37 – Ottobre ‘87

ottobre , 1987

Allo Studio S di via della Penna 59 si è inaugurata il sei novembre una mostra che non solo è stimolante culturalmente, ma, cosa che accade di rado, è anche piacevolmente fruibile: una serie di belle opere, di ottimi artisti, disposte in modo da coprire un breve e godibile percorso. Tutto questo si articola intorno ai disegni e pastelli di Antonio Stagnoli, artista bresciano tornato ad esporre a Roma dopo molti anni di assenza. Sui fogli e sulle tele di Stagnoli si arrampicano in barocca euritmia grovigli di linee in cui si compongono animali e cose. La natura non è colta «veristicamente», ma scaturisce tra i segni, in un gioco di fantasia, talvolta ironico, talvolta inquieto, senza essere mai tragico. Gli animali sembrano sorpresi in una pausa di riflessione, avvolti da un universo vegetale che li nasconde e li rivela, li accoglie e li soffoca. Nelle chine, l’immaginazione è invitata all’incessante ricerca delle forme possibili, in un gioco che ricorda quello dei severi arabeschi in nero ferro battuto delle antiche cancellate: ed ecco il Cane in posta alla grande radice o Di guardia al cesto di raccolta, oppure teso Verso il balzo e Gallo e galline sono nascosti da un viluppo di vegetazione o colti Nel pollaio. Nei pastelli colorati, invece, interviene una luce divertita e si percepisce quasi il sollievo di chi, accesa una lampadina, si rinfranchi alla vista dei musi famigliari di domestiche capre.
Attorno alle opere di Stagnoli si articolano opere grafiche, su carta e su tela, e sculture di altri ventidue artisti, alle prese col tema di un «Bestiario. Dal reale all’immaginario.», dove la varietà delle suggestioni sembra non aver fine: dalla ricchezza fantastica di Max Klinger, alla riflessione leopardiana di Vespignani, un po’ mortifera, alle metafisiche battaglie di Joaquin Roca Rey, all’insinuante ghepardo maculato che Paolo Giorgi pone come doppio della Jeune fille o dell’Astarte siriaca, ai mostri che attendono l’uomo di Roland Topor sulla cima del baratro, all’orripilante piovra che avvolge la donna dai due volti di Bruno Caruso, fino al Far West di Billie S. Fraleigh. E queste sono soltanto le opere di cui abbiamo più vivo il ricordo e siamo certi che ciascuno potrà trovare altri punti di riferimento; ma nessuno potrà trattenere un senso di ammirazione e devozione insieme, di fronte a due piccoli, assoluti capolavori, da guardare e da accarezzare: i due bronzi di Giorgio De Chirico, Cavallo e palafreniere e Cavallo e cavaliere, d’una bellezza così pura che «intender non la può chi non la prova».

Fausto Melotti è un nome importante dell’astrattismo italiano, scomparso nel 1986. Nella
mostra organizzata in questi giorni alla Galleria Editalia di via del Corso 525 sono esposte opere non particolarmente illuminanti della sua personalità e neppure più importanti di altre; sono però sufficienti a chiarire quale fosse il suo concetto dei colori e delle immagini, anche della scultura. Quello che ci si trova di fronte è il risultato di un lavoro onesto e coerente, all’interno di moduli linguistici scelti da sempre, che però non risulta particolarmente convincente e di fronte al quale si rischia di passare indifferenti.
A proposito di Melotti abbiamo fatto, però, una graziosa «scoperta»: abbiamo trovato e comprato in galleria un suo libricino di poesie, La melagrana aperta (ed. della Cometa) ricco di immagini semplici e gradevoli, un verso dolce e piano di fronte al quale non è possibile restare indifferenti.