La psicologia mette in relazione l’omosessualità con il narcisismo. L’omosessuale sarebbe colui che ha scelto sessualmente un individuo del proprio sesso, perché ancora troppo prigioniero di un narcisistico amore di sé: nell’altro vede se stesso, o come vorrebbe essere o come era. Sceglie il simile perché non ha la capacità di amare il diverso da sé, perché ha paura dell’avventura amorosa e sessuale. In fondo, l’omosessuale, come ogni narcisista, sarebbe un egoista che non vuole dare e darsi; allora sceglie il simile perché, così, ha l’illusione di perdersi di meno e di non allontanarsi troppo dal desiderio di sé.
Questa teoria trova concordi psicologi, psichiatri e psicoanalisti (ovviamente, quelli che non ritengono che l’omosessualità sia causata da una alterazione organica; neurologica, ormonale o altro).
L’omosessualità è, comunque, ritenuta da molti una malattia psichica strettamente collegata con la degenerazione morale. L’omosessuale sarebbe, come ho detto, soprattutto, un egoista: il Narciso per eccellenza. Vi sono anche altri psicologi e moralisti che tentano di non scagliare anatemi sull’omosessualità e parlano di scelta omosessuale. L’omosessualità sarebbe una scelta; ma se si chiede a costoro perché alcune persone operino questa scelta, spesso la risposta è questa: — la scelta omosessuale è una scelta narcisistica —, poi aggiungono: — scelta comprensibile; in alcune situazioni, forse, non sarebbe stato possibile assumere un altro atteggiamento sessuale. Però è compito della terapia psicologica sbloccare la chiusura narcisistica per riportare all’eterosessualità, unica forma biologicamente conveniente e moralmente accettabile. Se però la terapia fallisce bisogna assumere nei confronti dell’omosessuale un atteggiamento di umana comprensione e, persino, di solidarietà.
Anche la cultura non psicoanalitica, e persino il senso comune, ritengono che l’omosessuale sia una persona particolarmente chiusa in se stessa, un individuo compiaciuto di sé, prigioniero di problemi lontani dalla concreta serietà della vita di tutti. L’omosessuale è un frivolo che si gingilla con il proprio corpo e con il corpo delle persone simili a lui: in fondo, non è mai diventato un adulto.
La scienza psicologica, più del senso comune, riconosce agli omosessuali una certa genialità, soprattutto in campo artistico. Le spiegazioni sono quanto mai bizzarre e contraddittorie; però si è costretti a riconoscere un dato di fatto: molte personalità di spicco della nostra cultura furono, e sono, omosessuali.
Il narcisismo omosessuale spinge chi ne è prigioniero a vivere una vita essenzialmente estetizzante. Così si dice, così dice la scienza, così dicono i « ben pensanti ». L’omosessuale, innanzitutto, ama il suo corpo: lo cura di più di quanto facciano gli eterosessuali, lo ammira e lo esibisce. Le suore di un tempo dicevano che se ci si guarda troppo allo specchio si rischia di veder comparire il diavolo: questo diavolo è l’omosessualità.
Si dice che l’omosessuale abbia gusti raffinati; che vada alla ricerca di cose belle, ma un po’ estenuate e decadenti. Si dice che l’omosessuale assapori la vita cercando di coglierne gli aspetti scintillanti e preziosi; gli si riconosce di essere acuto e pungente, ma non profondo. Lo si ritiene geniale, ma non costante; di lui si dice che crei, ma che distrugga continuamente. Gli omosessuali, tutto sommato, dicono i ben pensanti — scienziati e non — hanno una sensibilità epidermica che spesso li porta più a sentire che a capire; anche per tutte queste ragioni non gli si è mai riconosciuta capacità di azione politica: l’omosessuale sarebbe colui che nasconde dietro un paravento di seta l’angoscia della propria sterilità.
Altri ancora mettono in relazione omosessualità e impotenza. L’omosessuale sarebbe un impotente che non ha voglia e capacità di creare; ma di cui la vita si vendica, caricandolo di un’angoscia mortale. La condanna è l’impossibilità di amare e la sterilità. L’astuzia della specie escogiterebbe una vendetta terribile per l’omosessuale: lo farebbe vivere, continuamente oppresso da, più o meno consapevoli, pensieri di morte. L’omosessuale, si sente inutile, perciò il pensiero della morte lo accompagna e lo spinge ad una frenetica ricerca sessuale. La gaiezza degli omosessuali sarebbe permeata di angoscia di morte.
Queste sono immagini oleografiche e banali. Debbo riconoscere che alcune persone, sedicenti omosessuali, hanno fatto, e fanno, di tutto per renderle concrete. Il discorso è molto più complesso ed ampio. La nostra cultura concepisce due tipi di omosessualità maschile: il primo è quello che ho sopra descritto, l’altro è il travestitismo.
L’omosessualità femminile è stata descritta dalla scienza quasi esclusivamente come una forma di travestimento. La donna vorrebbe soprattutto essere un maschio e ne assume perciò il comportamento sessuale e l’atteggiamento psichico tipico; e, dal punto di vista estetico, scimmiotta pateticamente il maschio. Anche la femmina omosessuale, però sentirebbe nel rifiuto della maternità una condanna mortale. I suoi desideri sterili la fanno sentire vuota e rinsecchita; allora diviene o eccessivamente ansiosa e depressa, o aggressiva e autoritaria; ma il vuoto intirinseco la schiaccia e la condanna. Comunque, è sempre oppressa dal fatto di non aver saputo scegliere come oggetto d’amore l’altro sesso: è pur sempre una donna che ama un’altra donna.
Condannati o compresi che siano dalla scienza e dai ben pensanti, gli omosessuali sono persone che non hanno saputo scegliere se non il simile. Tutte queste considerazioni sono semplicistiche e banalizzano un problema molto più complicato. Già la psicoanalisi classica aveva affrontato il problema della sessualità infantile, sostenendo che l’essere umano nasce carico di tutte le perversioni sessuali. Il polimorfismo perverso caratterizza i primi anni di vita. Due istanze interverranno a incanalare questa anarchia pulsionale e sessuale: la prima è interna, un istintuale meccanismo evolutivo che guida i desideri, strutturandoli in fasi successive in cui alcuni saranno rimossi ed altri spinti ad articolarsi in comportamenti ed a dirigersi verso oggetti biologicamente e moralmente utili. La seconda istanza è esterna: l’educazione della famiglia e della scuola che affiancherà l’innato meccanismo. Se in questo complicato lavorio di forze e controforze qualcosa non funziona, ecco che le pulsioni perverse rompono gli argini, dominano la personalità, impedendo un vita sessuale « normale ». È abbastanza divertente accorgersi che, secondo la psicoanalisi classica il neonato è un accanito lettore dei feuilleton scollacciati e piccanti del primo Novecento; perché pare che il polimorfismo delle sue perversioni sia composto da una collezione di piaceri sessuali torbidi, ma precisi e ordinati; tanti mini-ruoli sessuali perversi e precisi: esibizionismo, voyeurismo, sadismo, masochismo, coprofilia, etc…
Io ritengo che quelli siano, certamente, modi in cui, anche, il bambino tenta di vivere la propria sessualità; ma questo è uno schematismo creato a posteriori dall’adulto, nel tentativo di leggere il desiderio del bambino. Questo tentativo di lettura condiziona il bambino stesso: non è il neonato che legge i giornaletti pornografici; ma è l’adulto che legge il bambino secondo i suoi schemi.
Penso che le cosiddette perversioni siano, all’inizio della vita, molto più ricche e varie. La sessualità si costituisce, secondo me, nel rapporto con l’altro: un corpo che cerca un altro corpo, che vuole e dà calore. La scelta originaria, secondo me, consiste nel piacere di sentirmi uno che ritrova l’altro: non l’opacità indistinta dell’identità, ma l’appropriazione di un piacere che si attua nello scambio. Il piacere si realizza nella « direzionalità »: è dentro perché è mio, è fuori perché voglio che sia anche tuo; è dentro e fuori perché si realizza nel « riconoscimento ».
L’Io si compatta attraverso il piacere riconosciuto, non solo mio e non solo tuo. Il piacere è la voglia del piacere, che diviene piacere prima della voglia di piacere. La vita stessa coincide con il piacere; ma la vita si realizza, sempre, in un dirigersi verso, e così pure il piacere. La psicoanalisi classica aveva, per fortuna, privilegiato una perversione: l’omosessualità. Diceva che la situazione originaria è quella bisessuale. Questa è stata un’affermazione estremamente importante.
Come si realizza la bisessualità? Appena l’adulto cerca di immaginarla, di descriverla, pensa ad un maschio che si sente per metà anche femmina e ad una femmina che si sente per metà anche maschio. Quando Freud dice che in un rapporto, a due, eterosessuale, si è sempre almeno in quattro, vuol dire che per il maschio c’è un altro maschio, e lui si identifica con la femmina per provare piacere con quel maschio; e per la femmina c’è una femmina e lei si identifica con il maschio per provare piacere con la femmina. Io credo, però, che prima ci sia la fantasia del maschio che, come maschio, vuole l’altro maschio e quella della femmina che, come femmina, vuole l’altra femmina; e prima ancora, c’è il maschio che vuole l’altro e la femmina che vuole l’altro, poi vuole sé e l’altro, e poi, volendo anche sé, gode di sé maschio che gode con una femmina e di sé femmina che gode con un maschio, e di sé maschio che gode con un altro maschio, e di sé femmina che gode con un’altra femmina.
Le situazioni sono fluide e molteplici. Il maschio ha il suo modo di sentirsi maschio e di sentire l’altro maschio e di sentire la femmina; la femmina ha il suo modo di sentirsi femmina, di sentire l’altra femmina e di sentire il maschio. La bisessualità è, allora, androginia? Non lo so. L’androginia è la commistione di due concetti sessuali, ancor prima che di due organizzazioni fisiologiche ed anatomiche. Oggi, se non si possiede qualche idea delle caratteristiche del maschio e della femmina, è impossibile godere sia dell’eterosessualità che dell’omosessualità, perché il nostro piacere va soprattutto alla ricerca di caratteristiche sessuali riconoscibili.
Io sostengo che la vita è sempre un teatro; quindi anche la sessualità. Purtroppo, autori, registi e capocomici hanno imposto all’essere umano un copione schematico e monotono con pochi personaggi, irrigiditi in corazze buffonesche e con due protagonisti, quasi paralizzati nei costumi del maschio e della femmina. I travestiti hanno tentato di spezzare questa schiavitù scambiando il costume, senza accorgersi, però, che era ancor peggio: perché la rigidità rimaneva ed i movimenti risultavano ancor più impediti da un costume sempre troppo stretto o troppo largo.
Nella ricerca del piacere l’essere umano trova la sua concretezza nel mondo. Questa ricerca ha sempre una direzione. Si realizza nel « progetto-piacere »: l’altro da me non è soltanto l’altro spaziale, è anche l’altro temporale. Il piacere si proietta nel futuro perché vuole ancora. Non è possibile vivere una relazione chiusa nell’astrazione del presente. Il mio piacere si dirige, ascolta e cerca in innumerevoli tentativi. Io e l’altro — spaziotemporalizzati — tentiamo di realizzare il nostro piacere che è la nostra esistenza.
Lo spazio è anche, sempre, il mio spazio; come il tempo è anche sempre il mio tempo.
Kant diceva che il tempo e lo spazio non contengono l’esperienza, ma sono condizione dell’esperienza possibile.
Sono condizioni mie e dell’altro. Però, talvolta, l’altro si ritrae: sta costruendo un suo spazio, espande i suoi desideri in un suo tempo. Vi può essere, quindi, un disorientamento: all’improvviso una parte è scoperta, si sente freddo. La sensazione di freddo esprime, bene secondo me, la frustrazione del desiderio. Quando la relazione non appaga, l’altro aggredisce con il freddo. Possono venirmi addosso il silenzio, il rifiuto, la fuga, l’aggressione… allora io nego l’altro: Narciso si consola nello stagno.
Non è possibile trovare il punto dell’inizio, sia nello spazio sia nel tempo. La mente umana vuole appigli stabili; la stabilità, però, non è una sua caratteristica. La persona, nella sua interezza, si costruisce trovando: trovando sé e l’altro. L’Io è anche, subito, un corpo.
L’origine, secondo me, non è da situarsi in un momento di chiusura. L’inizio della vita (quando?) è da porsi in un momento di quasi simbiosi. Ho usato due termini « quasi » e « simbiosi »; molto probabilmente chi legge avrà fissato la sua attenzione sul termine « simbiosi », considerando il « quasi » un chiarimento non del tutto essenziale. Vorrei invece che tutti e due i termini avessero la stessa importanza: la simbiosi tende all’identità, il quasi pone una tensione dialettica. L’inizio di una nuova vita è nell’altro, in uno stato di tensione. La ricerca dell’altro, ho detto, è costitutiva; ma ricerca è tensione: essere e non essere, volerlo e fuggirlo, ma fuggirlo perché prima lo si è voluto. La chiusura assoluta è un’astrazione: perciò il narcisismo primario non è una possibilità umana.
Il narcisismo è un meccanismo di difesa; senza le difese la vita non procederebbe. La difesa narcisistica può sempre essere messa in atto. Persone estremamente disponibili, da sempre, giunte in un momento particolare della loro esistenza, sopraffatte da una situazione incontrollabile e frustrante, alzano, improvvisamente, tutt’attorno, una massiccia barriera narcisistica. Si rifiutano di continuare a percepire molto di ciò che sta loro intorno; perché molto è l’intollerabile. Ma, qualche volta, il mondo, con astuzia, insinua in me il disprezzo di me: dove fuggire allora? Nego il mondo e cerco di inventare un altro me: sarà contento il mondo adesso? Il mondo, ancora, condanna. Allora Narciso si accoccola sulle rive dello stagno e parla con la propria immagine. Narciso è Narciso finché tenta di baciare la propria immagine; se cade nell’acqua e annega, è una disgrazia, o una punizione: Narciso era prima. Adesso è un fiore, ed io non conosco i meccanismi di difesa dei fiori: Non c’è bisogno di ipotizzare una primaria situazione narcisistica per giustificare le successive fughe nel narcisismo. La difesa è una possibilità della vita, che sorge con essa.
L’Io non si difende soltanto fuggendo e negando; può anche tentare la disperata messa in atto di un’appropriazione: l’Io può, con un gesto violento, tentare di appropriarsi dell’altro che sfugge.
Se l’altro continua ad essere ostile, a frustrare ed a ritrarsi, allora può venire aggredito con violenza; questa prensione dura spesso appaga. Se l’altro soffre, l’altro è in relazione; eccolo presente nella sua sofferenza. L’altro c’è; poi, forse, l’Io vuole anche punirlo: il giudice è sempre in relazione con il giudicato, con il punito. Se è vero che l’Io si costituisce nella relazione, quando l’altro a cui esso si rapporta si ritrae, non solo teme di perdere l’altro, ma sente di perdere se stesso.
L’Io ha quindi bisogno di trovare e percepire anche se stesso. Ecco allora l’aggressione rivolta verso il sé, per sentire di esserci. Un bambino, cosiddetto autistico, batteva violentemente la testa contro il muro: sulla parete grigia una macchia di sangue; quel bambino cercava di ritrovare se stesso attraverso quella sofferenza. è più doloroso della sofferenza fisica sentire l’Io che sfugge; sentire noi separati da noi da un diaframma. Spesso, vi è chi mi dice: — ho l’impressione di vivere in un sogno: il mondo lo percepisco come attraverso un cristallo. Però, anche i miei gesti li sento ovattati ed estranei, io mi sento anche lontano da me —. Il cristallo, qualche volta, non divide soltanto l’Io dal mondo, ma anche l’Io da se stesso: è terribile non sentire e non sentirsi. Sembra una contraddizione, eppure è così; qualche volta è intensissima la sensazione di non sentire a sufficienza. Il sadismo e il masochismo sono, quindi, un’altra forma di difesa dalla relazione insoddisfacente. Poi, l’Io usa ancora il sadismo e il masochismo per altri scopi; ma l’origine, secondo me, è quella che ho detto. L’omosessualità è anche, spesso, messa in relazione con il sadomasochismo. L’omosessuale è un insoddisfatto, si dice, quindi scarica la sua insoddisfazione godendo delle sofferenze altrui. L’omosessuale è quello che sevizia i bambini dopo averli adescati, è sempre un bruto in potenza. Si dice ancora che sia oppresso dal senso di colpa per questa sua sessualità anomala; perciò non può vivere una sessualità felice. Cerca la sofferenza perché ha bisogno di essere punito per il piacere che prova. Desidera essere sottomesso e calpestato. Altre volte, non perdona all’altro del suo stesso sesso di stimolargli il desiderio e allora lo punisce per questo; scarica su di lui la sua libidine, ma vuole anche vederlo soffrire, mentre vi si identifica… I giochi sado-masochistici di cui ho, sopra, parlato, non sono soltanto invenzione del moralismo dei ben pensanti e degli psicologi; talvolta, l’omosessualità viene vissuta anche in questo modo. L’errore consiste, però, nel pensare che la sessualità eterosessuale sia essenzialmente sadomasochistica, come, per un altro verso è, secondo me, mistificante ritenere l’omosessualità essenzialmente narcisistica.
Sado-masochismo e narcisismo sono meccanismi difensivi dalla frustrazione; possono essere presenti in qualunque relazione. Possono essere usati strumentalmente per non vivere direttamente la pulsione omosessuale, ma anche per non vivere qualunque altro desiderio che spaventi.
L’educazione consiste sempre nel porre divieti ad alcuni desideri. I desideri, forse, sono infiniti. L’educazione però, costringe, anche, a desiderare alcuni desideri piuttosto che altri.
Io non credo che sia possibile non educare; come non credo sia possibile accettare e vivere tutti i desideri.
La vita è un progetto, quindi è anche una scelta (se sia una scelta metafisicamente libera non mi interessa appurarlo). È importante, perciò, orientarsi nella scelta dei nostri progetti desideranti. Io penso che sia pedagogicamente utile insegnare all’uomo a non avere paura di alcuni desideri. La paura è ineliminabile; ma è possibile spostarla.
Psicoanalisi e politica, unite, dovrebbero avere questo scopo.
Ci hanno insegnato ad avere paura del desiderio rivolto verso il nostro stesso sesso. Quando il mondo condanna un nostro desiderio, rendendoci difficile una relazione, noi attiviamo i primi meccanismi difensivi che abbiamo imparato. Qualche volta, poi, siamo così deboli da non essere in grado di ribellarci al nostro copione. Autore, regista, capocomico, vogliono che l’omosessuale sia così. Allora, l’omosessuale cerca di essere come lo vogliono e, così facendo, soddisfa due esigenze fondamentali: prima, il bisogno di trovare una collocazione nella rappresentazione generale — se debbo essere omosessuale, voglio esserlo, almeno, come tutti dicono che si debba esserlo —; seconda, l’esigenza di soddisfare il proprio piacere di voler essere omosessuale — io voglio essere omosessuale; se recito bene la parte dell’omosessuale, sono realmente omosessuale.
È importantissimo affermare che l’essere umano, pur avendo paura dell’omosessualità, e quindi, in buona parte rifiutandola, ne ha, ancor più, un fortissimo desiderio profondo. Si è messo, anche troppo, l’accento sulla paura e sul rifiuto dell’omosessualità; però io so che tutti vogliamo essere omosessuali; perché sappiamo, anche, che l’omosessualità è bella. È bella come è bella la vita, nonostante le contraddizioni e i disorientamenti.
Entusiasmante dell’omosessualità è il sentirsi capace di amare una persona che è simile a me, ma che è altro da me.
La nostra società ha tentato di convincere anche gli omosessuali che è indispensabile, sempre, amare l’altro sesso.
Spesso al maschio omosessuale fa paura, proprio come all’eterosessuale, l’idea di amare l’altro maschio; allora lo costringe a vestirsi da donna o si traveste egli stesso. La donna ha paura di amare l’altra donna, allora qualcuna si sforza di fare il maschio.
Il travestitismo è la più profonda difesa dall’omosessualità. I travestiti, con questo loro gesto, negano nel modo più profondo l’omosessualità. Ma, allora, l’omosessualità, se portata alle estreme conseguenze, sarebbe il narcisismo assoluto? Se l’omosessualità più rifiutata è l’amore per il simile, il più simile a me stesso non sono forse io stesso?
Io sostengo, invece, che il narcisismo, insieme con il travestimento è l’altra, più astuta, forma di difesa dall’omosessualità. Molto spesso, nel rapporto eterosessuale, il piacere passa attraverso l’altro, o l’altra, ma non vi si ferma; ritorna sul sé. Molti accoppiamenti eterosessuali sono l’esaltazione narcisistica dell’omosessualità. Poiché abbiamo introiettato che si è massimamente maschi quando ci si unisce con una femmina e si è massimamente femmine quando ci si unisce con un maschio, noi usiamo il momento del rapporto eterosessuale per sentirci massimamente maschi o massimamente femmine e godere sessualmente della nostra mascolinità o della nostra femminilità. In un delirio narcisistico io osservo me nei cosiddetti tipici atteggiamenti del mio sesso, mi compiaccio e ne godo. In quel momento godo solo di me, maschio fino in fondo, femmina fino in fondo, omosessuale, ma non omosessuale. L’altro che mi fa paura, e che desidero ancor più di me stesso, è l’altro del mio stesso sesso, perché è altro più di quello dell’altro sesso. È quello che mi è simile, ma che può farmi prendere coscienza del fatto che io non sono l’unico ad essere così. Mi può costringere a sentire che non sono il solo. L’altro è sempre il simile e il dissimile allo stesso tempo. La corrente sessuale che si dirige verso l’altro me lo fa percepire, però, come altro. Non aver paura di scoprire che il simile è altro da me, significa non aver paura del rapporto.
Tutti gli altri sono tutti gli altri. Allora il maschio sente la somiglianza-diversità dell’altro maschio e anche della femmina; la femmina sente a sua volta la somiglianza-diversità dell’altra femmina e anche del maschio. I ruoli sono tanti, ma, forse, la meta è una sola: strutturare il mio Io nella relazione piacevole con l’altro, sentendo l’altro come simile-dissimile da me. Narciso non ha più bisogno dello stagno.