimase sconvolta perchè , un amico mio, per scaramanzia parlando con me, si toccò i testicoli. Quando il mio amico se ne fu andato mi disse- . «Quello non è un bravo ragazzo»-
Senza dubbio era invidiosa, perché lei i testicoli non se li poteva toccare. Parlai con quel mio amico dei suoi testicoli; egli mi disse che se non se li toccava in determinate situazioni, stava malissimo e realmente gli succedevano cose terribili, come quella volta… e quell’altra… Era pazzo e bugiardo anche lui? Uno psicoanalista non può essere superstizioso Perché conosce le cause della propria superstizione; ma quando queste cause risalgono ad una nonna ed ad un amico: scienziati seppure di scuole diverse, come può liberarsi dalla superstizione? Dovrebbe liberarsi anche della scienza, e allora non sarebbe più uno psicoanalista. Oppure dovrebbe pensare che la scienza non si fonda sugli esperimenti ; ma allora su cosa si fonda? Ovviamente, si fonda sulla superstizione; quindi tutti gli psicoanalisti debbono essere superstiziosi . Però non sono superstiziosi soltanto gli psicoanalisti. Io non ho mai incontrato una persona assolutamente capace di non avere pensieri di tipo superstizioso. Alcuni sono convinti che fare o non fare certe cose, compiere certi gesti, certi rituali, sia estremamente utile alla loro vita; altri ci ridono su ma si sente che una parte di loro non ride e ricrede. Altri neppure ci ridono, pensano di non essere superstiziosi, ma lo sono di fatto: io osservo e vedo i loro rituali, i loro gesti propiziatori, il loro disagio per un segnale ritenuti nefasto. Ogni superstizioso ride delle superstizioni altrui, in cui egli non crede come un fedele sorride sui rituali delle religioni che non sono la sua, perché li sente superstiziosi, crede invece che il suo rituale sia diverso, che lo metta direttamente in comunicazione con la divinità che, benigna, benedirà la sua vita e lo guiderà attraverso i pericoli del mondo.

Noi siamo molto teneri e indulgenti con le nostre superstizioni. Quando sono confermate dall’esperienza rimaniamo colpiti e soddisfatti. Un gatto nero che ci attraversato la strada, ecco un tuffo al cuore: o Dio che mi succederà! Entriamo in un negozio e ci sbagliamo al momento di pagare, ci rimettiamo un po’ di soldi. Il gatto nero! Quel maledetto gatto nero, diciamo. Soddisfatti di aver trovato un colpevole. Lo raccontiamo a tutti: i gatti neri sono veramente terribili e potentissimi. Accade che in un altro giorno, in una bella mattina, un altro gattino nero ci attraversi la strada: un tuffo al cuore, un po’ di ansia ; ma quella mattina non ci accade nulla. Ci dimentichiamo di quella mattina e di quel gattino. E che soddisfazione c’è a ricordarsi di un esperimento andato a male? Francesco Bacone, per non incappare in questi errori, si era munito di tre tavole in cui segnava tutto: in quali condizioni un fenomeno avveniva, poi quando, pur essendoci le condizioni, il fenomeno non si verificava, e ancora l’intensità del fenomeno nelle sue varie relazioni. Genialità barocca: questa forse è la scienza. Ma anche Francesco Bacone, ne sono sicuro, non iniziava una serie importante di osservazioni di martedì e di venerdì. La scienza è del tutto impotente di fronte al mistero della vita, né i parafulmini, né la medicina preventiva riescono a farci sentire sufficientemente stabili su questa terra che rotola nell’universo e l’esistenza umana si svolge all’insegna della precarietà , del dubbio, e dell’incertezza. Anche la strada più nota e consueta può riservare una sorpresa, gradevole o sgradevole.

Senza dubbio questo è il bello della vita, ma dove si può cercare protezione nei confronti dell’ignoto. Scienza, religione e superstizione; tre tipi diversi di rituali protettivi, ma nessuno è infallibile e onnipotente.
Ogni gesto è un’avventura, una piccola avventura di un istante, ogni gesto piacevole lo iniziamo con allegria, ma anche con un po’ di timore; timore più o meno consapevole, ma presente e vischioso.
Oggi ho cominciato a scrivere ed è lunedì, è mattina, una bella mattina di un tenero settembre.

2.
Tutti coloro che iniziano una psicoanalisi hanno alcune ragioni per impuntarsi e resistere. Prima di tutto, si ha timore di venire a sapere di se stessi cose che non vorremmo sapere, di cui abbiamo una consapevolezza indistinta ; si percepisce che l’analisi getterebbe un fascio di luce impietoso su alcune parti della nostra personalità che non vorremmo fossero così. Ma di questo ho già parlato. Un’altra ragione è data dalla paura di ciò che potremmo capire, l’angoscia di fronte al possibile non è stata scoperta da Severino Kierkegaard, egli l’ha descritta con efficacia dolente, ma da sempre gli esseri umani temono ciò che si può annidare nel futuro. L’uomo può immaginare quello che gli accadrà, può anche muoversi in modo da favorire il realizzarsi dei propri desideri, ma è certo che la sua previsione è stata veritiera soltanto quando non è più una previsione, ma è diventata ormai un fatto accaduto: il presente che sfuma nel passato.

La scienza indubbiamente tenta e deve prevedere, ma non può mai essere certa di ciò che prevede. Questa incertezza deriva dal fatto che non conosce tutte le condizioni che producono il fenomeno?
Chi lo sa! La scienza non può sapere neppure questo, perché non saprà mai quali sono tutte le condizioni. Le variabili sono infinite. La parola infinito, se presa da sola, non vuole dire niente, come non vuole dire niente tutto, come non vuole dire niente niente.
Il futuro vive la prima nella fantasia e poi nella realtà, ma la realtà, a sua volta è fantasia, fantasia che ci proietta nuovamente nel futuro e che può esploderci in mano, quando diventa presente, annullando tutte le nostre previsioni.

Non per nulla Apollo parlava in modo ambiguo: il futuro doveva rimanere futuro anche per i suoi devoti, cioè fantasticabile, ma imprevedibile. Apollo è un dio sapiente, la sua sapienza è previsione, previsione che si radica però nell’incertezza e nella continua possibilità di essere smentita.

«…e Febo Apollo suona la cetra
procedendo agilmente, a grandi passi:
intorno a lui è una luce fulgente
balenano lampi dai calzari, e dalla tunica
ben tessuta.
Si rallegrano nel nobile cuore
Leto dalle trecce d’oro, e il saggio Zeus,
vedendo il figlio danzare fra gli dei immortali….»
(Inni omerici. da Inno ad Apollo. Trad. Filippo Cassola).

Molti esseri umani, scienziati, filosofi e non, dividono tutto ciò che esiste in due grandi categorie; o regni: quello degli esseri inanimati e quello degli esseri animati. Il regno degli esseri animati a sua volta è diviso in regno vegetale e regno animale e umano. Gli oggetti inanimati sarebbero mossi da una forza incomprensibile, puramente meccanica. Un’altra forza guiderebbe le piante e gli animali, quasi meccanica anch’essa; chiamata forza vitale e istinto. E l’uomo ? Qui nuovamente, gli uomini, parlando dell’uomo si dividono: alcuni dicono che l’uomo è come una stella, o l’onda del mare, prigioniero di leggi meccaniche, istintuali. Altri dicono che esiste una strana proprietà chiamata “ libero arbitrio”inerente all’uomo per cui questi sfuggirebbe alla concatenazione causale: l’uomo se vuole può . Che cosa? Non si sa!
Può opporsi al determinismo, può scegliere perché vuole, ma cosa vuole?
Di nuovo, non si sa! E: io dico: sì, e: io dico: no; avrei potuto dire no quando ho detto sì. Io credo che sia impossibile da sapere se esista o no il libero arbitrio.

Chi potrà mai dire che avrei potuto anche non scrivere le frasi che ho appena scritto?
Nel momento in cui le scrivevo, avrei potuto scriverle diverse? Adesso posso cancellarle, o modificarle, ma adesso. E allora? Siamo prigionieri del tempo, il tempo è la nostra fantasia; noi quindi siamo prigionieri della fantasia. La fantasia non è la realtà, o meglio: è un modo della realtà di non essere quella realtà che noi pensiamo debba essere la realtà. La fantasia è il sogno del sogno; se il futuro coincide con la fantasia , il futuro è imprevedibile e allora avventurarsi nel futuro fa paura; e così comunque si viva, si faccia o non si faccia la psicoanalisi. Perché allora si ha più paura di avventurarsi nel cammino della psicoanalisi che non in quello del vivere quotidiano?

3.
L’ignoto che si cela dietro alla psicoanalisi è abbastanza particolare, il suo nome è inconscio. L’inconscio è presente, ognuno di noi lo sente, dentro e attorno, l’inconscio è ciò che non sappiamo ancora e ciò che non ricordiamo più. Chissà se è anche ciò che non abbiamo mai saputo? Io credo di sì: l’inconscio è ricco anche delle esperienze della nostra specie, forse dell’esperienza di tutto l’universo. Nessun essere umano è prigioniero nel breve orizzonte della propria vita; l’uomo viene di lontano e andrà lontano. Noi conosciamo il nostro oggi che è composto di esperienze innumerevoli, di desideri che vanno oltre noi stessi. Noi siamo il frutto dell’incontro di due gameti che venivano di lontano e l’inconscio è ricco di fantasmi che un tempo sono stati una presenza: per noi e forse per altri. Anche gli esseri umani che ci circondano, che amiamo e tocchiamo sono un po’ fantasmi, come anche i fantasmi dell’inconscio sono un po’ reali perché sono stati reali, concreti, amati, odiati; e poi il nostro inconscio è fatto dei fantasmi degli altri, dei desideri che gli altri proiettano su di noi, delle fantasie che gli altri ci buttano addosso, dei ruoli che gli altri tentano di imporci o di invitarci a recitare. L’inconscio di un solo essere umano abbraccia, probabilmente, tutto l’universo e si perde lontano. Sigmund Freud aveva ragione quando parlava dei sogni e diceva che in ogni sogno c’è un ombelico che è il suo significato profondo, ma oltre a questo significato c’è ancora qualcos’altro. Freud ha avuto paura di indagare, fantasticando, su questo qualcos’altro. Ma al di là dell’ombelico del sogno c’è un mistero immenso in cui è possibile perdersi. Ecco perché, giustamente, a iniziare l’avventura della psicoanalisi ogni essere umano prova paura, paura di questo ignoto che sente dentro e attorno a sè, e che potrebbe, improvvisamente uscire, avvolgerlo, risucchiarlo, rapirlo. Echi che vengono dalla notte dei tempi! Immediatamente l’inconscio è immaginato da ognuno di noi come una realtà buia, una grande notte. Forse questo è sbagliato, perché l’inconscio è anche una grande luce, piena di colori, di immagini,di odori, di sensazioni. Ma buio o splendente che sia l’inconscio porta con sè la notte dei tempi. L’uomo fatica a tenersi saldo su questa zattera che è il suo presente, il suo oggi, il suo vivere quotidiano, la sua casa,il suo lavoro, la moglie, il marito,i figli, la parrocchia, la sede del partito, o il lungofiume, dove la notte battono i maschi e le femmine. Tutto questo è il suo essere qui, ora e la notte dei tempi spaventa perché non si sa dove finisca. Almeno si sapesse che non finisce ma non si sa. ….e poi ancora: dall’inconscio, dall’inconscio possono balzare fantasmi più concreti, che sono il frutto dell’esperienza del singolo. Figure terrifiche o amorevoli, inquietanti sempre perché inaspettate. Chi poteva pensare che nostra madre e nostro padre fossero presenti nei loro gesti passati, che la nostra rabbia, il nostro rancore, il nostro amore, il nostro desiderio potessero attualizzarsi, improvvisamente, sulla figura dell’analista in modo così vivace e sconvolgente? Poi, ancora, ecco intorno a noi figure sconosciute, desideri innominabili perché innominati, innominati da sempre. La psicoanalisi tira fuori questi fantasmi e questi desideri. Desiderio di un pene, di una vagina, desideri di morte, desiderio di una morte.

E questi fantasmi e questi desideri ad un certo punto pretendono di diventare concreti, più concreti dei desideri e delle persone presenti.
Ecco perché l’analisi fa paura. Ed ecco perché l’analista deve essere cauto e deve esser abituato a non avere paura della notte dei tempi, dei fantasmi e dei desideri, suoi e dell’altro.

4.
Quando si intraprende un viaggio per le vacanze, o magari solo perché si prova l’impulso di andare, si sentono spesso due discorsi: «questo viaggio mi servirà per conoscere paesi nuovi, nuovi luoghi, nuove persone, nuove situazioni, avere nuove esperienze», come se cambiasse qualcosa soltanto attorno a noi che restiamo quasi immobili spettatori. Oppure, ancora si sente dire – e questo è detto soprattutto a coloro che sentono il bisogno di andare per un’insoddisfazione interna, per un’ansia – «tanto tutto rimarrà uguale: anche se sarai a seimila chilometri di distanza dal tuo paese e dalla tua casa, le paure, i timore, le frustrazioni che ti porti dentro ti accompagneranno ». Questo è pur vero: molte situazioni psichiche sono come un fuoco che si è appiccato al mantello: è inutile correre , il fuoco resterà acceso e ci inseguirà; bisogna liberarsi del mantello. Le frasi che ho detto sopra sono vere e false allo stesso tempo; noi siamo costituiti da ciò che ci è attorno ci costituiamo sulle abitudini, sui gesti, sui colori, sulla lingua e su tante altre cose. Se il mondo attorno a noi cambia, siamo costretti a cambiare un po’ anche noi, pur resistendo. Nuovi gesti nuovi riti entrano dentro fin a strutturare diversamente i nostri sentimenti, emozioni, desideri. Un tempo si consigliava alle persone “deboli di nervi” di fare un viaggio, era un rimedio comune e consueto. E’ vero: fuggire non basta. Spesso cambiamo soltanto gli aspetti esteriori del disagio che all’esterno mantiene la sua forza prorompente. Però nessun viaggio lascia l’essere umano intatto: qualcosa è cambiato, fuori e dentro, e dentro sarà cambiato per sempre. Ciò è particolarmente vero per il viaggio della psicoanalisi : all’esterno cambia poco: si è costretti a recarsi con regolarità agli appuntamenti in casa di una persona; quella camera diventerà famigliare, diventeranno consueti quei mobili, quei libri e anche quei rumori che vengono dall’esterno: mentre la vita viene scandita da quegli incontri regolari. Spesso lo psicoanalista ci è presente, gli parliamo anche quando stiamo per addormentarci, quando siamo in bagno e lo specchio riflette la nostra immagine nudi: chissà se mi vedesse ora così. E chissà come è lui quando è nudo? Qualcosa è cambiato all’esterno e all’interno o questa persona entrata in noi è soltanto una marionetta in più nel nostro teatrino? Sappiamo che è ben di più! E’ colui che ci guida in un viaggio da cui potremmo uscire rinnovati.

5
Una delle frasi che mi hanno sempre messo a disagio è la seguente:” faccio questo per far passare il tempo”. Molte volte ci si concentra in un’azione per far trascorrere in fretta le ore che ci separano da un evento desiderato . Altre volte è una frase detta così, fine a se stessa. Far passare il tempo. Che vuol dire “ far passare il tempo” quando non si è in attesa di qualcosa di specifico?….E poi, quando il tempo è passato?….Di nuovo altri gesti per far passare altro tempo. Il tempo passa e noi rimaniamo gli stessi. Questo sarebbe terribile. Per fortuna non è possibile, anche se qualcuno si illude di non cambiare . Ma questo sperare di non cambiare impoverisce il cambiamento, è un cambiamento che non ha novità, è un cambiare che è come rimanere uguali.

Allora si vive per la noia e nella noia, nella consuetudine e per non cambiare; in effetti cambiare fa paura, proprio perché non si sa come si diventerà. Cambiarsi d’abito o cambiare abitudini alimentari è un cambiare solo dall’esterno? E cambiare dall’esterno può influire anche sui nostri desideri più profondi? Forse sì. Noi siamo il nostro maglione e i nostri baci. Noi siamo il nostro scrittoio e i nostri sogni. Noi siamo noi stessi e i nostri amici. Però se cambiamo troppo i baci, i sogni, gli amici, noi che cosa diventiamo? Se cambiano i nostri desideri , che resta di noi? Proprio per questo qualunque forma terapeutica che prenda in considerazione soltanto un aspetto della persona umana non sarà mai una vera cura . La pura e semplice inibizione dei sintomi con i farmaci, con il condizionamento dall’esterno, con le razionalizzazioni e i precetti comprime l’essere umano riducendogli lo spazio vitale, rendendolo continuamente insicuro.
Ciò agisce soltanto dall’esterno espropria e passivizza. L’inibizione di un sintomo, può essere momentaneamente utile e io non la rifiuto aprioristicamente. L’essere umano però non è soltanto i suoi sintomi; dobbiamo essere consapevoli che i sintomi non sono qualche cosa di esterno e appiccicato , fanno parte delle persone come tutto il resto che loro inerisce.

Non si può bloccare un sintomo e sperare che tutto sia risolto. Se non si sanno affrontare anche le motivazioni e le dinamiche inconsce, la scomparsa di un sintomo, può molto spesso, non essere altro che una perdita. La consapevolezza, ovviamente, non potrà mai essere totale, ma deve essere cercata continuamente. L’essere umano è composto del conscio e dell’inconscio, dei sintomi dolorosi e dei gesti che lo rendono soddisfatto. L’essere umano è il punto in cui si incontra l’universo. Questo mio umanesimo spera di non stimolare il desiderio di onnipotenza, ma vuole richiamare gli esseri umani a non separare brutalmente la loro esistenza da quella del” tutto” . Io non credo che l’uomo sia la copula del mondo, come diceva Ficino. L’uomo non tiene unito il mondo e non è tramite tra esseri superiori e inferiori. Ma l’uomo non deve sentirsi una manciata di cellule che si dimena senza senso su “questo atomo opaco del male”.
La psicoanalisi può far cambiare i nostri desideri ma questo cambiamento non è gestito del tutto da noi e allora ci sentiamo espropriati o peggio ancora temiamo di diventare estranei a noi stessi. In realtà il viaggio psicoanalitico permette, forse il cambiamento migliore. Cambiare con la consapevolezza del cambiamento, confrontando il nostro mutamento con l’altro, che muta con noi ma anche che resta un punto di riferimento. Cambiare senza saperlo è come non cambiare.

6.
Cambiare per cambiare è come fare le parole crociate per far passare il tempo. Bisogna cambiare avendo un progetto; bisogna abbandonare alcuni desideri perché altri ci sembrano, politicamente, esistenzialmente, moralmente più utili. Cambiare deve voler dire lottare con noi stessi e anche con gli altri affinchè qualcosa divenga migliore. Perciò cambiare non può essere soltanto non essere più come si era prima. Cambiare deve voler dire migliorare, avere qualcosa di meglio. Di meglio secondo quali parametri? Quelli che ci ha detto lo psicoanalista ? Certo anche attraverso un viaggio dentro ai nostri desideri, sopiti e allontanati, fantasmi sconosciuti che divengono noti. La scelta è sempre figlia di un condizionamento, ma è triste essere prigionieri di una scelta meschina e rattrappita; molto meglio essere figli di un’avventura che cerca di raggiungere il meglio e non soltanto il diverso. E’ strano sentire esaltare la positività del “diverso”. Il diverso aggettivo diviene il diverso sostantivo, un essere umano come gli altri. Ma chi sono gli altri? Sono i più: il diverso, colui che non è come la maggioranza. È necessariamente migliore? Ma la maggioranza, però, non è composta di bruti che violentano bambini nei cespugli della periferia. Eppure anche quelli sono diversi. Diversi da che? Da quegli altri diversi; che invece sono i diversi buoni. E chi sono i diversi buoni? Ognuno di noi ha un concetto diverso del diverso e del diverso buono. Certo, mi fanno orrore la stupidità e la viltà dilaganti, la monotonia di milioni di vite consuete e rancide, tutte uguali, o forse, quasi tutte uguali.

“Almeno non è come tutti”si dice di qualcuno. . “per fare qualcosa di diverso “ si dice spesso il sabato sera, mentre ci si accinge a fare ciò che tutti fanno.

7.
L’analista, quindi deve essere quanto mai cauto nel far venire fuori l’inconscio. Due atteggiamenti scorretti favoriscono la fuoriuscita prorompente di ciò che da troppo tempo era nascosto: sia il silenzio eccessivo sia le interpretazioni sconsiderate. L’analista che crede di essere prudente e sta all’inizio dell’analisi , troppo zitto, ottusamente zitto , favorisce l’esplosione dell’inconscio che comincia a dilagare, e più l’analista tace e più l’altro si avvolge nelle sue fantasie, nei suoi fantasmi, nei suoi ricordi e poi dietro ai ricordi , altri ricordi e altri ancora. Le immagini perdono di realtà, la riacquistano, riempiono il silenzio che sembra invitare a produrre di più, a scavare, a addentrarsi per strade che possono essere ancora pericolose.
Oppure, inorgoglito di aver capito qualcosa, di avere sulle labbra una bella interpretazione, spesso l’analista scaraventa una sentenza e poi tronfio, osserva. Ma cosa osserva? Un altro che appare un po’ disorientato, poi aggrappandosi, ingenuamente a quella frase come ad una scialuppa di salvataggio, ha il coraggio di buttar fuori quello che non aveva osato ancora dire: ma l’analista non è pronto a sorreggerlo, e, allora il mare dell’inconscio diviene sempre più tempestoso. Ma, allora, quando è bene tacere? E quando è bene parlare? Ecco, perché non si diventa psicoanalisti sui libri, e neppure con la buona volontà. Si diventa buoni psicoanalisti soltanto se si ha lavorato a lungo con un maestro, che ci abbia insegnato ad avere orecchio: che ci abbia insegnato una serie di trucchi che lui ha imparato, di piccole tecniche, che sono tantissime e che è importante conoscere. L’analista deve affinare l’orecchio per sapere stare zitto e parlare al momento opportuno. Una precettistica troppo articolata e rigida è quanto mai pericolosa, perché costringe l’analista a seguire soltanto aride regolette e gli impedisce di abbandonarsi all’unica guida Eros, incarnato nel suo maestro. Se lo psicoanalista sa tacere e parlare al momento opportuno, vedrà l’inconscio dell’altro, lentamente affiorare, manifestarsi, inondare la stanza. Ma egli saprà sempre controllare la situazione, anche quando vi sarà lo smarrimento dell’altro e la sua perdita di contatto con la realtà. Lo psicoanalista deve saper amare per poter essere amato e deve saper infondere fiducia. Se rimane un simulacro impassibile, pupazzo per le proiezioni trasferenziali, è un terapeuta pericoloso, che non insegna il rapporto, ma la solitudine.

8.
Ho detto che bisogna stare zitti, ma non troppo: e saper parlare, ma non troppo presto. Voglio ora soffermarmi un momento sul silenzio dello psicoanalista. Il silenzio è molto difficile da gestire: i disastri più grandi però avvengono quando la scelta del silenzio di deve al fatto che lo psicoanalista non sa veramente che pesci pigliare. Sia nella vita quotidiana sia nell’analisi i messaggi indiretti e inconsci sono continui. Quando l’analista non capisce, non sa come muoversi e sceglie di tacere, il messaggio che passa all’altro è disastroso. Talora lo psicoanalista si dice: io sto zitto così non faccio disastri, non provoco guai. Invece proprio in quel momento estremamente dannoso. Il silenzio ottuso di chi non ha capito è destrutturante e pericoloso: l’analizzato si sente disperatamente solo e l’analista assume allora un atteggiamento rigido e pettoruto, corruga la fronte e poggia con aria pensosa il mento sulla mano. Ma che non abbia capito niente lo si percepisce benissimo; lo percepisce l’altro e lo percepiscono persino gli oggetti della stanza che lì, su quella poltrona, sta seduto uno che non capisce e che dovrebbe capire. Allora che si fa? Bisogna capire, non ci sono altre possibilità: bisogna capire oppure cambiare mestiere. Ci possono essere dubbi, incertezze, perplessità e queste sono vitali e, spesso, utili; ma guai a quell’analista che non capisce troppo a lungo! Che si sente annegare nel mare immenso delle parole e delle associazioni dell’analizzato senza capire. E’ meglio capire o capire sbagliato? E’ meglio capire sbagliato: non capire è veramente distruttivo. Si potrebbe obiettare che anche chi ha capito sbagliato, non ha capito; ma non è proprio così. Comunque, ripeto: bisogna capire, e possibilmente capire giusto. Qui si annida il pericolo costituito da quelli che hanno raffazzonato la loro preparazione e non hanno avuto un didatta – che io preferisco chiamare maestro.

Perché costoro , in genere, o non capiscono o capiscono sbagliato , e allora sono guai seri. Riuscire a comunicare stando zitti è difficilissimo: anzitutto bisogna aver capito, o almeno aver capito abbastanza, allora si può anche decidere di non parlare; ma questo non è più il caso di un poveretto disorientato e annaspante , l’altro percepisce la presenza di un analista che sta seguendo una linea di pensieri ed è in qualche modo in comunicazione anche con lui, in che modo? Attraverso le domande: è più difficile fare domande azzeccate, o sottolineare una frase dell’analizzato di quanto non lo sia scaraventargli addosso una interpretazione più o meno brillante.

A me piace molto comunicare con la mia presenza, con il mio corpo, che è lì che attento e consapevole, E poi con le domande, talvolta astute, talvolta un po’ cattive, sempre con un sottofondo di tenerezza. Io sto conducendo un’analisi, da più di due anni, praticamente soltanto attraverso le mie domande. Certo, la persona che lavora con me è particolarmente recettiva, intelligente, sensibile: una mia breve domanda , secca e precisa vale per lui quanto una lunga interpretazione, articolata e prolissa. Domande e risposte, il dipanarsi lento di una storia, di una avventura, di un rapporto che è caldo e coinvolgente. Io sono lì, presente con tutto me stesso, e qualche domanda. Parlo con i miei silenzi e le mie domande, ma parlo perché so di aver capito.