68 – Dicembre ‘90

dicembre , 1990

Che l’Italia, di fatto, non sia mai stata unita, non c’è di certo bisogno che venga a dircelo Giorgio Bocca con il suo libro La disunità d’Italia (Garzanti 1990, pagg. 112, lit. 15.000). È questo un refrain che, qualunquisticamente, ripetono tutti, dal tempo della pseudo unificazione fino ad oggi, siano uomini politici siano i ragazzetti delle scuole medie.
Nei confronti del libercolo in questione, noi abbiamo avuto due sentimenti opposti: il primo è stato di fastidio, perché vedersi riproporre con troppa sicumera la scoperta dell’acqua calda è sempre un po’ irritante e lo è ancora di più quando vi si allega a supporto una documentazione raffazzonata e poco seria; il secondo sentimento che abbiamo invece provato è stato di ammirazione per il coraggio dimostrato nel denunciare corruzione e corrotti esplicitamente, con tanto di nome e cognome; sebbene anche qui tiri un po’ un’aria da pettegolezzo da condominio, in cui si parla male del notaio del terzo piano.
Bocca incomincia parlando delle «leghe», fenomeno esploso improvvisamente nel nord Italia dopo anni di tentativi localistici più o meno riusciti: folc1orismo, razzismo e stanchezza nei confronti del governo centrale hanno indotto moltissimi italiani a stringersi intorno ad alcuni leader più o meno ambigui e demagogici per dire basta ad una situazione di fatto abbastanza insostenibile. La tesi principale è che si è stanchi in quelle regioni del nord, attive e vitali, di servire da serbatoio finanziario di un sud passivo e corrotto, detentore però del potere centrale. L’autore sembra abbastanza favorevole ai principi di tali fermenti; purtroppo però non ci spiega perché proprio nel momento in cui 1′Italia del nord è ormai irrimediabilmente contagiata dal malcostume «sudista» si risvegli un così forte sentimento autonomista; forse per salvare quel poco che resta da salvare? Certo che l’esaltazione del nord come luogo dell’efficienza e della «trasparenza» è un po’ un delirio. Noi siamo settentrionali (come Craxi e Carraro) e viviamo in stretto contatto, anche di lavoro, con quell’area, eppure possiamo dire che camorra e mafia ormai sono presenti là come altrove. La frase che definisce i nostri compatrioti come «faus e courteis» è quanto mai azzeccata; e non bisogna scambiare la falsità per onestà. Indubbiamente in Piemonte, Lombardia, Veneto e Liguria c’è meno tracotanza, meno pancioni dilatati su cui scoppiano giacche gessate, che sembrano pagate dalla pro-loco; però la sostanza cambia poco.
Bocca poi si addentra in un tentativo sommario di analisi spietata e coraggiosa che perde purtroppo, per il suo pressapochismo, parte dell’efficacia. È messo in evidenza con acume letterario, e quindi forse un po’ inventato, il lavorio più oscuro e depresso della mafia siciliana al confronto con l’esibizionismo da Pu1cinella della camorra campana, su cui però aleggia sempre la tragica ala della morte. Si parla anche, senza chiarirli molto, sia del bisogno truculento, sadomasochista del brigantaggio calabrese, sia dell’esigenza che la malavita ha di proteggere per un verso e per l’altro tenere in miseria i diseredati per avere risorse di manodopera da usare nei suoi loschi traffici.
Personaggi e personaggini vanno e vengono, disegnati spesso con efficacia pirandelliana o verghiana, anche se talvolta più burocratica che tragica.

Quando ci è capitato in mano il libro di Roberto D’Agostino e Federico Zeri Sbucciando piselli (Mondadori, 1990, pagg. 439, lit. 30.000) abbiamo letto distrattamente i titoli di alcuni capitoletti: Pettegolata, Quando la cacca colpisce il ventilatore, Il ditalino di Freud, Sex cathedra, L’invasione degli ultra-Gorby, etc… ed abbiamo detto: «Queste sciocchezzuole non sono degne neppure di una stroncatura. Insultare tutte queste vacuità è mortificante!» Poi abbiamo letto qua e là (confessiamo che è stato al di sopra delle nostre possibilità leggere tutto) ed insieme agli sbadigli ci è anche scappato un sorrisetto di commiserazione. Questo è il libro più perbenista, impettito conformista e leccapiedi della cultura che abbiamo letto in questi ultimi anni. Frasi sussiegose, affermazioni moralistiche si sprecano. Neanche l’ombra di qualche lazzo umoristico: i due si prendono disgustosamente sul serio; convinti di possedere la Verità in ogni suo aspetto. Al confronto le stupidaggini da noi detestatissime degli ormai antidiluviani uomini «della notte» erano frizzanti arguzie. Nei due gentiluomini urge il bisogno di mostrarsi eruditi: loro sanno che in Inghilterra c’è un’espressione che suona: «When the shit hits the fan» per esprimere il concetto di pettegolezzo come «raffica di malignità». Ed anche sta loro a cuore mostrarsi rispettosi della psicoanalisi seria: «lo credo in certi principi della psicoanalisi basati sull’inconscio. La teoria freudiana dei complessi è assolutamente valida.» Svillaneggiando con burbanzosa prosopopea quella «psicoanalisi tanto diffusa nei film, nei romanzi e in televisione, da far rivoltare nella tomba Sigmund Freud.» Arrivati a questo punto, con un po’ di vergogna ci accorgiamo di star parlando di qualcosa di cui avremmo preferito tacere.
Abbiamo schizzato un po’ di veleno gratuitamente, con vigliacca tracotanza e ce ne scusiamo con i lettori. Però siccome in questi giorni siamo affetti da crisi di avarizia non ci andava di buttare trentamila lire proprio per niente. Pazienza!