Psicoanalisi contro n. 3 – L’ARABA FENICE

dicembre , 1993

L’essere umano fa e pensa, pensa e fa. Quanto sia consapevole di quello che fa non è molto chiaro. La consapevolezza
è sempre intrisa di inconsapevolezza. Accorgersi di qualcosa è sempre anche un non accorgersi di qualcos’altro. Il chiedersi che cosa stia facendo può essere per l’uomo una domanda oziosa, anche se, talvolta, piena di stupore. S i è cercato di distinguere il fare dal pensare come se questo fosse possibile. Perciò un filosofo barocco ha detto «penso; dunque esisto». Frase riccioluta come un capitello corinzio, profondissima ed inutile come tutti i pensieri profondi. L’acqua nel pozzo profondo è fresca, più il pozzo è profondo e più l’acqua è fresca, invece i pensieri più sono profondi e più sono frivoli. E io penso che ciò che ho detto sia molto profondo.

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L’uomo fa, l’uomo pensa sul suo pensiero, però l’uomo soprattutto inventa e costruisce se stesso, facendo, pensando e ripensando. Il mondo si specchia e si concretizza nell’interno della persona umana, la quale non è nel mondo. È il mondo. Il mondo è dentro e oltre, noi siamo vivi nel mondo e il mondo vive
in noi. Separare l’uomo dal mondo è impossibile, almeno per l’uomo. La psicoanalisi, allora, di che cosa parla, del-
la psiche umana? Ma la psiche non ha senso al di fuori della persona nella sua interezza e l’essere umano non ha senso isolato dal mondo. Allora la psicoanalisi parla del mondo? Ma se parla del mondo non è psicoanalisi: è cosmologia. Ma la cosmologia che cos’è al di fuori dell’uomo che pensa il cosmo? E l’uomo che cos’è al di fuori di un uomo che pensa all’uomo? La psicoanalisi se esiste deve parlare di tutto. Pur non essendo il tutto e neppure una scienza universale. La psicoanalisi parla dell’uomo e dell’uomo che pensa al mondo. Coglie l’uomo attraverso il mondo e il mondo attraverso l’uomo. È però l’unica scienza che gioca con il mistero disinvoltamente. Le altre scienze affondano nell’ignoto, la psicoanalisi nell’inconscio. L’inconscio non è soltanto ciò che nell’uomo non è consapevole, l’inconscio è una rappresentazione, rappresenta il mistero ed il mistero del mistero. La scienza ha paura della psicoanalisi perché al momento le propone un modello non imitabile. Sebbene basterebbe poco per imitarlo. Basterebbe non voler essere onnipotenti, ma per non voler essere onnipotenti bisogna essere uomini. E Diogene cerca ancora.

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La psicoanalisi è, da sempre, affascinata dall’arte. Gli studiosi della psiche anche prima della psicoanalisi hanno cercato di spiegare questa bizzarra espressione umana. Inoltre, da quando è possibile reperire tracce scritte del pensiero degli antichi ci si avvede che il problema del significato dell’arte e di che cosa essa sia occupa da sempre una parte importante delle riflessioni umane. I filosofi, gli storici, i sapienti in genere, hanno cercato di collocare l’arte entro un sistema di riferimenti. Non tutti, però, hanno cercato di definirla, molti si sono limitati a collocarla ed a cercare d’individuarne l’origine. Anzitutto i pensatori si sono chiesti se l’arte coincida o no con il bello. Coloro che hanno dato una risposta affermativa si sono quindi avventurati a defmire la bellezza. Coloro i quali hanno distinto i due concetti o hanno cercato di spiegare la genesi dell’arte o il suo dover essere oppure ancora le sue caratteristiche intrinseche. E hanno detto molte cose: che l’arte sorge da una realtà socioeconomica, che l’arte è, e basta, ma deve migliorare gli uomini, che l’arte è rappresentazione del vero, manifestazione del trascendente, descrizione verosimile della realtà e poi ancora altro.
Dire come una cosa nasca presuppone che si conoscano le caratteristiche di quella cosa. Bisogna accettarne quindi una definizione, ma allora ci si riferisce acriticamente ad una delle definizioni che altri hanno dato. Coloro però che hanno cercato di definire l’arte in se stessa, si sono scontrati con due ordini di problemi. Il primo che nessun concetto di cui l’uomo si serve è del tutto isolabile: una definizione ne richiama un’altra, un’altra ancora, e quest’altra rimanda alla prima. La giostra quando gira, va avanti o sta ferma? Questo problema, però non riguarda soltanto la definizione dell’arte, riguarda tutto ciò che è dell’uomo: anche la giostra. 11 secondo ordine di problemi invece affonda direttamente nel concetto di arte. L’arte descrive il mondo, un mondo verosimile; ma allora è filosofia. Oppure è scienza. L’arte è espressione, ma espressione di che? Del mondo e delle sue emozioni. Ma esprimere il mondo e le sue emozioni vuol dire anche descrivere. Per descrivere bisogna definire, quindi, l’arte è ricompresa nel concetto di
filosofia o di scienza. Potrebbe essere espressione allo stato puro; ma l’espressione allo stato puro non vuol dire niente. Le emozioni sono frutto di una esperienza e di una situazione che è compresa in un sistema di significati che si esprimono attraverso le emozioni. Anche qui si ripresenta la giostra. Per di più, giunti a questo punto, il secondo ordine di problemi, stranamente, diviene sempre più simile al primo. L’arte, quindi, non si sa bene cosa sia, è come la fede degli amanti e l’araba fenice: che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa.
L’arte esiste e basta. Alcuni prodotti dell’ingegno umano vengono chiamati arte, altri no. Senza dubbio a muovere il tutto c’è, anche, una ragione economica, ma il denaro non defmisce: compera e dà un valore.
Un biondo esanime artista potrebbe turbarsi nel sentire che l’arte acquista valore attraverso il suo prezzo in denaro; eppure è anche così. Questo «anche» indica che non è soltanto così. Il prezzo non sorge dal nulla. È l’espressione di qualcosa che è prima del prezzo e del denaro. O meglio fonda l’esigenza del prezzo e del denaro Proprio per questo il valore dell’arte è indefinibile: se tutto ha un prezzo ed il prezzo indica il valore di ogni cosa, ogni cosa però ha valore anche indipendentemente dal prezzo, o meglio, nonostante il prezzo. Il desiderio è a fondamento di tutto, anche del prezzo. Ma il desiderio di chi: di tutti o di qualcuno? Di tutti e di qualcuno allo stesso tempo. I potenti condizionano le masse, le masse condizionano i potenti. I bisogni di tutti, potenti e non, si intrecciano come i serpenti intorno a Laocoonte e ai suoi figli, che non si capisce mai se godono o soffrono in quell’amplesso eroticamente incestuoso.

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L’arte a che cosa serve? Alcuni hanno dettoche non deve servire a niente perché altrimenti non sarebbe arte. L’arte dovrebbe essere un gesto bello ed essenziale. Bellezza ed essenzialità che non si richiamano ad altro: ma allora la bellezza si smarrisce e l’essenza diviene inessenziale. Altri dicono che deve essere didattica, pedagogica e psicagogica, ma lo è in quanto arte o in quanto qualcos’altro? Educa e guida gli uomini in quanto non è arte, in quanto è filosofia o politica. Tant’è vero che brutte opere hanno influenzato le masse, indirizzandole forse verso il bene. L’arte sarebbe arte per qualcos’altro.
Si potrebbe ancora dire che l’arte è arte in quanto diverte e educa allo stesso tempo. Non bisogna scindere i due aspetti, proprio se si lasciano uniti l’arte vive: altrimenti si dissolve; ma anche una ricetta di cucina eseguita alla perfezione e un buon bicchiere di vino, non distrutto da un invecchiamento dissennato, divertono ed educano. Divertono perché hanno il potere di far passare istanti meravigliosi, educano perché contribuiscono ad affinare il gusto e il buon gusto.
Allora, la vera arte deve far soffrire? Attraverso la drammaticità e la sofferenza, le passioni si purificano e l’uomo scopre la propria grandezza. Se così fosse, l’Edipo re ed Il Lamento di Arianna sarebbero troppo simili a un piatto di spaghetti scotto e insipido o ad un bicchiere di vino che sa di tappo. Perché, sia il dolore di Edipo, sia gli spaghetti mal cucinati, fanno entrambi soffrire, eccome!

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Forse si potrebbe affrontare il problema aggredendolo da un altro punto di vista: cercando di dire che cosa l’arte non è. Ma questo ingenuo sotterfugio, vecchio di secoli, non regge. Tutto ciò che non è arte, nel momento stesso in cui viene definito, se ne appropria in parte e, piano piano, occupa tutto lo spazio che le era stato riservato. L’arte si dissolve in tutto ciò che arte non viene chiamato. Non le rimane neppure la peculiarità del dominio sulla bellezza: la bellezza è propria di Apollo; l’arte, anche quella antica, sfugge continuamente al controllo del bellissimo dio. L’arte allora coincide con la parola arte. A questo punto, Lacan e Jung si troverebbero d’accordo: il primo perché vedrebbe nella parola arte il fondamento, il secondo perché vedrebbe nella stessa parola l’espressione di un concetto trascendente ed immutabile. Giunti però alla parola la storia distrugge questo effimero punto fermo. Le parole non camminano immutate ed immutabili; nei secoli acquistano significati diversi, talvolta così diversi che divengono persino inconciliabili. Lungo la storia, il significato della parola cambia persino più in fretta del modo di pronunciarla. Ancora l’apparato vocale mette gli stessi suoni di un tempo, ma già il significato è un altro. La storia stessa si smarrisce entro la propria parola: la storia della parola «storia» trascende la storia, dietro c’è qualcosa, ma non è la parola storia.
Le parole sono più caduche delle rose, che, continuano a sbocciare oltre la parola «rosa», presenza costante all’inizio delle grammatiche latine, al capitolo prima declinazione. La storia della rosa è incominciata con la rosa, con il suo profumo, i suoi colori, le sue spine in una primavera di molti anni fa. Le parole sono piccoli punti inessenziali per definire un’essenza che in qualche modo deve esistere; altrimenti non esisterebbero neppure i sogni. Non esisterebbe proprio nulla; un nulla senza nome, immobile in una immobilità impronunciabile. Anche il nulla è; altrimenti non sarebbe nulla: un altro antichissimo gioco di parole, gioco che è meglio interrompere qui.

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Non si può dire né che cosa l’arte sia, né che cosa non sia. L’arte non coincide neppure con la parola arte. L’arte, e so di dire una banalità, è ciò che l’essere umano vuole che l’arte sia. Io penso però che oltre non si possa, e forse non si debba andare. Se l’arte è ciò che l’uomo vuole che essa sia, l’arte è figlia della lotta. Il volere si radica sui desideri e non su di un unico desiderio. I desideri possono essere in contrasto fra loro e perciò guidano la lotta tra il volere e il non volere. Ritorna l’immagine di Apollo: bello, le membra splendenti ed armoniche; ma questa sua armonia nasconde la guerra e la disarmonia. Soffermiamoci un istante sulla storia della musica, che racconta la storia della lotta tra le armonie. Gli antichi e i moderni teorici costruiscono e analizzano armonie diverse, profondamente disarmoniche tra loro. Che cosa è una quinta giusta? Consonanza e dissonanza si rincorrono e si sovrappongono. La disarmonia delle varie armonie si fonda su un unico concetto di armonia. In realtà esiste la lotta per raggiungere l’irraggiungibile: presente e nascosto.

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La storia si smarrisce anche dietro il proprio nome. Ma ogni essere umano è una storia, ed è una storia proprio perché la racconta: la racconta perché la rappresenta. L’essere umano racconta a se stesso e agli altri la propria storia. L’uomo non c’è se non come punto in cui si intreccia con l’essere di altri esseri. L’arte non è isolabile dalle altre attività umane, ma neanche l’uomo è isola- bile dagli altri uomini e il mondo dagli uomini L’uomo racconta quindi una storia che è sempre anche la storia di altri e di altro. La racconta con i gesti, le parole, i colori, i suoni… ogni storia racconta una storia interna a quei gesti, parole, colori, suoni, ma anche esterna. Anche la musica che, apparentemente, è l’arte astratta per eccellenza non riesce ad esserlo completamente, proprio perché nulla di ciò che inerisce all’uomo può essere del tutto astratto. Non sto qui parlando del divertimento rococò di imitare il vento con gli archi e gli usignoli con i flauti: la musica non racconta in quel senso; la musica concatena, strutturandole, serie di suoni che si sovrappongono, la cui logica interna diventa una storia, che non è mai la storia di quei suoni e neppure semplice ricordo di emozioni passate: è il racconto di tante cose. L’arte astratta è un’invenzione del nostro secolo, nulla però può essere astratto per l’essere umano; ce lo dimostrano i sogni che sono sempre storie, se pure misteriose, figurativamente realistiche anche nella loro bizzarria. Nei sogni, per fortuna, le elucubrazioni dei teorici dell’arte hanno poca efficacia. Tutto ciò che viene a contatto con l’esperienza umana è frutto di questa esperienza e cerca un significato. Nessuno può guardare una serie di macchie senza che, almeno inconsciamente, quelle macchie siano, contemporaneamente, il racconto di una cascata cromatica che diviene una cascata d’acqua, che diviene il volto di un amore perduto.

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L’arte astratta è impossibile perché tutta l’arte è astratta; cioè, racconta anche sempre di altro. Guai però a quell’artista che si rifiuta di cercare un linguaggio comune e preesistente. L’esibizione di chi usa colori, suoni, corpo e parole è cadaverica e mortale se è pura e semplice esibizione.
Non è solo mimesi della morte: è morte; cioè defmitiva impossibilità di comunicare. Però è anche colpa perché nasconde la voglia di non comunicare. In questa voglia, se pure malata, si annida, per fortuna, la vita. Un brandello di storia viene sempre, nonostante tutto, raccontato, anche nelle composizioni artistiche più astratte, atonali, informali, spontanee, casuali.
Io desidero che gli altri mi raccontino loro stessi per entrare nella loro storia, che è, in genere, una storia sempre diversa che lascia però sempre intravedere, chissà dove, dietro la nebbia, la figura di Eros.
Io non so che cosa sia l’arte, ma so ciò che chiedo all’arte: chiedo che mi racconti e che, raccontando, mi educhi. Anche la psicoanalisi è fatta di racconti; dapprima rigidi e razionali, poi man mano più profondi, contraddittori ed inquietanti.
Questi racconti diventano anche mimesi, cioè recitazione di un passato più o meno lontano.
Io in questi racconti ritrovo me stesso e guarisco. Da che? Dalla costrizione a vivere soltanto racconti infelici. Questa è la vera educazione. Non si educa imponendo dall’alto, con prediche, ma chiarendo ed insegnando a recitare insieme.
Ma, allora: arte e psicoanalisi coincidono? Io credo di no; anche se mi è rimasta una leggera confusione.