4 – Giugno ‘84

giugno , 1984

Mercoledì 23 maggio abbiamo assistito ad un ottimo concerto: Riccardo Muti dirigeva la Philadelphia Orchestra per la stagione sinfonica di S. Cecilia (il concerto era fuori abbonamento). Questa storica orchestra che tenne il suo primo concerto nel 1900 diretta da Fritz Scheel, ha avuto tra i suoi direttori stabili personaggi come Stokowski e il grande Eugène Ormandy, è diretta dal 1980 da Riccardo Muti. In questa esibizione (perché un po’ esibizionista è l’amabile Riccardo), la Sinfonia in re minore di César Franck, composta tra il 1886 e il 1888 ed eseguita per la prima volta nel 1889, ha rivelato tutta la sapienza compositiva di mago dell’orchestrazione di C. Franck.

I temi si rincorrevano, ora dolci, ora più protervi, in un impasto orchestrale quasi perfetto, nessuno squilibrio e anche il tema più importante, quello in fa maggiore che rende la sinfonia riconoscibile anche dal grande pubblico, era tenuto a bada, in quella interna e piacevole patina hollywoodiana, con grande maestria. Poi Muti si è divertito a sbalordire il pubblico con i brani delle suites per orchestra n. 1 e n. 2 del Romeo e Giulietta, che Prokofiev nel 1936 trasse dalla musica dell’omonino balletto. Temi ardenti, appassionati, drammatici, lirici, facevano bella mostra di sé, insieme, avvolti da armonie sapienti e artigianalmente ben tornite. Il pubblico e noi siamo rimasti estasiati, anche dal pizzico di gigioneria accattivante.

Irritante, invece, (e vogliamo dirlo proprio in contrapposizione a quanto abbiamo detto del concerto di Muti), è stata l’esecuzione della Academy of Saint Martin in the Fields, guidata dal primo violino, che abbiamo ascoltato sempre all’Auditorium di via della Conciliazione, per la stagione da camera. Il complesso strumentale è specializzato in musiche del sei e settecento, ma non si limita ad esse. Una fredda precisione da metronomo è riuscita ad imbalsamare Mozart nelle sue due sinfonie: in sol maggiore K. 124 e in la maggiore K. 201, e ad irrigidire il Concerto grosso in sol minore per archi e cembalo di Arcangelo Corelli e la sinfonia n. 44 in mi minore di F.J.Haydn.

Nonostante l’ottusità degli altri esecutori, l’oboista Celia Nicklin, che pur fa parte del complesso, ha dato un’esecuzione che ha raggiunto punte di sublime perfezione del Concerto n. 3 in sol minore per oboe, archi e continuo di Haendel. Calda, intonata e precisa; ma come fa a convivere con quelle mummie?