32 – Ottobre ‘98

ottobre , 1998

La sera del 31 ottobre Parigi è una città percorsa da bande frenetiche di vampiri ed altri mostri che, alla luce delle candele ammiccanti dalle zucche gialle, festeggiano la ritrovata festa celtica di Halloween che la moda americaneggiante ha riportato in auge anche nel continente di origine. È comprensibile che in tanta bagarre non sia facile trovare un posto in cui cenare tranquillamente, perciò anche a noi è toccata una lunga attesa di un tavolo che pur era stato riservato, in un pigia pigia festoso, ma un poco scomodo al bar del BARACANE, un ristorantino tranquillo, appena defilato da piace de la Bastille, al numero 38 di rue des Tournelles. Il fastidio è però stato ricompensato dalla gentilezza del servizio e dalla qualità della cucina, che pur lavorava in condizioni di eccezionale pressione.
Il buon Kir alla pesca, fresco e giustamente frizzante, ci ha alleviato la fatica dell’attesa e con le entrée è sopraggiunta anche la serenità, ben motivata da una eccellente salade de gésier et coeur de canard: una gustosa composizione di cuore d’anatra e frattaglie su di un fresco letto di indivia; non meno gradevole la terrine maison et foie gras, arricchita dalla dolce e fondente composta di cipolle. I piatti di forza sono stati una rumsteak à la bordolaise, spessa e succosa, accompagnata da fragranti patate arrosto all’aglio e un eccellente cassoulet, ricco e caldissimo, in cui ciascuno degli ingredienti: salsiccie, anatra, cotica e fagioli si amalgamava in un impasto di impeccabile morbidezza ricco di sapori. Un vero peccato che il pane servito fosse pessimo: asciutto e molle allo stesso tempo. Per tutto il pasto ci ha tenuto compagnia un ottimo Médoc del 1993 dalla stoffa serica, con buon corpo e goudron, profumato di erbe e con un lieve sentore di formaggio che lo rendeva singolare. La torta basca e il fondant al cioccolato hanno chiuso correttamente un’esperienza tanto più confortante in quanto anche contenuta nel prezzo. Dopo il dolce, un buon bicchiere di Armagnac della casa ci ha ridato la dose di energia necessaria ad affrontare il carnevale un poco funesto dilagante per le strade.

Al numero 16 di rue des Archives, in pieno quartiere del Marais, si trova un ristorantino cinese: CHEZ TSOU, non pretenzioso, sempre iper-affollato e fumoso, caratterizzato però da un servizio sorridente e garbato. I cibi sono buoni, appena pronti e non stantii. Se è vero che la cucina cinese spicca per l’eccellenza delle fritture, in questo localino l’arte di friggere tocca il vertice. A cominciare dall’assortimento di antipasti caldi che sono un capolavoro di fragranza, composto di chele di granchio, involtini primavera, pesce e pasta fritta. Le preparazioni sono tutte quelle della cucina tradizionale cinese nei suoi settori: pesce, pollame, maiale e manzo, oltre che la serie delle preparazioni a vapore. Noi consigliamo soprattutto l’anatra laccata, servita semplicemente senza il rituale delle crèpes ed erba cipollina, ma che qui consiste in una grande porzione di carne ben tagliata, succosa e profumata che si sposa benissimo coll’ottimo riso alla cantonese o in bianco. L’ aperitivo, come in quasi tutti i ristoranti cinesi, è una sorta di bicchiere d’acqua profumata e i vini, pur francesi, sono sempliciotti, ma noi ricordiamo di esserci imbattuti in una bottiglia di Nuit de Chine, coproduzione franco-cinese, particolarmente adatta all’abbinamento coi piatti orientali. In questi ultimi tempi è subentrato un vino che si dice sia prodotto in Cina, dall’altrettanto turistico nome Great Wall, che però non ci piace, perché è acidulo sia nella versione in bianco sia in rosso; meglio allora la birra cinese, fresca e allegra benché molto leggera. I dessert sono quelli tradizionali ed il prezzo è molto contenuto.

Peter van Laer è il capostipite dei Bamboccianti, pittori di genere, per lo più olandesi, che operarono a Roma nel XVII secolo, e che ci hanno lasciato deliziosi piccoli capolavori, disseminati nei musei del mondo. David van Laer è invece un cuoco dei nostri giorni, di origini fiamminghe, che in omaggio all’antico omonimo ha chiamato LE BAMBOCHE, il suo ristorante parigino di rue de Babylone, un ambiente piccolo e accogliente dai colori fiammanti. Benché non si tratti di quadri, anche i suoi piatti sono deliziosi piccoli capolavori. Di quello che abbiamo gustato della sua cucina ricordiamo soprattutto una inimitabile anatra selvatica con fichi arrostiti e contorno di funghi di bosco, superbo piatto in cui il gusto sapido dell’anatra, soda e cotta a puntino, ben viene esaltato dal contrasto con il dolce del frutto e dal profumo dei funghi che sempre lo chef (che ha per essi una vera propensione) cuoce in modo magistrale. Un gioiellino è anche il gateau de foie blond au porto et champignons, una aerea, ma saporitissima spuma di fegato, resa sontuosa dalla ricchezza della salsa al Porto; una monumentale ghiottoneria è il civet de gibier: un piatto di selvaggina frollata alla perfezione e contornata di salsa di cipolle e funghi, che si fonde in bocca. Vale la pena per i più coraggiosi di affrontare la selezione di formaggi gustosissimi, proposta a fine pasto, mentre per gli altri basterà il fondant ai tre cioccolati per raggiungere il paradiso. La cantina è di ottimo livello, anche con buone bottiglie a prezzi ragionevoli. Finalmente ci siamo trovati di fronte uno chef che non stordisce il palato con mille tipi di pane tutti dal diverso sapore, ma propone il suo pane ben cotto in due versioni dall’inizio alla fine del pasto. L’arte si sa non ha prezzo, ma qui il prezzo è equo. Dal mese di novembre il cuoco sposterà baracca e burattini al 9 bis di Boulevard de Montparnasse dove prenderà il nuovo nome di LE MAXENCE.