Psicoanalisi contro n. 3 – L’altra domanda. Appunti di tecnica psicoanalitica

marzo , 1980

I sapienti intorno alla teoria e alla tecnica psicoanalitica dicono che quando uno « psicoanalizzando » ri­volge allo psicoanalista una doman­da, per questo solo fatto, starebbe mettendo in atto una resistenza. Io credo che questo sia, anche, vero; penso, però che la lettura di questo tipo di domande non è così semplice come può parere. Ogni gesto, ogni atteggiamento e ogni frase espressi durante una seduta psicoanalitica, sono sempre anche, resistenze. La censura non si trova in un’area loca­lizzabile della psiche. I contenuti in­consci vogliono e non vogliono di­ventare coscienti; conscio è ciò che l’Io è, adesso e qui, inconscio è ciò che l’Io era e sarà. Il conscio è co­stituito da un piccole, e Claudicante desiderio: da un desideno proget­ffinte che, chiuso nel qui ed ora, tenta di superarlo. L’inconscio è co­stituito da un insieme di desideri, passati e futuri, che cercano di tra­valicare il prima e il poi, nel tenta­tivo di essere qui ed ora.

Il conscio è continuamente attratto dall’inconscio, ma l’inconscio non è sempre attratto dal conscio. I con­tenuti inconsci, come ho detto, si af­follano nel tentativo di diventare un qui ed ora; ma, anche, cercano di allontanarsi dal qui ed ora, per con­tinuare ad esistere nelle dimensioni del passato e del futuro.

Il passato e il futuro attraggono an­che la coscienza, che, però, non ap­pena vi si dirige, li distrugge, come passato e come futuro, attualizzan­doli. L’inconscio, però, non è soltanto costituito dal passato e dal futu­ro: è anche presente, con la coscien­za, pur non essendo coscienza.

La psiche umana è composta di in­finite dimensioni progettanti. Dimen­sione vuol dire spazio, ma spazio percorribile in un tempo, spazio per­corso con una velocità. Le ascisse e le ordinate della psiche sono carte­sianamente utili; ma imprecise quan­to utili. La « quota » serve, ma il tutto era ancor prima. Perciò Fin- conscio, spesso, si ribella alla sua tendenza a diventare conscio. La psi­che ha la ricchezza strutturale di una città antica e ancor viva. Il tem­po ha sovrapposto forme architet­toniche diversissime, per cui, da ogni angolo, vicolo o piazza, la città sembra diversa. Forse la si può an­chè, sempre, un po’ inventare.

Torniamo, ora, a parlare delle do­mande che vengono rivolte allo psi­coanalista durante la seduta. Sono, per lo più, di tre tipi: il primo tipo comprende quelle che riguardano la persona dello psicoanalista e il suo ambiente; il secondo tipo si riferi­sce in genere agli argomenti teorici della psicoanalisi; il terzo compren­de domande sull’andamento dell’a­nalisi stessa che si sta conducendo. Indubbiamente, queste domande ri­velano anche il desiderio di sposta­re l’attenzione dello psicoanalista su qualcosa di diverso; ma diverso da che? Si potrebbe rispondere: diver­so dall’analisi. Ma, soggiungo: dal­l’analisi di che? Dei contenuti men­tali dello psicoanalizzato. Ma le do­mande non sono forse contenuti mentali dello psicoanalizzato?

Io mi sto convincendo, sempre più, che, durante una seduta psicoanali­tica, tutto sia una resistenza, e, nello stesso tempo, nulla sia da conside­rarsi, in particolare, come una resi­stenza. Io credo che l’unica resisten­za che conservi le caratteristiche prinebali della resistenza s,ia2.’„iister- ruzi analisi. Anch’essa sem­pre comprensibile, che, però, parla un linguaggio che non può permet­tere la prosecuzione del discorso: è come una parola perentoria e chia­rissima, dopo la quale, però, c’è il silenzio.

Lo psicoanalista tende, spesso e vo­lentieri, a considerare resistenze i comportamenti che gli sono incom­prensibili della persona con cui ha il rapporto analitico. Ogni gesto di ribellione, di aggressione, viene in­terpretato come resistenza. L’anali­sta, spesso, interpreta come resisten­za sia il silenzio, che le domande; ma, ribadisco, per lo più, scaglia_il suo anatema contro la resistenza, quando non capisce.

Il primi) tìpo di domande di cui ho parlato sembrerebbe raccogliere quelle che esprimono le resistenze più palesi ed evidenti. Se io chiedo all’analista informazioni sulla sua vita privata, suoi suoi gusti, sulle sue opinioni politiche, i suoi affetti, il suo passato, etc.; voglio, è vero, anche, fronteggiarlo, assumere io l’at­teggiamento dgirarialifanierò, sPes so, è anche un mezzo per buttarmelo •: addosso, per scoprirmi di più:

Una signora, dopo avermi chiesto dove comperavo le scarpe, le para­gonò a quelle del figlio; poi, con un apparente salto logico, mi chiese quali erano i miei sentimenti verso suo figlio, anche lui in analisi con me. Due domande interpretabili co­me resistenze? Io credo di no. Espli­citamente era stato espresso il de­siderio di vedere i miei genitali e mi era stata fatta la richiesta di fare in modo di vedere più chiaro nella sessualità e negli affetti del figlio. Due piccole domande, appena vela­te, di resistenza.

Un signore, sdraiato su di un diva­no, in atteggiamento rilassato e di­sponibile, mi stava sciorinando una serie ricca e variopinta di associa­zioni; sembrava che le resistenze fos­sero del tutto abolite. Pareva quasi che l’inconscio parlasse direttamen­te; eppure quelle associazioni erano lontanissime dal discorso che vole­vano coprire. Ad un certo punto, mi accorsi che quel signore tentava, senza riuscirci, di negare la mia pre­senza. Mi aveva allontanato da sé, sia pur fantasticamente, per allon­tanare l’analisi. Non voleva più che io ci fossi. Era quasi riuscito a rea­lizzare l’interruzione dell’analisi; pe­rò era anche consapevole della mia presenza, quindi si sforzava di pre­sentarmi associazioni ricche, sebbe­ne incomprensibili. Per un po’ ri­masi disorientato; per fortuna, quel­la volta, la resistenza-fuga mi fu . chiara.

Però, secondo me, quel signore aveva tentato di resistere assai più che quella donna con le sue domande. Un ragazzo, mettendomi una mano sul ginocchio, mi domandò se in tut­te le analisi si affrontavano i proble­mi omosessuali. Era una resistenza o un invito. Anche un invito anali­tico, intendo!

Un altro ragazzo fece una serie di associazioni, sciolte e libere, a pro­posito di una serie di libri che si trovavano di fronte a lui, sullo scaf­fale. Ne saltò uno solo, involontaria­mente; sperava che io non me ne accorgessi; aveva saltato La questio­ne omosessuale di Tripp.

Quando si chiede all’analista di fare il punto sull’analisi che si sta con­ducendo, in effetti si cerca di esor­cizzare l’analisi. Oppure quando ci si rivolge all’analista con la frase: — adesso che mi dici? — In queste richieste c’è anche qualcosa che ri­fiuta l’analisi; ma spesso le doman­de sono formulate in modo che con­tengono già in sé frammenti di ri­sposte.

Vorrei ora fare un’osservazione ge­nerale sulle domande: non dimenti­chiamo che uno dei moduli linguisti­ci più tipici del nostro parlare è quello di rispondere usando una do­manda. Che è, sì, beniteso, un tenta­tivo di eludere, ma è anche un modo di rispondere. Noi abbiamo introiet­tato questo modulo linguistico, per­ciò, spesso, in analisi, si risponde con una domanda, ci si scopre con una domanda. Ma ci si scopre per- che ci Si vuole scoprire.