42 – Aprile ‘88

aprile , 1988

La Nuova Fiorentina, in via Angelo Brofferio angolo piazza Mazzini, è un locale abbastanza noto nel quartiere, sempre molto affollato anche fino a tarda sera. Ha le caratteristiche del ristorante e pizzeria, dove si fa una cucina rapida tra il romanesco e il toscano, in un grande andirivieni, tra i tavoli affollati, nei grandi saloni dall’arredamento solido e bruttino, con i camerieri che hanno quasi più fretta degli avventori e il fumo delle troppe sigarette.
Noi ci capitiamo ogni tanto, presi un po’ dalla disperazione di dover trovare in fretta un posto dove mangiare qualcosa tra un impegno e l’altro o quando si è fatto troppo tardi. Non ne siamo mai rimasti entusiasti, ma l’ultima nostra esperienza ci ha decisamente irritati. Le pizze, quale che fosse il loro nome: marinara o margherita non differivano per l’assenza di sapore e per quella loro pasta tirata sottile come un’ostia, inconsistente e appena affumicata; i primi piatti erano agnolotti alla romana orrendi, stracotti, stantii, con un indecifrabile ripieno e conditi con un acquoso ragù; i tonnarelli alla vignarola, appiccicati e papposi con un dissennato sugo di piselli, prosciutto, funghi, pomodoro e chissà cosa ancora, scisso e insapore. Il lesso in salsa verde era una «rollatina», come ben tradiva il residuo spago, che si insinuava tremendo fra i denti, condita da un’acquetta verde al prezzemolo; la bistecca fiorentina era di cartapesta inumidita, l’abbacchio amaro e ossutissimo, il fritto di cervello e carciofi molliccio e senza gusto. Nei bicchieri, ancora caldi di lavastoviglie, abbiamo cercato di dissetarci, prima con un Prosecco dei Colli Trevigiani di Chiarotti, passabile, e poi, senza che nessuno si preoccupasse di cambiarci i bicchieri abbiamo sperimentato lo scherzetto di un caldissimo frizzante Chianti Rufina della Fattoria di Vetrice, assolutamente irriconoscibile. Il conto non ci è sembrato caro, ma a nostro avviso non basta per giustificare tanto sfacelo.

Sebbene il tempo non sia stato molto clemente nella settimana di Pasqua, la campagna intorno a Roma riusciva ad essere gradevole, variopinta e profumata come sempre. Comincia a quell’epoca la stagione delle gite fuori porta,con le tradizionali soste nelle osterie e osteriole che da sempre rallegrano i gitanti della domenica ed anche nel corso della settimana i sentimentali frequentatori di rustici locali sotto la luna. I Farfalloni d’ora in avanti riferiranno delle loro esperienze campagnole e sono lieti di iniziare col racconto di una giornata positiva. Nella cucina delle Caverne del Norcino in corso Umberto a Morlupo c’e gente che sa il fatto suo. L’ambiente è bizzarro e suggestivo, vi si accede da un piccolo ingresso e si rimane di stucco quando, dopo una porticina, si aprono spazi enormi, sovrastati da poderose volte ed archi di mattoni, degni delle segrete di un castello, e dalla sala principale partono corridoi che sprofondano misteriosamente nel tufo. Anche l’arredo ha un tono leggermente medioevale, coi lam-padari di ferro e il tavolone su cui troneggiano i vassoi ricolmi d’ogni ben di dio. Di lì arrivano subito i tradizionali antipasti, non particolarmente originali, ma sapidi, appetitosi e fragranti: pro-sciutti e bruschette, peperoni al forno e melanzane. I primi piatti di pasta, nonostante lo scivolone dei bombolotti alla panna, erano energiche penne all’arrabbiata, passabili fettuccine al ragù, ottime pappardelle al cinghiale; ed eccezionali pappardelle ai funghi porcini, che ci hanno stupito, perché fuori stagione non ci saremmo mai aspettati di trovarli così profumati e croccanti, in un. sugo perfettamente tirato con grande armonia di sapori. Anche i secondi ci hanno riservato una piacevole sorpresa: oltre al galletto eccellente, preparato alla diavola,cotto alla perfezione in modo da esaltare la morbida e soda carnosità, abbiamo goduto di un filetto al barolo meraviglioso, con l’intingolo preparato a regola d’arte e un taglio di carne eccellente; corretti anche l’abbacchio a scottadito e il filetto alla brace entrambi succulenti e ben cotti.
Tra i dolci abbiamo trovato buona la semplice crostata di visciole dal soffice impasto e corretti la torta di ricotta e il creme caramel.
Siamo rimasti invece costernati dalla situazione della cantina.
Riconosciamo che questo è uno dei punti deboli dei ristoranti dell’agro romano, ma proprio per questo vogliamo esortare quei ristoratori a curarsi maggiormente di ciò che propongono agli avventori. Il bianco della casa era un vinello caldiccio e spento, il barbera più giovane scovato sugli scaffali, dell’ottantadue, era morto di vecchiaia.
Da un’occhiata sommaria abbiamo tratto l’impressione che tutta la cantina tendesse alla decrepitezza.
Se non fosse stato per questo avremmo raccomandato senza riserve questo luogo di gente simpatica, neppure caro. Speriamo che le cose in cantina cambino presto!