4 – Giugno ‘84

giugno , 1984

Per certi artisti è irritante che si sica ai loro: qui ricorda Boccioni, là Manet, là ancora Grosz, perché ciò significa un poco svilirli. È vero, infatti, che gli artisti debbono essere inseriti nel loro tempo e quindi essere in tensione dialettica col resto del mondo e dell’arte. Il linguaggio di Aligi Sassu è profondamente originale, se pure impastato proprio dei riferimenti che sopra abbiamo citato; ma si tratta qui, appunto, di dialogo e non di imitazione. Vorremmo partire da un’opera splendida: «Il centauro Chirone educa Achille» ovvero «la continuità dell’esperienza» opera recentissima, meravigliosa nella sua pastosità ed euritmia, classicità non di maniera, ma profondamente sentita e felicemente espressa, una fantasia classica tra le tante che sono possibili.
Affascinanti i rossi di giovani corpi nudi, eroticamente accesi, a volte fusi con altri colori, a volte nettamente staccati. Avvincenti le appassionate rappresentazioni del «Concilio» e del «Concilio di Trento» irti di mitrie aguzze di vescovi visti nella loro cattiveria, ma anche inquietante problematicità.
La sottile malinconia dei Caffè, tema consueto per quegli anni trenta, ma affrontato con forza tutta personale. La laida e un po’ metafisica volgarità delle donne del «Divano rosso» e del «Divano azzurro», dée decadute ma non odiate. Quadri tutti di poeticità immediata, non intellettualistica, che sono riusciti ad imporsi anche in questa mostra incompleta, un po’ ufficiale e un po’ benefica, ospitata in castel S. Angelo, sotto lo sguardo dei papi e di un imperatore innamorato della bellezza: «Animula, vagula, blandula/hospes comesque corporis…»

Decisamente brutta, senza possibilità di appello, l’esposizione delle cose romantiche e garbate di Giosetta Fioroni alla Galleria Giulia di Via Giulia 148.
L’autrice pare essere molto nota, anche se non abbiamo capito perché.
Le immagini e i colori dei quadri che abbiamo visto starebbero meglio sui paréo dei club di vacanze che non appesi alle pareti dei luoghi dell’arte.
L’impressione complessiva è che si tratta di cose banali, stucchevoli, graziosamente di maniera: colori fini, immagini ben disposte, pennellate di vento, qua e là, tra l’ombra degli alberi e dentro le case, qualche sospetto metafisico.
L’originalità di una «Superfoglia»… Ne abbiamo parlato, anche se forse, avremmo fatto meglio a non parlarne.