04 – Giugno ‘84

giugno , 1984

Capo d’accusa

In modo adeguato, e, più spesso, in modo inadeguato, si è reagito, da più parti, con fastidio, alla teorizzazione del rapporto discepolo-maestro come rapporto ideale, auspicabile anche politicamente. Il concetto di maestro ha richiamato, più o meno consapevolmente, il concetto di plagio, e il plagio è considerato, a torto o a ragione, la premessa dell’oppressione delle masse. Si è così proceduto in una serie di equazioni improprie: maestro = leader; leader = duce.
In verità, il maestro finisce dove c’è spazio per un leader e il leader muore quando nasce il duce.
Il duce, o il dittatore, è, in genere, la figura simbolica che esercita, per delega, un carisma che, se mai gli è appartenuto, non gli appartiene più, ma che appartiene, invece ad un apparato, statale od economico, che egli rappresenta, ma che non incarna.
Il leader esercita un potere, più o meno limitato, su gruppi di varia dimensione, che egli riesce però a controllare in modo diretto o attraverso pochissime mediazioni. Duce e leader possono essere imposti e possono avere o non avere il consenso al loro potere. Il duce o il leader possono anche conoscere la negazione della loro necessità, sia su basi personali, intime e di carattere, sia su basi politiche: la loro più clamorosa negazione è un’ipotesi di democrazia.
Il maestro, invece, è una figura ineliminabile: si può discutere su quali caratteristiche debba avere, ma non si può discutere sulla sua necessità. Ci sono maestri buoni e maestri cattivi, ma non c’è uomo che non abbia avuto un maestro. Per tutta la vita, noi, per ragioni culturali e politiche, siamo stati ammaestrati ad accettare o a rifiutare i nostri maestri. Da chi?
In queste lotte, per e contro i maestri, qualcuno ha creduto utile inserire anche una polemica sul plagio. Il plagio sarebbe il condizionamento di una coscienza senza che chi è condizionato ne sia consapevole. Il duce e il leader hanno sempre negato di essere autori di tale tipo di condizionamento. La democrazia delle maggioranze silenziose ha sempre tuonato contro i cattivi maestri colpevoli di plagio. Anche un cattivo osservatore si rende conto che il plagio è alla base del vivere, pro e contro, di tutti gli uomini. Dai messaggi nascosti degli slogan pubblicitari a quelli trasmessi copertamente dagli slogan delle ideologie, dai condizionamenti culturali a quelli affettivi, il plagio rappresenta una forma onnipresente di passaggio di contenuti, buoni e cattivi. Il maestro e il discepolo, quando sono consapevoli del ruolo che hanno, in relativa libertà, reciprocamente scelto, costituiscono la sola possibilità di corretta gestione dei rapporti di apprendimento. Giustamente il moralismo delle maggioranze tuonerà contro questa mancanza di perbenismo, che toglie il monopolio del plagio alle istituzioni e ai mass-media; che soli sono autorizzati a plagiare, perché soli tentano la via del plagio totale, che annienta ogni possibilità di scegliere tra i messaggi, secondo il proprio bisogno e il proprio desiderio.