44 – Giugno ‘88

giugno , 1988

Povera Gilda

Chiunque sia riuscito a percepire qualcosa dell’andamento giudiziario nella vita quarantennale della Repubblica sorta dalla Costituzione, non può non essere turbato. Dai grandi delitti passionali, ai crimini mafiosi, dal terrorismo alla corruzione pubblica e privata, il carosello delle condanne e delle assoluzioni, degli insabbiamenti e delle riabilitazioni è stato, a dire poco, vorticoso. Se l’opinione pubblica, ad un certo punto, ha avuto la debolezza di rallegrarsi nel vedere qualche potente trascinato in un dibattimento processuale e poi condannato, non ha però potuto trattenere un trasalimento quando, al termine della catena dei ricorsi, lo ha visto ritornare libero, reintegrato nel Palazzo o addirittura portabandiera di una lotta contro l’iniquità. Il cittadino comune anche quando si sente estraneo ai rischi connessi ad un sistema giudiziario che incarcera e scarcera rivoluzionari, mafiosi, editori, finanzieri e politici, seguendo più i criteri dell’opportunismo che quelli della colpevolezza o dell’innocenza rispetto ai reati contestati, non può tuttavia trattenere un brivido all’idea delle vicende cui il caso potrebbe comunque esporlo. Giustamente, garantisti e moralisti hanno denunciato il terribile stato di cose e da infinite parti si è levato il grido sdegnato contro la degenerazione di uno dei poteri fondamentali dello stato, ma pochi hanno individuato quella che forse ne è la causa principale. Solo pochi hanno fatto notare che il pericolo per il cittadino «qualunque» non sta tanto nella grande Corruzione della Magistratura, che, proprio per le sue maiuscole caratteristiche pare non debba riguardare la sua minuscola persona, ma consiste piuttosto nell’ignoranza, la quale lo riguarda direttamente e contro la quale non c’è difesa possibile. È vero che l’ignoranza è l’oppio dei popoli, e non solo del nostro, ma è anche vero che nel nostro Paese si va rafforzando l’ignoranza di tutti nei confronti del proprio ruolo. Saranno eredità borboniche, gentiliane o sessantottine, sta pur di fatto che la preparazione di un professionista – quando l’uomo non sia eccezionale – è quasi sempre molto scadente. La cosa provoca guai in tutti i settori della vita civile e ne provoca tra l’altro nel settore dell’istruzione (se il sale della terra diventa sciapo, con cosa saleremo il sale? etc.), ma li provoca anche nelle aule dei tribunali. Magistrati, giudici, avvocati, cancellieri affrontano il compito di giudicare per lo più in condizioni di paurosa (generale e specifica) ignoranza. Ne sono testimoni i verbali e le video-registrazioni di infinite cause penali e civili: non solo manca spessissimo la conoscenza tecnica, ma si vedono persone che dimostrano la più totale incomprensione della situazione complessiva: storica, culturale, sociale, economica e psicologica del mondo che sono chiamati a giudicare. Di questo stato di cose – si dirà – non si può far colpa alla magistratura, ma ai politici che, a loro volta, denunceranno le condizioni economiche; gli economisti non potranno che far rilevare il gap tecnico rispetto alle tecnologie trainanti delle società avanzate ed infine tutti potranno con fiero cipiglio scrollare la testa, additando alla pubblica esecrazione la povera Gilda che, invece di pensare a riqualificarsi, tira «quattro paghe per il lesso»! Le carceri sono piene, i criminali sono fuori; il delitto paga ogni giorno di più. Se chi è chiamato a giudicare basa interamente il suo giudizio su quel poco che è scritto nei codici, allora è meglio che bruci quei testi e, lasciata la toga per la tonaca, cerchi magari nella Bibbia quel che non ha dentro di sé. È un libro vecchio, ma poco inquinato, ed offre modo all’ignoranza di riqualificarsi come semplicità.