32 – Maggio ‘87

maggio , 1987

Il ristorante Lilli in via Tor di Nona, ha quelle caratteristiche nazional-popolari che possono rendere un pubblico locale anche insopportabile, se la gestione, troppo consapevole dei limiti della spettabile clientela, decide di passare sopra agli scrupoli e di ammannire non importa cosa, in nome di un cameratismo complice. Questo non ci pare però che qui avvenga: il locale è passabile, malgrado qualche rabbercio qua e là, l’accoglienza è abbastanza cortese e i ragazzi che servono ai tavoli sono proprio simpatici.
Sul menù sono elencati pochi piatti e il consiglio alle tavolate numerose è di uniformare le ordinazioni per evitare impicci. Nonostante la prima domanda sia il rituale: «Cosa bevono?» la lista dei vini proposti ha qualche impronta personale. Noi oltre a un fresco e leggermente frizzante Verbesco abbiamo voluto provare il bianco e il rosso «della casa»: due vini di Cerveteri, giovani, sapidi e passanti. L’antipasto quella sera era uno solo: lonza con olive su cui non ci fu da dire né da ridire. Tra i primi piatti ci fu possibile provare una pasta e fagioli davvero eccellente, ben legata, coi sapori equilibrati, al giusto punto di cottura; pure i rigatoni al sugo erano ben cotti e dal sapore schietto, senza imbrogli; l’onestà ci è parsa essere il pregio anche dei bucatini alla matriciana e dei successivi piatti: la fornara con patate, lo stufatino con fagioli, le polpettine al sugo, gli involtini con peperoni, la bistecca di manzo,e la vitella con carciofi. Oltre alle fragole, al momento del dessert abbiamo assaggiato una torta di ricotta e una torta di mandorle (crediamo di pasticceria) più che accettabili.
Sembrerebbe poca cosa dire di un ristorante che se ne è apprezzata la schiettezza, ma, nell’inferno gastronomico di questa città, è un’occasione che noi riteniamo davvero apprezzabile, come è apprezzabile un servizio allegro e sorridente, anche se al giovine sfugge di dire «valpollicina» là dove dovrebbe proporre un «valpolicella»!
Onesto, senza neppure eccedere verso il basso,ci è parso anche il conto.

Chi ci legge ci perdonerà questa nostra insistenza sugli ambienti di una Roma che forse qualcuno non ama perché un po’ venduta al turistico folclore, ma che a noi piace perché ha una bellezza che si offre senza pudore e si lascia gustare senza sforzo. Dietro il Quirinale, tra via della Dataria e via del Lavatore, passa il brevissimo vicolo Scanderbeg dove ha aperto da poco i battenti un nuovo ristorante: il 1799 (Lumi e cucina!!!). È questo un posto un po’ bizzarro: annuncia «sfizi di mezzodì e di mezzanotte» però se telefonate vi dicono che il locale chiude alle ventitré e trenta, lasciando perplessi: chi mangia allora gli sfizi di mezzanotte? Noi siamo andati a verificare di persona una sera, dopo l’ennesimo spettacolo, precipitandoci. Ci hanno detto che per il momento la sezione sfiziosa non è ancora organizzata. L’ambiente, quasi tutto sottoterra, è una successione di salette molto piccole dalle volte a crociera, coperte da un pesantissimo stucco rosa antico che le rende quasi inverosimili; anche le tovaglie di preziosa fiandra sui tavoli sono in tinta. La carta dei vini e la lista dei piatti vengono portate subito insieme alla flute di prosecco e alle ciotoline di burro alle erbe ed al salmone da spalmare sulle fette di pane variamente condito.
Nel complesso noi siamo stati abbastanza soddisfatti della correttezza dello chef; ma i gestori di questo locale hanno ancora da imparare alcune cose. Anzitutto la carta dei vini per un posto di queste pretese è un po’ sconclusionata e con alcune cadute di tono ed anche tra i piatti proposti manca una linea omogenea: si oscilla dal rustico e regionale allo pseudofrancese, come se si cercasse di accontentare tutti, anche quei clienti di cattivo gusto, che fumano in piccoli spazi chiusi, appestando i tavoli vicini e provano nostalgia per panna e crèpes. Speriamo che non venga in mente a nessuno di accontentarli.
Il servizio è molto cordiale, non proprio perfetto dal punto di vista professionale e si avvantaggerebbe di una certa razionalizzazione. Per dirla in dettaglio: abbiamo trovato ottimi le zucchine alla scapece e il sauté di cozze, ordinario invece il paté; la insalata di tonnarelli, un primo con merluzzo, pomodoro e profumato basilico è stata una vera piacevole sorpresa; molto ben fatti anche gli ziti alla genovese; la zuppa di ceci e pasta sarebbe stata buona se non fosse stata così salata; la orecchia di elefante era una squisita e tenera costatella di vitello impanata; il bue alla genovese aveva il sugo un po’ lento e nell’entrecote al ginepro c’era troppo sentore di gin; un gioiellino il filetto alla Pierre Alex, dalla salsa profumata e ben tirata, anche ben presentato. I dolci furono senza infamia e senza lode e poco originali. Non ci sono sembrati buoni vini né il Gavi etichetta nera, né il Primitivo di Manduria, mentre abbiamo giudicato quasi scadente il Prosecco di Valdobbiadena Bortolomiol. Il conto ci è parso lievitante con facilità verso i l’alto.
Torneremo per gustare gli sfizi e speriamo che allora qualcosa sarà cambiato in meglio!