Psicoanalisi contro n. 46 – Due parodie

agosto , 1988

Io ritengo che la psicoanalisi sia una scienza che va un po’ oltre le altre; questa affermazione contraddice però ciò che io stesso ho più volte ripetuto: cioè che la psicoanalisi è una scienza come le altre e che non deve arrogarsi il diritto di essere qualcosa di più. La psicoanalisi, secondo me, sbaglia quando rivendica la prerogativa di comprendere e fondare tutti i vari aspetti della ricerca. Perché, allora, ho fatto un’affermazione che non ritengo del tutto giusta? Forse perché non la ritengo nemmeno del tutto sbagliata. Sono giunto a questo convincimento dopo tanti anni di lavoro psicoanalitico e un’attenta osservazione dei metodi e dei risultati delle altre scienze. Quando la psicoanalisi ha voluto fondarsi, a sua volta, come scienza oggettiva, ha ottenuto il risultato di essere ridicola o riduttiva; infatti, una scienza che voglia gettare lo sguardo nelle profondità dell’animo umano, portare alla luce sentimenti, pensieri, desideri inconsci costruiti nel tempo, addirittura in parte patrimonio genetico; una scienza che voglia anche leggere le dinamiche che costruiscono la persona nella sua relazione con gli altri e il mondo, deve sapere andare oltre se stessa. È giusto che la ricerca si affidi anche all’esperienza, alla quantizzazione, alla logica e agli esperimenti di laboratorio, ma non deve mai limitarsi e chiudersi in un tale cerchio. La psicoanalisi, in particolare, deve essere capace di uscirne. Sebbene non sia ancora dato sapere se sia possibile trovare a tutte le scienze un fondamento comune, oggi, alcuni medici, biologi, chimici e fisici hanno il coraggio e l’intelligenza di affermare che questo andare oltre deve caratterizzare ogni scienza. Per un po’ di tempo si è parlato di interdisciplinarietà, ma la cosa si è rivelata una sciocchezza utile soltanto a far giocare entro la scuola insegnanti distratti ed esibizionisti. interdisciplinarietà non vuol dire nulla; non è, per lo più, nient’altro che un sincretismo vuoto, assolutamente inutile, che non implica un mutato atteggiamento nei confronti della scienza. Ogni scienza, come ho detto, deve andare oltre.
Oggi, purtroppo, le poche voci che riescono a farsi sentire e non temono di ribadire la necessità di rifondare da capo tutta la scienza, non hanno mutato l’atteggiamento generale. Forse solo la psicoanalisi è stata costretta ad andare oltre se stessa, perché si è costituita proprio come ricerca che non può fermarsi al dato o all’insieme di dati. La psicoanalisi ha capito che non può neppure fermarsi all’interpretazione, ma deve fondarsi coraggiosamente sul mistero. Se i fondatori della psicologia dinamica non avessero impostato così fin dal primo momento la loro ricerca, la psicoanalisi non si sarebbe costituita, ma sarebbe rimasta un gioco intellettualistico, divertente o noioso, e, soprattutto, inutile.

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Vi sono persone che dicono con alterigia ed estrema sicurezza di non aver bisogno della psicoanalisi o di qualunque altro tipo di psicoterapia: sono coloro che si sentono «sani e normali». Io non voglio negare che in qualche parte della terra possa esistere un essere umano sufficientemente sano, ma, poiché ritengo che non ci siano, sul nostro pianeta, che società profondamente malate, non riesco proprio a capire come qualcuno possa affermare di essere sano e normale. Già non è facile definire cosa siano salute e normalità, ma è proprio difficile immaginare persone sane e normali. Quando ascolto costoro che insistono con arroganza e alterigia, quasi sempre scorgo dietro la loro pretesa, uno stato di malessere psichico intenso, un marasma interiore, malamente coperto dalla presunzione che vuole essere auto-rassicurante. Dicono che non sentono alcun bisogno di conoscersi per meglio sapersi orientare, ed io so che alcuni di loro possono vivere benissimo fino a cent’anni nell’inconsapevolezza e nella malattia; però so anche che saranno sempre in bilico, col rischio di perdere l’orientamento e di gravi destrutturazioni da un momento all’altro. Sono spesso padri tracotanti e violenti, oppure vittime della loro famiglia; madri ricattatorie e tiranniche. Sono anche artisti avari, perché timorosi di lasciar trasparire l’inconscio che negano; preti fanatici incapaci di darsi agli altri davvero perché incapaci di percepire se stessi. Altri dicono che la psicoanalisi non è una scienza, che non serve comunque a niente, che rende dipendenti; ma questo loro ingenuo modo di difendersi rivela, oltre che la paura, anche un grande fascino. Farà certo sorridere molti sentirmi affermare che tutti dovrebbero nella vita affrontare coraggiosamente, almeno una volta, la psicoanalisi; forse sono anche in malafede, poiché come psicoanalista non posso certo essere obiettivo: se questo mio augurio fosse accolto, certo gli psicoanalisti diventerebbero tutti ricchi e potenti! Malgrado ciò, io ritengo che ogni essere umano, e in particolare ogni artista, dovrebbe aver il coraggio di intraprendere questo viaggio avventuroso alla ricerca di se stesso.

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Quanto detto finora non significa che la psicoanalisi stessa non debba rifondarsi. Gli psicoanalisti che non hanno il coraggio di andare oltre la loro piccola scienza rimangono irrigiditi in una metodologia claudicante e improduttiva. Costoro si esprimono spesso attraverso due tipi di linguaggio: il primo è quello delle affermazioni perentorie ed oscure, o prolisse e ridondanti. Non cercano di andare oltre, non fondano nulla sul mistero, la loro è parodia della scienza e non viaggio avventuroso verso ciò che ancora non si conosce. Non c’è alcun tentativo di superare le contraddizioni, ma solo il miserabile trucco, vecchio come il mondo, di parlare una lingua incomprensibile, per non essere capiti, ma, soprattutto, per non capire. Capire gli altri e se stessi fa paura: meglio allora le oscurità sentenziose di parole senza senso! L’altro tipo di linguaggio, che è anch’esso una parodia della ricerca scientifica, è quello che predilige le ovvietà banalizzanti. Ci sono scienziati, anche psicoanalisti, che ostentano grande chiarezza nel parlare, ma la loro chiarezza è sterile perché non comunica altro che pochi slogan consunti dall’uso. Neppure questa è scienza, è solo un inutile tentativo di eludere la profondità dei problemi, restandone alla superficie e ottenendo, grazie alla banalità, il generale consenso.

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L’arte, da secoli, da millenni, da sempre, ha tentato, come la psicoanalisi, di andare oltre: ha cercato di diventare trasparente per spingere lo sguardo al di là di se stessa. Ha cercato il mistero, si è intrisa di esso. Tutti gli artisti debbono essere consapevoli che, oltre l’opera, c’è qualcos’altro; non debbono temere di avventurarsi per sentieri inesplorati, debbono accettare che altri leggano nelle loro creazioni significati che loro stessi non avevano sospettato, invece di stringersele avaramente al petto reputandosene gli unici veri interpreti. Tutti possono diventare artisti, creatori come il Creatore, e quindi ogni opera d’arte può far nascere in chiunque fantasie, desideri, pensieri inaspettati, veri e concreti. Concretezza che però sfuma subito nel mistero. L’arte ha anche il dovere di essere semplice, diretta e immediata. Ogni artista deve osare mostrarsi nudo, deve sapere che la sua arte è anche il suo corpo e il suo corpo è la sua arte. I gesti, le parole, i suoni e i colori dell’arte si dirigono verso l’altro, in una concretezza sensuale e sacra. Il richiamo al mistero non significa nascondersi, ma fornire, con umiltà e coraggio, il maggior numero possibile di chiavi di lettura. L’umiltà e il coraggio debbono sempre andare di pari passo, se no diventano querula lamentazione e presuntuoso velleitarismo. L’arte è euritmia, che coglie il mondo e l’uomo nell’essenza del loro rapporto.

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Ci sono due modi di tradire l’arte, distorcendone il senso e facendone parodia. Uno è quello di parlare linguaggi oscuri e incomprensibili che non tanto evocano il mistero, quanto vigliaccamente proteggono l’artista dal mondo e dal proprio inconscio. Le opere di tali artisti non saranno segno di salute, ma esprimeranno l’ignoranza e la malattia. L’arte parodiata insegna agli uomini ad essere violenti e brutali, a nascondersi nel buio della morte, poiché l’incomunicabilità è la morte. L’altra forma di parodia è la cosiddetta arte semplice, che usa moduli prefabbricati, non già nell’intento di parlare perché tutti possano capire, ma per ingannare con una falsa comprensibilità. Questa è un’arte stupida, povera e venduta. Di per sé non è necessariamente male che un prodotto artistico sia commerciabile, ma l’ossequio alla stupidità per aumentarne la vendibilità rende l’arte deleteria: riduce la sensualità al livello della volgarità e la sacralità al piano della bestemmia.