35 – Agosto ‘87

agosto , 1987

La Notte

La musica di Mozart, purché ben eseguita non è solo degna di figurare nelle impettite sale da concerto o sulle scene dei teatri d’opera. Per la sua intrinseca divina bellezza essa non teme nulla: può essere eseguita in una birreria, come tante volte si è compiaciuto di fare l’Autore, oppure può essere pretesto anche per un divertimento.
Nel giardino di Villa Redenta è stato veramente commovente ed entusiasmante vedere ed ascoltare un gruppo di giovani che con passione, allegria e bravura, hanno eseguito una serie di pezzi mozartiani tra i più disparati, dall’Adagio K 411 al Lied della Libertà K 506, fino al Bona nox K 561.
Questo canovaccio musicale avrebbe dovuto essere il pretesto per costruire uno spettacolo che riproducesse una settecentesca kermesse in giardino; tutti gli esecutori, ed anche il direttore, erano in costume. Una stretta e lunga piattaforma si stendeva portando dal tempietto che orna il giardino fino alle due colonne che stanno davanti alla siepe. Finti ruderi, un pianoforte, candelieri e cuscini la arredavano. La storia che ivi si rappresentava è così sintetizzata sul programma di sala:
«Sera d’estate. Una radura. Gli escursionisti sono tornati e un innamorato infelice li osserva: hanno le ragazze al braccio, ma la sua non c’è. Non verrà più…» …e poi parla dell’ubriaco canzonato, della comitiva che banchetta, della «Infelice» che brucia le lettere e via dicendo…
Noi non abbiamo voluto leggere niente sullo spettacolo prima di assistervi. Volevamo, nella bella notte d’estate, lasciarci completamente andare alla musica del nostro Autore preferito e alle fantasticherie che sarebbero scaturite su di essa. Vedendo quel che succedeva sulla scena, noi abbiamo capito quest’altra storia: «La principessa di Slesia è disperata perché il suo innamorato, il Margravio di Boemia, è costretto a lasciarla per sposare l’Infanta di Spagna. Per consolarla gli amici la portano ad una festa in villa dove il duca di Sassonia si innamora di lei.
Insieme si avviano verso i prati per fare un pic-nic ed attraversando il paese si imbattono in Andrea Chénier deriso da un gruppo di giovani sanculotti.
Verso la fine della giornata in campagna, il banchetto degenera e le fanciulle sono terrorizzate da un esuberante cacciatore che le vuol tutte stuprare…» A noi è piaciuta molto di più la nostra storia, anche se riconosciamo di essere indubbiamente parziali. Siamo però sicuri che di quello che avveniva sulla scena poco si capiva e peraltro a nessuno poteva interessare. La musica di Mozart è teatrale di per sé e suggerisce azioni teatrali. Quella storia invece era appiccicata, senza nessun intrinseco legame con la teatralità mozartiana. Un passaggio improvviso dal maggiore al minore, un aereo contrappunto, un malizioso canone, la malinconia di due clarini, o la sacra semplicità di un arpeggio al pianoforte, possono richiamare bozzetti e gesti ben più ricchi e profondi di qualunque sovrapposta sceneggiatura. È senz’altro più appropriato sentire un basso ubriaco cantare per desiderio proprio e di due ascoltatori «Presso il culo è tutto scuro» (Anh 441b), che non fingere che sia ubriaco e costruirgli attorno una scenografia arcadica. In quel caso, i rumori della bettola darebbero assai meno fastidio di quanto non ne dessero gli infernali scalpiccii di suonatori, mimi e cantanti sul rimbombante impiantito di legno della scena.
B. Sauvat e E. Schleef non hanno avuto una idea più brutta o più bella di altre nel costruire queste «Storie di una notte di mezza estate» se non fosse che hanno incautamente richiamato la memoria di un altro grande; è chiaro che presi tra Mozart e Shakespeare non abbiano potuto che fare una meschina figura!
Ulderico Manani ha solo pasticciato la scena stupenda già pronta di quell’angolo di Villa Redenta con leziosità inutili.
Il direttore Alkis Baltas è stato eccellente, preciso, acuto e abilissimo nell’equilibrare i suoni.
I cantanti erano: Pamela Hinchman, Christine Ferraro, Luigi Petroni, Filippo Piccolo, Roberto Frontali, David Barrell e Gianni Socci.
Per fortuna, e vogliamo ribadirlo, la bravura dei musicisti della Spoleto Festival Orchestra e dei solisti del Westminster Choir travalicava la meschinità della messa in scena premeditata, realizzando proprio il miracolo di giovani ragazzi e ragazze che cantano, suonano, ballano la musica di Mozart per la loro gioia e per quella dei presenti.
Vorremmo nominarli tutti, ma lo spazio non ce lo permette. Sappiano solo che siamo usciti canticchiando anche noi «V’amo di core» con il pensiero rivolto a loro.

The Gospel at Colonus

Edipo è una figura davvero inflazionata e ormai ci ha letteralmente «disgustato».
Da quando Freud lo ha trasformato in un mito alla moda, tutti si sentono estremamente colti ed «in» se manipolano questa figura. Certo la figura di Edipo ed il suo mito sono antichissimi.
Sul programma di sala è scritta la solita frase «idiota»: recenti studi dimostrano come il mito di Edipo provenga dall’ Africa… può essere vero o falso, a noi non importa. Edipo è entrato nella cultura degli antichi Elleni ed è stato cantato da Sofocle. Poi il suo mito è stato ripreso e raccontato rozzamente da S. Freud e da tutti quegli sciacalli sciocchi che ci si sono buttati sopra in seguito.
Noi non crediamo nelle rozze distinzioni di chi pensa di poter rintracciare le «radici» delle culture bianche, negre o gialle che siano. Non può che farci sorridere, così, chi dice che questo gruppo sia andato alla ricerca delle origini, e per di più ritrovando il mito. Questo mito antico e meraviglioso non si sa donde abbia veramente origine, a dispetto dei «recenti studi».
Siamo assolutamente certi che Lee Breuer, elaboratore e regista dello spettacolo, abbia creduto di realizzare tutte le stupidaggini obbligatorie intorno ad Edipo, inventando una storia totalmente imbecille: alcuni ministri battisti raccontano ai loro fedeli la vicenda di Edipo, in modo talmente idiota che ogni volta che il canovaccio riaffiora ci si accorge che gli «intellettuali» di oggi non sono in grado di capire né gli antichi miti greci né gli africani. Sono solo capaci di far scorrazzare preti con lo strascico che dicono cose insulse.
Ma questa volta la musica ha vinto su coloro che fanno o hanno fatto i «recenti studi», su quelli che vogliono essere intellettualisticamente «alla moda» e in realtà sono «sorpassati».
Questo spettacolo a dispetto di tutto è bellissimo. Edipo, Antigone, Ismene, Polinice, Creonte e Teseo, persino il pastore battista, hanno dalla loro la forza della musica. Questa è antica e moderna allo stesso tempo.
Stupenda nei suoi moduli convenzionali, dice tutto a dispetto di tutti e riesce a raccontare la storia di un Edipo, cioè di un uomo, che lotta con il destino per poter morire tranquillo tra le braccia di un dio che è anche un tenero amante.
La musica di Bob Telson è bellissima, per questo vale la pena di seguirla nella sua vicenda.
Il primo brano per coro e voce solista ha un ritmo di marcia marcato e molto facile, che invita ad intraprendere il cammino.
Una bella polifonia guidata da due voci e accompagnata dal coro illustra l’arrivo di Edipo a Colono. Edipo ha una voce molto estesa, vibrante e ricca di possibilità espressive.
Ismene si annuncia con una melodia un po’ frivola con banalissimi intervalli tipici del gospel.
Tutta questa musica oscilla tra il gospel ovvio, con intervalli di terza, quinta e di quarta che cadono troppo presto sulla tonica rendendo lo un po’ noioso, e la invenzione estemporanea, ricca di modulazioni che raggiungono intervalli inconsueti, pieni di tensione emotiva ed imprevedibili esiti melodici ed armonici.
Non solo sono usati tutti i possibili moduli del jazz, anche i più ovvii, ma si arriva addirittura a climi debussyani come nella scena del rito dell’acqua, in cui gli accordi di terza maggiore si stemperano in una scala esatonale.
Dopo una specie di responsorio, tipico della tradizione del gospel, la prima parte si chiude su di un ampio ed esasperante accordo dell’organo su cui le voci lentamente ricamano.
La seconda parte inizia nuovamente con un andamento ritmico marcato.
Dopo l’arrivo di Polinice, personaggio più recitato che cantato, è la volta di un bel duetto tra le due sorelle Antigone ed Ismene; una parla e l’altra la avvolge con una melodia diatonica che è sempre contraddetta da terze minori incongruenti col tessuto melodico.
Dopo un brano atonale si trova la pace nel tonalismo elementare di Sunlight of no light: accordi di settima e nona assolutamente sprovveduti, ma di grande efficacia emotiva.
Improvvisamente esplode un assurdo e meraviglioso episodio musicale: mentre la voce canta la melodia di Eternal sleep che gioca su intervalli consueti ed è assolutamente country, l’accompagnamento esplicitamente rock costringe la voce a terzine un po’ blasfeme.
Subito dopo l’alleluja, splendida melodia molto tesa con meravigliose modulazioni, un orrendo sotto finale esplode con un rock volgare, squallido e sciatto; ma il finale si riscatta con una melodia mistica di impareggiabile bellezza, intensa, profonda e tenerissima.
La comunità ha compreso la sorte di Edipo che non ha avuto paura di confondersi con il suo dio.
Gli esecutori solisti, complessi e coro, tutti bravissimi, rappresentano un ampio panorama della musica jazz negra americana.
In questo spettacolo eccezionale è la presenza della musica che si insinua dovunque: dal declamato al recitativo, al canto spiegato, tutto è sempre ritmato e musicale.
Peccato che l’amplificazione del Teatro Romano si è rivelata ancora una volta insopportabile.
Noi continuiamo a chiedere una maggiore professionalità in coloro che allestiscono questi strumenti infernali. Certo, questo è uno spettacolo da non perdere.