81 – Marzo ‘92

marzo , 1982

È andato in scena al Teatro Argot di via Natale del Grande 21, presentato dalla Compagnia Teatro della Città, un nuovo testo di Franco Bertini, autore di quel Track che ebbe l’anno scorso un buon successo e di cui si è avuta nel frattempo anche una versione cinematografica. Macchine in amore, questo è il titolo del nuovo spettacolo, ci ha sorpreso ed entusiasmato; ci siamo trovati davanti ad una scrittura schietta e teatralmente efficacissima. Si passa da un inizio sciolto, ammiccante e divertito, con appena un accenno inquietante, ad un dramma che si fa sempre più consistente fino alla tesissima realistico-astratta catastrofe finale. Spesso gli interpreti parlano un romanesco di chiara derivazione pasoliniana, asciutto e tuttavia ricco di poesia e sincerità. Molti bozzetti, quasi gags quotidiane, si succedono, veristiche, accattivanti e divertenti.
Tre ragazzi, un coattello, un depressone e un bellone «sfigato», decidono di andare a puttane in un casino nascosto dietro ad un cantiere di chissà quale periferia romana. Il bellone, Edoardo, è afflitto da un dramma famigliare, poiché il fratello Simone è sofferente di gravi turbe emozionali che ne fanno un disadattato, diagnosticabile forse come ragazzo-Down. La situazione drammatica nasce dalla decisione di coinvolgere Simone nell’avventura sessuale del gruppo. I tre giovanotti danno inizio ad un gioco di reciproca provocazione e stimolo, di netta cannotazione omosessuale, come succede quando la complicità si rafforza e la donna diventa un pretesto per provare insieme sentimenti a forti tinte ed il corpo dei compagni, vero e inconscio oggetto del desiderio, può venire così esaltato e percepito, come sensuale e potente. Questo gioco tutto sommato gestito sufficientemente dai tre, non può essere invece controllato da Simone, il quale lo converte in fantasie terribili e tenerissime verso la donna vagheggiata e mai posseduta.
L’epilogo di una tale tesissima situazione non può che essere di una insostenibile drammaticità. Sia il regista, Giulio Bose, sia gli attori, Gianmaria Tognazzi, Paolo Fosso, Franco Pistoni ed Enzo Marcelli sano riusciti a rendere tutto questo con un ritmo secco e stringato, delineando personaggi vivissimi e di grande suggestione. Un particolare apprezzamento merita a nostro avviso la lucidità can cui è stato affrontato il problema del «matto». Per una volta abbiamo visto una lettura del disturbo psichico non compiaciuta a pietistica, ma malto sobria, studiata ed allo stesso tempo umanamente partecipe. Le musiche sono di Marco Manusso e la scena iper-realistica è firmata da Tiziano Fario.