4 – Giugno ‘84

giugno , 1984

In una antica cappella sconsacrata, al numero sei di via Vittoria, è stato rappresentato un testo che appartiene alla storia del teatro: « II risveglio di primavera» di Frank Wedekind, messo in scena, quale saggio di diploma del terzo anno, dagli allievi dall’accademia nazionale d’arte drammatica «Silvio D’Amico».
Vecchi e avidi divoratori di messe in scene teatrali, ci eravamo recati, benignamente indulgenti, ad assistere a un «saggio»; abbiamo invece assistito ad un bello spettacolo, come proprio non ci aspettavamo. Ad essere sinceri il testo di Wedekind non ci piace molto; è importante, per il suo tempo, anche dal punto di vista teorico, ma gli anni se li sente tutti addosso: un pre-espressionismo un po’ ingenuo, parolaio e tronfietto, pervaso però da un’efficace, se pur malata, sensualità. I desideri e le fantasie di un mondo di giovani che vedono sbocciare la primavera della sessualità contrapposti a figure di genitori e professori, irrigiditi e ottusi nella banalità di un perbenismo sterile e mortifero. Le acerbe voci degli allievi dell’accademia erano perfette e coinvolgenti; anche quando rappresentavano gli adulti, quelle improbabili sonorità davano al tutto un che di bizzarro ed ironico.
Sono stati tutti bravissimi: i gesti, le voci, i corpi ingenuamente professionali. I movimenti erano eseguiti con disinvoltura; si sono lasciati andare tutti cercando soprattutto di esprimere lo smarrimento e l’angoscia di esistere. Le idee registiche erano continue: alcune un po’ ovvie e da manuale, ma sempre garbate. La musica è stata usata con sapienza: Brahms, Mahler, cori virili intonati e piacevoli e una vocina di donna graziosa ed efficace.

Noi vogliamo ricordare un solo nome (gli altri, se possono, non si offendano, per favore): Marco Maltauro che ci è parso proprio eccezionale, soprattutto nella scena delle forbici. Noi non crediamo nella freddezza dell’artista, ma ci compiaciamo quando scorgiamo, insieme con la passione, la precisione, frutto di uno studio attento e accurato. Vorremmo dire più a lungo, analizzando scena per scena. Non facciamo auguri perché sarebbe prendere poco sul serio e considerare troppo scolastico uno spettacolo che ha una sua completa dignità. Ma, forse, questa è una negazione.