Psicoanalisi contro n. 20 – Il filosofo depresso

giugno , 1997

In alcuni casi i sintomi che esprimono contenuti rimossi dell’inconscio vengono smascherati e cessano così la loro funzione: per esempio, quando il mio paziente prende coscienza che la sua fobia per i pennuti nasconde una pulsione omosessuale rimossa, viene meno la funzione della fobia di proteggerlo dalla presa di coscienza della omosessualità. Eppure ciò nonostante, in questo caso, il sintomo permane anche dopo la acquisita consapevolezza. La funzione dei sintomi non si limita però a questo compito di mascheramento simbolico di contenuti rimossi, ma sta a volte addirittura a rappresentare una forma di equilibrio raggiunto a prezzo di una sofferenza che però risparmia lacerazioni che sarebbero altrimenti ben più intollerabili.

1.Un giorno una giovane donna viene al mio studio per chiedere aiuto contro crisi di angoscia frequenti, con tachicardia, sudori freddi ed episodi deliranti che le procurano grande sofferenza, scoppiati poco tempo dopo che era diventata mamma felice di un bel bambino. Ha paura che la casa possa crollare da un momento all’altro per un terremoto o un attentato e si rannicchia in un angolo della stanza col bambino in braccio. La cosa che la sconvolge maggiormente è però il fatto che le viene compulsivamente alla mente il pensiero di gettare suo figlio dalla finestra. La sua condizione economica era buona ed il suo lavoro le garantiva una soddisfacente posizione sociale, ma ha dovuto rinunciare alla professione perché non è più in grado di controllare gli attacchi improvvisi che la colgono ovunque. È disperata ed ha la sensazione di essere caduta in una trappola assurda da cui non sa come uscire. Il lavoro di analisi si rivela tutto sommato semplice: in breve la donna si rende conto del profondo sentimento di odio provato nei confronti del bambino durante i nove mesi della gestazione. Ripercorrendo a ritroso il cammino della sua vita, giungiamo ad analizzare il rapporto suo con la madre e viene alla luce una storia di odio e di rifiuto di cui era stata oggetto e per cui aveva molto sofferto. Il lavoro permette poco a poco di dipanare i nodi di una matassa intricata; e poco per volta i sintomi scompaiono, almeno abbastanza da permetterle di riprendere l’attività professionale, e da farle condurre una vita sufficientemente normale.

Il marito appare particolarmente soddisfatto del lavoro terapeutico che giudica felicemente concluso. La donna però non vuole lasciare l’analisi e si lamenta del persistere di uno stato di depressione ansiosa che sporadicamente – nelle ore del crepuscolo, ad esempio – assume coloriti preoccupanti: prova sentimenti di morte e sente salire una sensazione di assurdità che colora tutta la realtà.

Ora la sofferenza è continua e totale, se pure senza crisi clamorose: si sente disperata.
Il lavoro dell’analisi ritorna a concentrarsi sulla prima infanzia, addirittura al periodo perinatale e ai racconti del sentimento di rifiuto che aveva caratterizzato la gestazione della madre e di cui era in seguito venuta a conoscenza. Una notte sogna di essere partorita da un corpo immenso, roseo e viscido e da allora lavoriamo a lungo su quel sogno, fino a che qualcosa si smuove e il blocco depressivo incomincia a sgretolarsi.

2. Talvolta la sofferenza è accompagnata da sintomi bizzarri e persistenti di cui si arriva a fatica a comprendere il senso anche con l’aiuto della psicoanalisi e che inoltre sembrami inattaccabili persino dalla presa di coscienza. La loro inquietante presenza continua a testimoniare un passato che è di fatto superato e di cui non c’è ragione che restino tracce. Perché? Nel caso della donna di cui sopra il meccanismo sembra essere quello della colpa e della punizione che non si possono eliminare: la colpa di un odio per la madre, inutilmente negato, e il timore terrorizzante di essere punita con la perdita del figlio.
Il primo passo fatto, molto cautamente, è quello di insinuare l’ipotesi dell’ambivalenza dei sentimenti verso le persone affettivamente più significative: il marito e il figlio; per farla poi passare all’accettazione dell’idea di un rapporto ambivalente con il proprio padre, ancora vivo, un po’ sperduto in una nebbia senile, che la donna ricorda di aver giudicato in passato freddo, arido ed egoista.

Attraverso il riesame del legame col padre, degli errori da lui commessi, vengono a galla i ricordi degli antichi rancori ed ora che sono oggettivati ed esaminati da un estraneo la turbano, ma allo stesso tempo l’abituano all’idea che si possa odiare qualcuno che si dovrebbe invece amare. Il padre in questo momento fa anche tenerezza e all’odio di ieri si mischia l’affettuosa pietà di oggi: diventa chiaro che sentimenti diversi e contrastanti possono essere provati per la stessa persona. Come è per il padre, perché non anche per la madre? Su questa strada si frappongono però resistenze inaudite, addirittura ritornano i sintomi più gravi. Il marito a questo punto è spaventato ed irritato, perché contro la sua volontà si è proseguito un lavoro da lui considerato inutile e rischioso e minaccia ritorsioni. Il lavoro prosegue, sia pur fra molti dubbi miei e sofferenza della donna ed infine arriviamo alla soluzione del nucleo più critico con sollievo di entrambi.

3. Fobie, rituali ossessivi, ipocondria, gelosie, fantasie distruttive e suicide sono sintomi che ci caratterizzano un po’ tutti, ma che nel caso delle patologie più gravi diventano spesso forze invalidanti: un’agorafobia acuta o una crisi di panico impediscono il regolare esercizio delle più normali incombenze quotidiane. Se il comune senso di inquietudine che coglie ciascuno di noi su di un ascensore bloccato, tra una folla troppo numerosa, davanti al bisogno di ricordare con certezza se si è chiusa la bocchetta del gas, diventa prima angosciosa dipendenza e poi delirio e depressione, allora la vita si fa impossibile. La depressione, nelle sue infinite sfaccettature, è difficilmente aggredibile, anche dalla terapia, soprattutto quando non si limita alla reazione ad un episodio triste o difficile, come un lutto o uno scacco, ma diventa una depressione “filosofica”. Il depresso di questo tipo soffre, ma se ne compiace, perché il suo dolore è la prova dell’indegnità del mondo; la sofferenza degli altri lo appaga e la difficoltà di vivere – che è un dato di fatto reale – lo conferma nelle sue scelte patologiche. L’assurdo che circonda la vita di ciascuno, con l’impossibilità di dare senso ad eventi come la nascita e la morte, col trionfo della stupidità e della cattiveria, dell’ingiustizia e della violenza, trasforniano la fatica di vivere nel trionfo della depressione mortale. Tocca al terapeuta smantellare la costruzione di fantasie ignote, di desideri inconfessabili, sofferenze rimosse che sono all’origine del malessere del “filosofo” depresso.

In questi casi, la comparsa dei sintomi rappresenta spesso il primo segnale di effetto della cura: la loro concretezza si sostituisce all’indeterminatezza del pensiero negativo, si passa dall’astratto al concreto.