La nostra è una realtà corporea e, per questo, sessuale. Noi siamo soprattutto il corpo che abbiamo saputo e voluto costruire nell’inter-azione tra il nostro desiderio di esistere e il mondo. Di questo corpo sono parte integrante gli organi genitali, che ancora non abbiamo imparato ad amare abbastanza e di cui non abbiamo imparato a sufficienza la determinante funzione politica.
La lettura del corpo è una lettura totale della persona: il cazzo e la fica sono specchio dell’anima ben più degli occhi; e gli occhi lo sono in quanto messaggeri del corpo e non dell’anima.
Il corpo è totalmente sessuale e sessuato. Le zone erogene sono una schematizzazione della pornografia borghese, che pretende di insegnarci a fare l’amore con i brandelli del nostro corpo che, al momento, sono i più vendibili.
Il coito è un rapporto tra due corpi che inter-agiscono totalmente.
Le nevrosi sono dovute troppo spesso ad una lettura particolare e distorta dei messaggi che il corpo manda, a dispetto del nostro «super Io».
Se è vero che le psicosi e le nevrosi hanno origine, in gran parte, in questo rifiuto del corpo, è evidente il limite di interventi «terapeutici» che pretendano di risolvere ogni problema con la parola e soltanto con la parola.
È ridicolo che uno psicoanalista parli del complesso di Edipo a un delirante o a un catatonico o a persone che, in vari modi e per varie ragioni, sono molto lontane dal linguaggio comune. E però possibile, anche per uno psicoanalista, cercare di ristabilire una comunicazione proprio attraverso un tentativo, operato insieme, di recupero del corpo. Sbloccare articolazioni irrigidite, far ritrovare il piacere di desiderare ed essere desiderati, non attraverso comandi; ma attraverso una fisicità vissuta in comune: ballando, mangiando, lavandosi, toccandosi, baciandosi; può essere il primo passo dopo il quale possiamo poi sperare che rinasca il desiderio della comunicazione più completa (anche verbale) che è anche presa di coscienza. È importante, però, che nessuno si imponga, e che a nessuno si imponga, un contatto non voluto; che non ci sia l’ombra di un sacrificio in nome di «un principio superiore». Bisogna che tutto si basi su di un desiderio ritrovato e reciproco: un contatto tra corpi che, insieme, abbiamo reso possibile e desiderabile. Per riuscire a cogliere il linguaggio del corpo, bisogna, prima di tutto, accettare il corpo; per accettare il corpo è indispensabile accettare il significato fondamentale del corpo stesso, e cioè: la pulsione sessuale è la radice della sessualità che è il piacere. Noi viviamo in una società che ci ha insegnato ad avere paura del piacere; il sacrificio è nobile, il piacere è pericoloso, «l’ozio è il padre di vizi», «prima il dovere e poi il piacere» (e questo è, forse, il più stupido di tutti i proverbi).
Ognuno di noi si sente nobilitato quando soffre e prova un poco di vergogna quando gode. Ci sono i piaceri permessi: il piacere dell’arte, il piacere di una passeggiata in campagna; e ci sono i piaceri guardati con diffidenza; ma tollerati: il piacere della buona tavola, il piacere di un bel vestito (e qui già si parla di «frivolezza»); ci sono poi piaceri equivoci: il piacere di fare un bagno, il piacere di odorare un profumo; e, infine, i piaceri quasi sempre condannabili che sono quelli della sessualità.
Diciamo quasi sempre, perché qualcosa viene, di fatto, permesso, in questo campo; purché sia ben chiaro che viene permesso a una coppia ben precisa, composta da un lui e da una lei, che si comportino, di fatto, come un lui maschio e una lei femmina, che, almeno, si amino (non si pretende neppure più che siano sposati) e che abbiano dei gusti personali in materia di sesso, ma non così personali da essere «eccentrici». Al di là di ogni barriera del lecito sono invece collocati i piaceri decisamente sconvenienti: il piacere di orinare, il piacere di sentire le feci che escono dal ventre che si svuota, si rilassa. Questi sono i piaceri che tutti proviamo con grande intensità, ma che nessuno accetta di riconoscere al di fuori di un «gabinetto» che diventa così un santuario dell’innominabile. Eppure fino a questo punto non abbiamo elencato nulla che possa costituire pericolo per il bene comune; non s’è parlato di piacere della tortura, piacere dell’omicidio, piacere dell’offesa.
Tutti noi abbiamo un’estrema diffidenza verso il piacere: un terapeuta sa quanto l’inconscio sia astuto nel vendicarsi del piacere. Politicamente, il poveraccio che se ne sta sdraiato sul divano, ha accettato e voluto molti piaceri, li ha vissuti fino in fondo; ed ecco che questo perfido «inconscio» e questo sadico «super Io» si accaniscono su di lui procurandogli sintomi terribili, torturandolo, facendolo torcere. Proprio come l’Inquisizione faceva contro quelli che si ribellavano all’uomo vestito di bianco che dettava la legge, in nome di Gesù, San Pietro e dello Spirito Santo.
Abbiamo introiettato che il piacere debba farci paura, perché il piacere, e questo la nostra cultura l’ha capito prima e meglio di Freud, è sempre sessualità in atto. Non c’è piacere che non abbia una sfumatura di sessualità, un colorito sessuale, un profumo di sesso: ecco perché ci fa paura. Tutti cerchiamo questo piacere e tutti ne abbiamo paura: abbiamo paura di vederlo in noi e negli altri, abbiamo paura di darlo a noi stessi e agli altri.
Bisogna invece accettare il piacere, andare alla ricerca delle radici di ogni piacere e di tutto il piacere, cercare di conoscere di dove sorge e sapere che sorge dalla sessualità. Bisogna lottare contro l’ombra castratrice degli antichi padri, che si proietta sul nostro piacere e lo trasforma in sofferenza ed ansia, che ci fa vivere il nostro sesso e la nostra sessualità come angoscia.
Non basta però un semplice gesto di volontà perché riusciamo a liberarci di meccanismi che sono rimasti dentro di noi per anni; ma il piacere ha un aspetto molto positivo: non si spegne mai, piacere e sessualità sono continuamente presenti: nel bambino, nell’adulto e nel vecchio.
La società borghese ha tentato di volere che i due estremi della vita: l’infanzia e la vecchiaia, fossero esenti dalla «scura macchia» del sesso; ma, al contrario, sessualità e piacere sono vivi, in tutta la loro ricchezza, in ogni momento della vita: dall’inizio alla fine.
Ci si può alleare alla voglia che il nostro corpo ha di sesso e di piacere per trovare un’energia che si opponga alla forza di questa Santa Inquisizione che ci portiamo dentro. L’irrigidimento, anche fisico, degli individui adulti non è solo o prevalentemente dovuto al processo di atrofia muscolare o alla minore elasticità ossea. Gli adulti sono rigidi proprio perché hanno rifiutato il corpo e lo hanno inserito in rituali stereotipi che permettono loro di vivere trovando sempre la giustificazione di ogni loro gesto.
Il corpo è ancora e di nuovo una realtà tutta da scoprire, misconosciuta e intatta. Dopo anni, io credo di aver imparato almeno un poco a leggere il corpo: prima ho imparato a leggere il mio e poi quello degli altri.
Il corpo, come la psiche, ha la sua storia, i suoi sintomi, le sue reazioni, il suo linguaggio; ma è importante leggerlo non solo da un punto di vista che pretenda di essere teorico, tecnico, scientifico: questo tipo di lettura potrebbe essere importante e interessante per uno psicoanalista che voglia percorrere nei due sensi il passaggio dal corpo alla psiche e dalla psiche al corpo per i suoi fini terapeutici; è molto più importante la lettura che ognuno di noi può fare del proprio e dell’altrui corpo, proprio perché ognuno di noi è un corpo. Due corpi che si toccano sono due individui che si parlano e purtroppo la sintassi di questo linguaggio è andata perduta e perciò la comunicazione è diventata così difficile e mistificata.
Non voglio quindi che si pensi al linguaggio corporeo come a un linguaggio in più da porre in mano ai «tecnici»; ma vorrei che il corpo riacquistasse per ognuno di noi tutta la capacità espressiva. Capacità che si può esprimere solo rompendo gli schemi del comportamento fisico che ci hanno finora ingabbiati perché anche il nostro corpo fosse funzionale alle strutture che sono state costruite sopra e contro di esso.
Tutto: dall’esigenza di produttività all’insediamento dei meccanismi di potere è stato operato contro le esigenze del corpo, che è un principio egualitario nella sua stessa essenza. Abbiamo ricoperto il corpo di abiti e di parole per imporre agli altri uno stato sociale, e questo stato sociale si è poi identificato con lo stato borghese.
Non voglio teorizzare, qui ed ora, il ritorno alla belva umana; voglio solo che sia chiaro che l’addizionarsi delle ragioni storiche ed economiche che ci hanno portato a questa negazione del corpo, costituiscono la ragione stessa che ha reso questa negazione necessaria.
Il sofista è più pericoloso del lottatore, perché lo può determinare e condizionare anche nell’uso della stessa forza fisica. Bisogna che l’uomo si convinca che la presa di coscienza è un problema che lo riguarda nella sua totalità e che la sua totalità è, di fatto, il suo corpo: anche il più sublime dei concetti si può esprimere solo in funzione di una realtà fisica corporea.
Ma abbiamo appena scoperto l’atroce inganno paroliero della borghesia che ecco moltiplicarsi i profeti e le profetesse che ci annunciano l’Era del Corpo Liberato. Si allestiscono calderoni zeppi di corporeità conditi con le salse più differenziate: orgoni reichiani, peristalsi tantriche, reintegrazioni primarie. Gli stronzi di tutta la terra si riappropriano della loro fecalità e si proclamano istericamente o catatonicamente liberi. La Dittatura della parola ha ceduto il posto al Regno del corpo: ci tocchiamo freneticamente gli alluci mugulando sensazioni per cui non esistono più parole. Eccoci un’altra volta divisi in due: da una parte il Corpo e dall’altra, infinitamente più sotto, la parola. Questa situazione la chiamiamo l’integrità psico-fisica. Un inganno è stato perpetrato ancora una volta e il verbo borghese si riappropria della sua capacità di smercio e di controllo del mercato. Potrebbe anche non fregarcene niente di immischiarci in un gioco in cui l’imbroglio rappresenta per tutti i giocatori la loro ragion d’essere e, talvolta, la felicità, se non avessimo visto con quanta violenza lo stesso gioco è stato imposto a chi non aveva deciso di giocarlo.
Ci riferiamo alla brutalità con cui nei lager aperti degli ex ospedali psichiatrici tersicoterapeuti cretini, musicoterapeuti reazionari od ergoterapeuti nazisti hanno deciso che bisogna far sgambettare il matto, che bisogna costringerlo a costruire borse di cuoio e tovaglie all’uncinetto per garantirgli la possibilità di reinserirsi (finalmente!) nella civiltà produttiva. Le case-famiglia, dentro e fuori, e i «day-hospital» pullulano di artigiani-padroni e artisti-aguzzini che impongono i ritmi produttivi alla catena di montaggio della fisicità-felicità.
Questi millantatori del reinserimento provengono quasi tutti dai calderoni della corporeità cui accennavamo prima. Per fortuna che i ricoverati ed ex-ricoverati liberi o semi-liberi, ormai senza illusioni, hanno guardato e guardano con ironia i nuovi padroni.
Il crimine è possibile perché nell’ebrezza della fisicità, nessuno si preoccupa di cercare parole che svelino che solo il padrone è padrone del corpo (dell’altro).
Così come il primato della parola ha rappresentato, per secoli, la fuga dal corpo per stabilire il dominio sulle persone, oggi il potere ci impone di abbandonare le parole in favore di una fisicità tutta fascista. Allora come ora, l’ingiunzione è di non pensare, di evitare la presa di coscienza.
Noi crediamo che la presa di coscienza sia il passo indispensabile verso la presa di coscienza delle classi; noi crediamo che le parole possano servire a costringerci a mettere in discussione noi stessi e gli altri. Liberare i nostri corpi, come pretendono di insegnarci i rotocalchi, è non solo inutile; ma è dannoso, perché ci mutila un’altra volta.
Noi riteniamo fondamentale riappropriarci del corpo; ma non vogliamo dimenticare che di questo corpo la parola e il pensiero sono parti integranti. Una frase può costringerci a prendere coscienza anche della nostra fisicità. Le parole possono spesso essere scomode. Non serve dire che le parole sono ambigue: è vero; ma a volte ci inchiodano con la loro evidenza.
I training autogeni, le ipnosi, le terapie corporee, possono, qualche volta far sparire l’ansia e renderci un po’ più allegri, scaricare ingorghi libidici, e noi siamo pienamente d’accordo. Riteniamo che sia importante calarsi nel proprio e altrui corpo; ma è importante anche capire perché siamo stati così brutalmente separati dal corpo.
Non serve, né psichicamente, né politicamente, vivere una regressione fino ai nostri primi istanti di vita, se, parallelamente, e contemporaneamente, non ci rendiamo conto, attraverso la parola, del significato individuale e politico dei meccanismi e dei condizionamenti che hanno contribuito a formarci.
La natura è un’invenzione della borghesia: esistono le cose e gli uomini. Gli uomini debbono sforzarsi di capire perché hanno chiamato stelle le stelle; ma anche perché hanno chiamato uno maschio e l’altro femmina, uno padrone e l’altro schiavo; anche perché io ho avuto quel trauma e quei giocattoli.
Se l’uomo è uno, sia veramente unitario: con le ovaie e con i testicoli, con le orecchie e con la parola.
La parola può metterci a disagio, però non dobbiamo fuggirla; come non dobbiamo fuggire dal corpo.
Se abbiamo paura del corpo chiediamocene il perché, se lo usiamo chiediamoci come.
La psicoanalisi è fatta anche di parole; ma non solo di parole. Può essere una via da percorrere, una possibilità di progredire.
Verso dove vogliamo progredire sta a noi dirlo: con le parole e con i fatti.